Ecco perché va rivisto il titolo V della Costituzione che dà pieni poteri alle Regioni
di
Pierino Ricci
Per Latina 2032
Le costituzioni democratiche regolano l’organizzazione e la vita di società in continua trasformazione. Esse assicurano, in primo luogo, che queste trasformazioni non travalicano o intacchino principi e diritti che hanno valore universale (o che comunque sono stati ritenuti irrinunciabili dai costituenti). Tra questi, la democrazia, l’uguaglianza, la dignità umana, i diritti e le libertà costituzionali (dei singoli e delle loro comunità o associazioni). Non fa il bene del paese chi propone riforme senza valutarne la rispondenza alle trasformazioni socio-politiche-economiche in atto.
Questa riflessione vale per la forma di governo (il cosiddetto Premierato e autonomia differenziata). Nel primo caso si sottovaluta il fatto che la crescente complessità delle società attuali e la crescente polarizzazione e radicalizzazione delle opinioni politiche e culturali non suggeriscono il ricorso a modelli presidenziali o semi presidenziali, anche se dotati di tutti i necessari freni e contrappesi. Altrettanto vale, però, per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Con essa si daranno alle Regioni nuovi poteri esclusivi in materie dove oggi la competenza è concorrente fra Regioni e Stato.
Ma siamo sicuri che l’attuale ripartizione di competenze non sia stata pensata per un mondo che non c’è più? In effetti, nel mondo globalizzato di oggi, in molte di quelle materie (come l’energia , commercio estero, rapporti internazionali, la sanità, la scuola e ricerca, il cambiamento climatico, infrastrutture strategiche, telecomunicazioni) le competenze più che concorrenti fra Roma e Bologna o Bari e Potenza, dovrebbero essere concorrenti fra Roma e Bruxelles, e di fatto lo sono già.
Non ha senso dunque pensare di dare alle Regioni competenze esclusive in queste materie, per le quali già gli attuali loro poteri sono oggi eccessivi. Sono aumentati i costi con i centri di spesa (oggi ne sono 21 a livello Regionale) con risultati deludenti alle esigenze dei cittadini (in particolare la sanità e la scuola, materie queste che non andrebbero regionalizzate). Anche se bisogna dire che la riforma dell’articolo V del 2001 ha introdotto alcune innovazioni positive, come l’autonomia e la responsabilizzazione finanziaria delle regioni ed enti locali, ma non ha valutato a sufficienza come il mondo e l’Italia erano cambiati.
Ecco, occorre farlo ora evitando di proseguire su una strada sbagliata. Ma costruire una repubblica delle autonomie ben funzionanti. Farlo non è ritornare al centralismo. Va fatto per riavvicinare i giovani e tutti coloro che, oggi, si allontanano e sono sempre più sfiduciati dalla politica, riportando la politica e le risorse nei territori laddove sostanzialmente ci sono i problemi irrisolti.