Domenica, 13 Aprile 2025 05:13
C'è della follia in questo metodo
“Ve lo dico io, questi Paesi ci stanno chiamando per baciarmi il culo. Lo stanno facendo. Muoiono dalla voglia di fare un accordo”. Il Presidente Donald Trump si è espresso in questi termini durante una cena del National Republican Congressional Committee a Washington, riferendosi ai leader dei Paesi colpiti dai dazi varati dalla sua amministrazione in queste settimane, i quali avrebbero contattato la Casa Bianca per chiedere di trattare e porre fine alla guerra commerciale in atto, estremamente pericolosa per la tenuta dell’economia mondiale. Il senso del messaggio del tycoon newyorchese è chiaro: gli Stati Uniti si trovano in una posizione di forza e sono in grado di imporre le proprie condizioni agli altri Paesi del mondo.
Le parole dello sceriffo di Washington, riprovevoli per scurrilità e rivelatrici di una palese inadeguatezza a ricoprire la funzione istituzionale di presidente degli USA, suonano oltremodo gravi e offensive in quanto rivelatrici di una concezione feudale delle relazioni internazionali, per cui il sovrano pretende l’omaggio servile, il bacio della pantofola, l’umiliazione in cambio di clemenza e di un trattamento di favore. Se è vero che la scelta del muro contro muro, della reazione altrettanto dura e forte rischia di innescare una spirale pericolosa, parimenti però è impensabile andare ad elemosinare le briciole dalla tavola di un prepotente e spregiudicato affarista, il quale si serve del ruolo istituzionale unicamente per arricchire se stesso e la ristretta cerchia dei miliardari suoi sodali e rinunciare a qualsiasi pretesa di rispetto per la propria dignità. Sicuramente una guerra commerciale non giova a nessuno, anzi la storia ci insegna che semina odi e risentimenti e frequentemente rappresenta l’anticamera di guerre combattute sui campi di battaglia e con le armi. Occorrono pertanto lucidità e consapevolezza della reale posta in gioco, insieme a senso di responsabilità e visione strategica, merci piuttosto rare in un contesto internazionale dove imperano classi dirigenti di assai scarsa levatura.
Sconcerta certamente poi che la crisi economica e finanziaria che si profila all’orizzonte è il risultato di un’azione destabilizzante delle relazioni internazionali e degli scambi economici provocata da una condotta scellerata e non conseguente a fattori indipendenti dalla volontà delle autorità politiche.
In linea generale l’economia di ogni singolo paese è un sistema complesso e dipende dal combinarsi di fattori molteplici, tanto è vero che il frequente attribuirsi i meriti da parte dei governi di turno dello sviluppo e soprattutto della crescita dell’occupazione è sempre abbastanza discutibile. Tuttavia quanto sta accadendo negli Stati Uniti è un caso molto particolare, in quanto i sempre più ricorrenti segnali negativi per la crescita economica sono l’effetto, quasi interamente, delle scelte dissennate, delle affermazioni estemporanee e contraddittorie e dei repentini e continui cambi di rotta del Presidente e dell’armata brancaleone della sua amministrazione. Se l’obiettivo del tycoon newyorchese è la riconfigurazione dell’economia americana, puntando sulla produzione domestica e sul rilancio del mercato dei beni e delle imprese americane, non è detto che, al netto degli inevitabili costi nel breve periodo, la strategia possa funzionare, sempre ammesso che una strategia ci sia…...
In un primo momento i mercati avevano reagito positivamente all’elezione di Trump, considerato pro-business e favorevole alla deregolamentazione, ma con i primi sussulti della guerra commerciale hanno cominciato a mostrare atteggiamenti assai meno positivi, come dimostrano l’andamento dei mercati e la caduta continua delle borse americana e internazionali. Il Wall Street Journal, già a febbraio, aveva definito quella di Trump “la più stupida guerra commerciale della storia”.
Gli umori dei mercati possono anche divergere rispetto a quelli delle persone e all’economia reale, ma sicuramente il clima di incertezza e contrapposizione rischia di frenare lo sviluppo e di minare la fiducia di investitori e imprese. L’attività economica necessità di regole chiare, sicurezza e stabilità per poter funzionare correttamente. Un’elevata incertezza, sotto i diversi aspetti, produce effetti negativi sulla performance economica di un paese. Tuttavia un conto se l’incertezza dipende da fattori che sfuggono al controllo dei governi, un conto se, come sta accadendo oggi negli USA, sono i governi a generarla, unitamente al convergere di altre variabili indipendenti. Sempre il Wall Street Journal, in un pezzo sulla guerra commerciale in corso, ha scritto: “Benvenuti nella giostra dei dazi di Trump, dove non sai mai che cosa succederà dopo”. Annunci, giravolte, dazi imposti e poi sospesi o ritirati fanno aumentare esponenzialmente il rischio di una recessione economica globale con perdita di posti di lavoro e di potere di acquisto da parte soprattutto delle fasce più deboli e povere dei cittadini.
Se a tutto questo aggiungiamo che la ricetta trumpiana per rilanciare l’economia, come scritto nel suo programma elettorale, è quella di andare nella direzione di un’America fatta su misura per i più ricchi, la situazione diventa ancor più pericolosa e preoccupante. Infatti oltre ai dazi Donald Trump punta a tagliare le imposte sia alle persone fisiche che alle imprese, come già sperimentato durante la sua prima amministrazione, ma questo tipo di politiche pro business sono ingannevoli perché non vanno affatto a migliorare la vita dell’americano medio e favoriscono i più abbienti senza grandi effetti sulla crescita.
In definitiva ci aspettano tempi difficili politicamente, economicamente e socialmente e l’unica speranza è un rinsavimento, indotto dagli effetti negativi di scelte folli e dal crescere di un dissenso forte, articolato e profondo tra i cittadini americani.
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Riflessioni