Le parole sono importanti
Questa che segue vuole essere una riflessione personale esclusivamente sull’uso del linguaggio che in questi ultimi giorni ha riempito i nostri canali social, scatenati in seguito agli ultimi avvenimenti per i brutti fatti del cimitero e che hanno portato poi alla crisi amministrativa e alle dimissioni del Sindaco Di Raimo.
“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”. Così Michele Apicella (Nanni Moretti) nel film Palombella Rossa (1989) rispondeva alla giornalista a bordo piscina, riprendendola di brutto per l’uso decisamente approssimativo e sgarbato di alcune forme linguistiche espresse in italiano. Ognuno di noi, quando decide di intervenire pubblicamente in un dibattito pubblico, in questo caso solo virtuale, dovrebbe avere sempre l’obiettivo di essere il più chiaro possibile e di usare parole cristalline, senza troppi giri di parole fumose e senza essere troppo offensivo delle posizioni o diritti altrui, usando al meglio la lingua italiana e la tempestività della comunicazione.
Per sintesi, ne è scaturita una pagella, un po’ semiseria (non sparate al tastierista da strapazzo), con tanto di voti che lasciano il tempo che trovano.
Per ulteriore chiarezza, non voglio con questo esprimere giudizi di merito sulle indagini, né sulla prassi amministrativa o sulle prese di posizione politiche dei diversi attori scesi in campo; è solo una riflessione sui diversi stili comunicativi, sulle parole più o meno controllate che sono state usate e per provare a non pensare alla drammaticità di altre parole, quelle scolpite nei provvedimenti della Procura della Repubblica.
- I commenti social incivili:
Leggendo i commenti alle notizie in questione condivise su Facebook dai locali giornali online o singoli cittadini, ci si imbatte troppo spesso in parole (non più di 4 o 5) in un italiano sgrammaticato e con epiteti irripetibili, offese personali dirette a destra e manca, quasi sempre oltre i limiti della decenza pubblica. Come se si fosse aperta la gara a chi la spara più grossa, senza controllo e filtro alcuno, anche da parte di persone che solitamente non commentano mai e non postano alcunché, leoni da tastiera per un giorno a rischio vero di querele della controparte offesa. Torna alla mente la frase di Umberto Eco: "I social network sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel". Tutti hanno il diritto di commentare ed intervenire in un dibattito che si è aperto per questi fatti di Sezze, ma lo si faccia con decenza e riflettendo bene prima di scrivere, magari articolando meglio il pensiero con le giuste parole e senza pensare di essere immuni da peccati, ricordando che in quella gogna pubblica potremmo finirci tutti prima o poi. Voto 0 (zero)
- I comunicati di associazioni varie:
Diverse associazioni setine non hanno perso l’occasione per battere un colpo ed intervenire nel dibattito con interventi perlopiù ben scritti e composti, anche con riferimenti dotti e alti. Alcune di queste, più politicizzate, hanno approfittato per togliersi vecchi sassolini dalle scarpe e aprire in largo anticipo la campagna elettorale verso Palazzo De Magistris; altre associazioni con critiche inappuntabili su quanto accaduto tendono a sottolineare come la perdita dei valori etici della politica rappresenti una piaga costante della vita sociale e politica; altre ancora, solitamente afone, impegnate in un continuo letargico soliloquio nel proprio enclave, che invitano la cittadinanza alla riscoperta del valore della legalità pubblica, mentre in altre recenti occasioni in cui lo stesso alto valore della legalità era stato parimenti minacciato, si erano distinte per l’assenza, distratte o in conflitto intimo: Voto 4 (la media tra 6, 4 e 2).
- I quotidiani online
In genere hanno riportato le notizie nude e crude, quasi sempre asetticamente, senza commenti di redazione o riflessioni più approfondite sui dettagli più personali o sulla politica. Hanno dato spazio a tutti coloro che hanno avuto da dire sulla vicenda – anche persone singole senza organizzazioni strutturate alle spalle – quasi sempre virgolettando i comunicati ed evitando di scrivere corsivi dai toni giustizialisti. Qualche direttore più navigato, rifugiandosi nell’alveo del terreno favorito, ha preferito cavalcare lo stile ironico della satira, tra dialetto e citazioni di canzone d’autore. Un plauso sincero, in altri tempi pre-social saremmo stati tutti in attesa delle voci di corridoio o del quotidiano in edicola del giorno dopo, invece siamo stati aggiornati praticamente in tempo reale, come succede durante le crisi del Governo nazionale (sono mancate le dirette video, ma in tempo di Covid ci possiamo accontentare) Voto 7+.
