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Negli incontri di judo la vittoria è annunciata da un grande tonfo, si tratta del rumore sordo del corpo dell’avversario che sbatte sul tatami, il tappeto giapponese sul quale si svolgono gli incontri. In quel momento l’atleta vincente però non esulta, mantiene la compostezza e attende che l’avversario sconfitto si rialzi per scambiarsi il Rei, il tipico inchino della cultura asiatica. Solo dopo gli è consentito di mostrarsi felice.
 
Tuttavia accade che non tutti gli atleti, nonostante la vittoria, possono essere felici, magari perché il Paese che rappresentano nella competizione sportiva, nega loro il diritto di esserlo, come accade a Leila Housseni, la judoka protagonista del film Tatami – Una donna in lotta per la libertà.
 
Guy Nattiv e Zar Amir, un israeliano e una iraniana, firmano la regia di un film di straordinaria forza espressiva che, raccontando la vicenda personale di una judoka iraniana, preparatasi a lungo e tra mille difficoltà per partecipare ai campionati del mondo di Tiblisi, ci fa immergere nella cruda realtà di un regime asfissiante, che spegne ogni libertà e ogni possibilità di iniziativa personale.        
 
Protagoniste del film sono due donne, Maryam Ghambari, allenatrice e mentore di Leila Housseni, bellissima e testardissima campionessa che insegue il sogno di conquistare la medaglia d’oro e non è disposta a rinunciarvi per nulla al mondo. Due donne apparentemente diverse, si scontrano, si confrontano, si sostengono, si allontanano e infine tornano a solidarizzare tra loro.
 
Leila e Maryan le incontriamo per la prima volta sul pullman, in viaggio verso la capitale della Georgia, dove si stanno tenendo i campionati mondiali di judo, insieme alle altre atlete della nazionale femminile.
 
A Tiblisi tutto sembra andare nella direzione sperata. Leila Housseni è in grande forma ed è determinata a perseguire il proprio sogno. Vince in scioltezza i primi due incontri e sembra destinata ad arrivare fino in fondo nella competizione. La medaglia d’oro è una prospettiva molto concreta e niente potrà impedirle di ottenere un così prestigioso risultato. Niente, a parte il governo del suo Paese. Infatti quando appare sicuro che proseguendo nella sua marcia trionfale Leila Housseni si troverà a dover gareggiare con l’atleta israeliana, il regime di Teheran decide di intervenire, di fermare la sua corsa verso il podio più alto, a qualunque costo e con qualsiasi mezzo.     
 
Il governo degli ayatollah inizia a fare pressioni sull’allenatrice, la quale in un primo momento cerca di opporsi come può a quella assurdità, ma poi è costretta a cedere a causa delle minacce sempre più forti verso lei e la sua famiglia. Leila Housseni deve fingere un infortunio e ritirarsi. Tuttavia le pressioni e le minacce si scontrano con la determinazione a non cedere alla richiesta del regime della giovane judoka. Forte del sostegno del marito, che è rimasto in Iran e che, venuto a conoscenza di quanto sta accadendo riesce a scappare e a mettersi in salvo con loro figlio, Leila Housseni decide che è giusto rischiare tutto, non solo la sua carriera di atleta ma soprattutto la sua stessa vita. Così con un grande scatto di orgoglio si trasforma nella paladina coraggiosa della battaglia per la libertà, contro l’oppressione e l’ingiustizia del regime islamico che distrugge le vite e il futuro.
 
Tatami – Una donna in lotta per la libertà è la storia di una piccola grande rivoluzione, un film emotivamente potente, bellissimo e terribile per quello che racconta, di una attualità bruciante e soprattutto capace di dimostrare che la storia la fanno le donne e gli uomini comuni e non esclusivamente i potenti e gli eserciti. Soprattutto apre uno spaccato sulla società iraniana e ci aiuta a cogliere appieno il ruolo in prima linea delle donne nella battaglia per il cambiamento, per la libertà e i diritti civili e politici che si sta combattendo in Iran. Orgoglio, testardaggine e ribellione sono armi capaci di minare le basi e in prospettiva di far esplodere il regime islamico. Opporsi ai regimi liberticidi implica sempre un prezzo altissimo da pagare sul piano personale. Mettere a rischio la propria vita e le proprie sicurezze, rinunciare ai propri sogni e al proprio piccolo mondo egoistico è però a volte l’unico modo per cambiare veramente le cose. Pertanto la lotta fisica sul tatami di Leila Housseni si fa metafora della lotta psicologica, politica ed esistenziale che trascende la sua individualità. La scelta di girare il film in bianco e nero non è estetica, ma universalizza questa idea, materializza la natura estrema del riscatto ed è funzionale a rendere appieno la drammaticità della vicenda narrata, dei risvolti e delle conseguenze terribili che si prospettano per quanti osano ribellarsi al regime e a trasmettere tutto il rigore della denuncia politica che lo anima e lo caratterizza.
 
I registi, Guy Nattiv e Zar Amirhanno, hanno unito le proprie diversità, le proprie appartenenze apparentemente così distanti e conflittuali e si sono scoperti affratellati nella condivisione dell’arte, dell’estetica e del cinema, offrendoci un racconto, scarno, diretto, sofferto e sincero, che anche grazie alle potenti interpretazioni delle due protagoniste, ne fanno un vero tesoro e un bellissimo esempio di cinema civile, che colpisce le coscienze e i cuori degli spettatori.
Pubblicato in Riflessioni