Sabato, 11 Gennaio 2025 20:21
Morire di carcere
Il 2024 ha registrato un numero record di suicidi nelle carceri del nostro Paese: 89 detenuti e 7 agenti di polizia penitenziaria si sono tolti la vita.
Il nuovo anno è iniziato esattamente come si è chiuso il precedente. Infatti nei primi giorni del 2025 si sono suicidati quattro detenuti e un operatore. Gli ultimi in ordine di tempo sono stati un detenuto quarantenne e appunto l’operatore quarantottenne, i quali entrambi hanno compiuto questo gesto estremo nella Casa Circondariale di Paola in Calabria, il primo impiccandosi nella propria cella e il secondo nella palestra della struttura carceraria.
Al di là delle ragioni personali che possono averli spinti a compiere un atto così drammatico e irreversibile, su cui non è facile indagare e di fronte al quale è giusto avere un atteggiamento di umana pietà e rispetto, è necessario riflettere seriamente sul sistema carcerario che con i suoi drammi umani, la sua violenza ricorrente e le sue innumerevoli disfunzionalità finisce per favorire un processo di assuefazione alla disumanità, al punto di allentare nelle persone la piena percezione e consapevolezza dell’esatta portata di talune azioni e da spingerle ad atti di autolesionismo fino al gesto ultimo di togliersi la vita.
I detenuti, 16 mila oltre i posti disponibili nelle strutture carcerarie, sono sottoposti quotidianamente a condizioni di vita assolutamente non dignitose e neppure lontanamente rispondenti alle finalità riabilitative della pena inframuraria, come solennemente stabilito dal legislatore all’art. 27 della Carta Costituzionale. Il personale operante nelle strutture, sia appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, peraltro mancante di 18mila unità e costituito per lo più da agenti molto giovani che vengono lasciati soli nelle sezioni detentive, sia rappresentato dalle altre figure professionali è costretto a carichi di lavoro e turnazioni insostenibili e il loro enorme sacrificio personale e familiare è spesso completamente vanificato purtroppo dalla assoluta inefficienza e inefficacia dell’organizzazione carceraria sotto ogni profilo.
I ripetersi di episodi di autolesionismo e i suicidi di persone private della libertà poi oltre ad essere moralmente devastanti, rivelano il fallimento del ruolo punitivo dello Stato. Se nell’esercizio del monopolio nell’uso della forza l’autorità statale non è in grado di garantire che il ricorso alla stessa proceda di pari passo con la tutela del corpo e della salute dei detenuti, finisce per subire una radicale delegittimazione, perdendo parte della funzione che ne giustifica la potestà punitiva.
La morte della persona detenuta, nella sua cruda materialità, inoltre fa emergere come la carcerazione per le modalità in cui si concretizza all’interno degli istituti penitenziari è lontanissima dall’ideale della pena immateriale che agisce sullo spirito e motiva al recupero personale e al reinserimento sociale del condannato. A tutto ciò è da aggiungere poi che spesso il suicidio in carcere è il portato ultimo di vicende personali drammatiche. L’esperienza traumatica della detenzione in questi casi determina un crollo psichico definitivo per l’inadeguatezza del carcere normalmente ad accorgersi e quindi ad affrontare il disagio delle persone. Lo shock conseguente alla carcerazione finisce per essere così un’esperienza letale per i soggetti più fragili e non in grado di adottare efficaci strategie di adattamento alla terribile situazione in cui vengono precipitati.
L’Italia è uno dei paesi al mondo con i più bassi tassi di suicido, ma tale indice aumenta in modo vertiginoso, fino a diventare fra i più alti a livello europeo, tra le persone private della libertà personale. Un simile dato fotografa l’estrema gravità in cui versa il nostro sistema detentivo e dovrebbe far interrogare la politica, la magistratura e quanti hanno responsabilità amministrative nella direzione degli istituti di pena sulla reale efficacia dei programmi di prevenzione pensati, scelti e messi in campo.
Se consideriamo il numero complessivo dei decessi in carcere, il suicidio rappresenta una delle principali cause di morte della popolazione detenuta. Infatti raffrontando il numero dei suicidi con quello delle morti naturali emerge che i primi, negli ultimi 30 anni, costituiscono stabilmente oltre un terzo del totale complessivo dei decessi. In altri termini più di una persona su tre che muore nei nostri penitenziari si suicida. È sconvolgente che tutto ciò venga ormai considerato un dato strutturale, sopportabile e normale.
Il ripetersi di tragedie simili impone un’assunzione di responsabilità da parte della politica e la conseguente adozione di provvedimenti urgenti e concreti per mettere fine ad una simile mattanza, partendo dalla riduzione del sovraffollamento mediante il ricorso a misure alternative alla detenzione in carcere, prevedendo l’assunzione di nuovi agenti e l’incremento del personale sanitario per prevenire e combattere le situazioni di disagio e fornire adeguato sostegno psicologico e psichiatrico a detenuti ed operatori carcerari.
La situazione è diventata ormai insostenibile e il rischio è un ulteriore precipitare delle condizioni delle carceri italiane verso il baratro umanitario.
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Riflessioni