- I comunicati dei gruppi consiliari e dei singoli consiglieri
Un po’ in ritardo rispetto ai tempi rapidi della comunicazione moderna e alle attese dei cittadini, sono arrivati anche i comunicati dei consiglieri comunali (non tutti a dire il vero). Sono stati scritti con calma a tavolino, riflettendo e pesando le parole, a tratti eleganti e senza traccia di rabbia, sono percepiti dal lettore medio quasi tutti simili però: un po’ a scusarsi di non aver saputo vigilare l’incresciosa situazione, poi a ricordare i princìpi ispiratori della propria illuminata azione e infine a rivendicare gli sforzi profusi, i successi e i risultati amministrativi ottenuti (?!?!). Tutti d’accordo (o quasi) nel ritenere ormai chiusa l’esperienza amministrativa iniziata nel 2017 con l’elezione del Sindaco Di Raimo (ringraziato, come dovere istituzionale da tutti). Una annotazione critica e cattivella: queste lettere pubbliche risultano confezionate con uno stile ed una chiarezza comunicativa molto ben superiore alla qualità media degli interventi in aula, quelli declamati a voce durante le sedute pubbliche del Consiglio comunale, spesso difficili da capire, disordinati, infarciti di frasi fatte in politichese, battute e cadute di stile fuori luogo. Voto 6.
- Comunicati degli Assessori, vice Sindaco escluso.
Non pervenuti, d’habitude… S.V.
- Comunicato del partito del Sindaco
Chi lo ha visto? Nonostante le molte penne in servizio permanente effettivo, ben avvezze a comunicare e commentare sui social con costanza bulgara anche il minimo spostamento d’aria dalle parti della Pisana, non risulta finora pervenuto alcun commento ufficiale scritto; solo voci di corridoio e tanti si dice. Voto: N.V.
- Comunicati del Sindaco
Tre (o quattro, cinque) in tutto: il primo neutro, di prassi, senza anima, subito dopo gli arresti dichiarando di essere come Autorità a disposizione della magistratura (e vorrei vedere…). Il secondo, tardivo e improprio, arrivato solo per comunicare non le sue ma le dimissioni del vice Sindaco; poi quello in cui era annunciata la volontà di dimettersi, invitando anche tutti i consiglieri a fare altrettanto: insolito nella sostanza oltre che nella forma, troppo sibillina per un Sindaco nel guado di un passaggio cruciale (dimissioni sì o no?). Tanto che subito dopo, quando tutto il paese parlava ormai di dimissioni del Sindaco come un dato assodato, c’è stato bisogno di una precisazione, non equivalendo sostanzialmente la prima lettera a vere e proprie dimissioni. Infine, con l’aumento del numero delle dimissioni ufficializzate dai singoli consiglieri, la lettera di dimissioni vera e propria, una resa incondizionata, con il linguaggio povero e freddo degli armistizi di guerra. In questo ultimo atto – ancora sub judice per 20 giorni - non si è percepita la stessa forza espressiva usata verbalmente in altri momenti della sua azione politica amministrativa, quando era sembrato un retore di altri tempi in difesa di un’operazione non andata poi a buon fine: Voto: 5, aumentato per il ruolo istituzionale rivestito.
- L’orologio della piazza
Profilo anonimo Facebook, diventato col tempo una vera e propria spina nel fianco dell’Amministrazione Di Raimo – a volte con toni e modalità espressive riprovevoli ai limiti dell’offesa personale – ha percorso costantemente il sentiero della critica irriverente più feroce - un po’ come le vignette di Charlie Hebdo – presentando video-animazioni artigianali di famose scene cinematografiche (quasi sempre di autori e pellicole ben scelte) riadattandole al contesto politico attuale e ai relativi protagonisti. In questi ultimi giorni ha regalato piccoli gioielli minori che hanno fatto sorridere un po’ il pubblico dei social, molto meno i diretti interessati spesso indignati e furibondi per l’anonimato dietro cui si nascondono gli autori. Sulla scia dello slogan sessantottesco “La fantasia distruggerà il potere ed una risata vi seppellirà!”, questa profilo ha rappresentato, comunque la si pensi, una novità assoluta per coerenza di stile e sintesi comunicativa: Voto 8.
P.S.
6 bis – Comunicato del Partito del Sindaco, circolo di Sezze, segretario provinciale e segretario regionale.
Nel pomeriggio del 24 marzo, dopo che questo articolo era stato inviato per la pubblicazione il giorno successivo, è arrivato (siglato con 3 firme) il tanto atteso comunicato del partito che impone un’appendice a quanto già scritto. Nel lungo comunicato si evidenzia che nessun esponente né amministratore del partito sia coinvolto nelle indagini in corso. La linea sembra quella di sempre in casi di inchieste di questo tipo: non cercate i colpevoli tra di noi. Poi i ringraziamenti di rito per lavoro, impegno e sensibilità al Sindaco uscente, ai loro assessori, al Presidente del Consiglio comunale, alle loro consigliere e ai loro consiglieri che pur non essendo in alcun modo coinvolti nelle indagini (repetita iuvant) hanno responsabilmente rimesso il loro mandato istituzionale. Poi anche un plauso di sfuggita agli altri consiglieri di maggioranza che hanno sostenuto sempre (o quasi) la giunta setina, senza nessun accenno all’assessore coinvolto nelle indagini che per 4 anni è stato il vice sindaco, unico sempre presente in giunta insieme a Di Raimo dal 2017. Passano gli anni, i giorni e se li conti anche i minuti ma lo stile sembra quello già letto e sentito altrove, sì c’è stato qualche problema ma ripartiamo più forti e coesi che pria, Sezze ha bisogno della nostra presenza. Francamente non aggiunge nulla se non una difesa di parte, autocritica di facciata e sembra scritto rimirando il proprio ombelico, più che guardando alla Comunità e prospettando un’alternativa diversa.
Voto: insufficiente.
Finale
Merito anch’io un voto basso – datelo voi -, non ce l’ho fatta a far finta di niente, non riesco a perdere il vizio di dire sempre e comunque la mia dall’alto della sicumera che mi rimproverano anche i miei amici più cari: Excusez-moi, si vous pouvez.
Un Natale difficile ma possibile
Il Natale che ci apprestiamo a vivere non sarà come i precedenti, per nessuno di noi.
Cinquantamila morti italiani, una decina a Sezze, non ci consentono di viverlo come sempre.
Non sarà il solito Natale per chi non potrà trascorrerlo con i propri cari, quei genitori o nonni che sono stati portati via da un virus venuto da lontano e che è ancora tra di noi.
Non lo sarà per chi è ricoverato in ospedale, alle prese con una fame d’ossigeno che medici ed infermieri cercano di combattere e curare con ogni mezzo a disposizione.
Non lo sarà neanche per le famiglie costrette in quarantena a casa, con uno o più dei componenti ad aspettare la negativizzazione del tampone.
Non lo sarà per chi non potrà raggiungere la propria famiglia di origine che vive altrove, come da tradizione di fine anno.
Non lo sarà per coloro che, a causa degli effetti del distanziamento sociale della pandemia, hanno perso il lavoro e molto di quello che avevano ed ora stanno vivendo sulla propria pelle una negatività che rischia di sfociare nella disperazione.
Non lo sarà neanche per i pazienti cronici sofferenti di altre patologie e che non riusciranno a svolgere i previsti controlli in ospedale, che adesso sono quasi tutti ora trasformati in bunker dedicati al Covid19.
Inutile negarlo, nessuno si sarebbe aspettato all’inizio del 2020 di vivere un Natale così strano, con tanto pessimismo nell’aria.
Come avviene per altri giorni-memoria dell’anno, le ricorrenze di avvenimenti più o meno importanti o evocativi, anche di respiro più laico e istituzionale (per es. il 25 Aprile ed il 2 Giugno), il significato di una festa assume le più diverse coloriture e percezioni soggettive, a seconda di molteplici fattori in gioco.
Per Natale è più o meno lo stesso.
C’è infatti chi aspetta la ricorrenza del Natale, chi il cenone della vigilia di N., chi il regalo di N., chi il presepe e chi l’albero di N., chi gli auguri di N., chi il messaggino di buon N., chi il faccione di Babbo N., chi la recita di N. e chi le vacanze di N e chi, infine, non vede l’ora di assaporare la liturgia di Natale.
Nel pieno del vortice di questo autunno da seconda ondata pandemica che ci sta cambiando le vite tra normative nazionali, regionali e comunali che a fatica cerchiamo di rispettare, pazientemente segnati da mascherine sempre indossate e igienizzanti a portata di mano, ora si sta parlando di anticipare la Messa di Mezzanotte.
Nel primo duro periodo di lockdown, la Chiesa italiana, venendo incontro alle esigenze sanitarie imposte dal Governo al Paese, ha chiuso le chiese per due mesi, non consentendo la presenza dei fedeli alle celebrazioni delle liturgie presiedute solo dai sacerdoti. Anche i funerali sono stati vietati…
Le chiese sono state riaperte poi a maggio con la prima discesa del numero dei contagiati, a patto di introdurre rigide regole di comportamento tra i banchi, sulla base di programmi condivisi tra Governo e CEI.
Allora ci furono voci stonate di veterocattolici e presunti liberi pensatori laici che parlarono addirittura di attentato mortifero alla libertà di culto, quella sancita dalla Costituzione. Si alzò poi alta e chiara la voce di Papa Francesco per mettere a tacere le polemiche e ricordare a tutti come la Chiesa è parte integrante della Comunità, non altra e privilegiata rispetto alle esigenze cautelative sociali, e che il buio del periodo Coronavirus sarebbe stata un’occasione di meditazione e di prova anche per la Chiesa e i cattolici.
Anche si sentono voci sguaiate scandalizzarsi alla sola ipotesi di dover anticipare la tradizionale liturgia della Messa di mezzanotte al tardo pomeriggio o alle prime ore della sera. Le stesse chiese che sono sempre meno frequentate in Italia nelle domeniche normali, quelle che riempiono di persone solo per festività, liturgie funebri o di Prima Comunione, diventano nuovamente occasione irrinunciabile per le voci sguaiate dei paladini delle tradizioni non riempite di sostanza e si torna a parlare di attentato alla libertà religiosa.
Fortunatamente, anche in questi giorni si alzano chiare e nette le parole di qualche illuminato comunicatore che prova a rimettere i puntini sulle i. Padre Antonio Spadaro, teologo gesuita attuale direttore di Civiltà Cattolica, con un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano lo scorso 1 dicembre, ci aiuta a fare un po’ di discernimento nei difficili tempi che stiamo vivendo, in cui le voci che urlano sembrano aver sempre ragione.
Ne ripropongo di seguito qualche passaggio, sperando possa essere d’aiuto a quanti vogliono andare alla sostanza del Natale, magari per prepararsi a viverlo nel migliore dei modi.
<I Vangeli di Matteo e Luca non forniscono indicazioni cronologiche precise. L’affermarsi della festa nel giorno del 25 dicembre la si deve molto all’opera del Papa San Leone Magno (440-461). In nessun modo la Chiesa ha mai definito questo punto, lasciando che il giorno del Natale di Gesù si consolidasse come semplice tradizione. Nel 1993 San Giovanni Paolo II, durante l’udienza di preparazione del natale disse, ad esempio: “La data del 25 dicembre, com’è noto, è convenzionale”>.
<Un documento attesta che già nel 354 si celebrava a Roma la festa cristiana del natale celebrata il 25 dicembre. Essa corrisponde alla celebrazione pagana del solstizio d’inverno Natalis solis invicti cioè la nascita del nuovo sole dopo la notte più lunga dell’anno. Questa è la data nella quale viene celebrata la nascita di Colui che è il Sole vero che sorge dalla notte del paganesimo>.
<Nella notte di Natale ci invita a fare l’esperienza spirituale dell’entrare nell’oscurità per ammirare e adorare il manifestarsi della vera Luce, quella del verbo di Dio che incarnandosi ha illuminato la Storia>
<Il dato simbolicamente importante per la celebrazione della notte non è dunque l’orario esatto – che sia mezzanotte o altri orari – ma il fatto che si celebri quando è buio e non c’è luce>.
<Veniamo a noi: certamente la politica non deve parlare di come si celebra la liturgia di Natale. E certamente la Chiesa deve evitare che le celebrazioni diventino luoghi di contagio. Le indicazioni circa il modo in cui le celebrazioni debbono svolgersi nel luoghi di culto sono solo un esempio di delle restrizioni di vasta portata all’esercizio di molti diritti umani e libertà civili in tutto il mondo, causate dallo sforzo per far sì che la distanza fisica prevenga efficacemente le infezioni>.
<Non c’è da sollevare da parte alcuna polemiche pretestuose su temi così delicati che toccano sia il bene comune e la salute dei cittadini sia alcuni valori spirituali che fondano la coesione sociale>.
Un’ultima mia riflessione, partendo dalla lettura di queste parole chiare di Padre Spadaro: se potessimo approfittare di questo periodo di Avvento, buio e oscuro come mai prima a causa del Covid, per provare a guardarci dentro - io per primo - e a chiederci che posto occupa nelle nostre vite il Cristo bambino che si appresta a ri-nascere (lo stesso che poi ri-morirà in croce per poi ri-risorgere tre giorni dopo), a prescindere dall’orario della Messa in cui decideremo di partecipare, saremmo già in cammino.
Magari, più compiutamente, ri-avvicinandoci ai Sacramenti il nostro Natale sarebbe davvero “diverso” perché più intimo e sentito così da poter diventare occasione di “bene” verso gli altri, i più sofferenti e poveri delle nostre società, rinunciando a qualche regalo sfarzoso ma spesso inutile e destinare a questi sfortunati fratelli/concittadini/stranieri le nostre doverose opere di carità natalizie.
Piero e Ninetta... la guerra di Piero
La canzone fu pubblicata in 45 giri nel 1964 da un quasi esordiente giovane ventiquattrenne genovese, poi inserita anche nel suo primo 33 giri del 1966 (Tutto Fabrizio De André).
Per contestualizzare il momento, si pensi che il Festival di Sanremo di quell’anno lo vinse Gigliola Cinguetti con “Non ho l’età”, mentre “Una lacrima sul viso” di Bobby Solo e “In ginocchio da te” di Gianni Morandi risultarono i dischi più venduti dell’anno.
Già da allora in direzione ostinata e contraria, i testi delle canzoni di Fabrizio De André furono da subito percepiti dai giovani come una novità assoluta nel mercato musicale, controcorrente sia per composizione musicale che per argomenti prescelti.
De André non raccontava, come era allora di moda, dei primi sdolcinati innamoramenti o della fine strappalacrime di incontri estivi. Quasi sempre andava al di là delle solite narrazioni, proponendo storie dal sapore diverso, più reali e più intime. I suoi personaggi sembravano usciti dai libri di storia, ma non eroi piuttosto gente normale impegnata a vivere quasi sempre problematiche di stampo più sociale e collettivo, in questo caso specifico l’esperienza reale della guerra.
Quegli anni 60 erano iniziati con la paura di un possibile nuovo conflitto mondiale a seguito della cosiddetta Guerra fredda giunta all’apice tra USA e URSS nel 1961 con la crisi dei missili a Cuba di Fidel Castro, con J.F. Kennedy e Kruscev a minacciare azioni belliche. Nel 1963 l’enciclica PACEM IN TERRIS di Papa Giovanni XXIII, aveva riproposto al centro dell’attenzione mondiale le possibili azioni alternative alla dialettica di guerra tra le nazioni forti e a favore di una pregiudiziale pacifista degli incontri diplomatici.
Fabrizio, accanito lettore di tutto, dal suo punto di anarchico vista si trovò a riflettere sul perché delle guerre e in particolare sulle storie umane di chi quei conflitti li subiva, quasi sempre appartenente alle classi meno abbienti, con immani ricadute sociali e umane drammatiche.
E allora scrisse una delle canzoni più accorate del suo repertorio, che all’epoca fece molto scalpore nell’Italia dove non era previsto il diritto all’obiezione di coscienza per il servizio militare e che nel 1965 si dividerà sulle parole profetiche di Don Lorenzo Milani pubblicate su Rinascita con il titolo “L’obbedienza non è più una virtù”. Parole chiare e dure in risposta a un appello dei cappellani militari contro l’obiezione, in cui il priore di Barbiana scrisse parole illuminate sul valore sociale e patriottico della non-obbedienza agli ordini militari, spesso ritenuti ordini legittimi dal soldato anche durante la dominanza nazista.
Questa stessa canzone oggi è a pieno titolo inserita nelle antologie di letteratura italiana ad uso scolastico, tra i grandi autori nazionali, suonata e cantata anche dai più giovani.
Ecco Piero, un giovane soldato (di nazionalità indefinita, un soldato…) impegnato come fante al fronte in cui si combattevano sanguinose battaglie, che improvvisamente si scopre stanco di vedere cadaveri di soldati nei torrenti e di combattere un nemico temuto, mai visto in faccia.
Arriva una voce interiore che mette in dubbio la sua certezza di soldato e lo prega di tornare indietro perché spesso ai soldati ubbidienti spetta solo una tomba con una croce, come premio. Ma Piero non ascolta e, per dovere ed amor di Patria, va avanti superando monti e valli fino a quando si trova di fronte un soldato nemico in carne ed ossa. E la meraviglia lo assale nel vedere quest’uomo, sì nemico, ma che in realtà gli assomiglia nei connotati e nella sua stessa identica paura di combattere e morire, di diverso ha solo la divisa, simile ma di diverso colore.
A questo punto la stessa voce interiore, più concitata, gli suggerisce di sparare subito, per uccidere l’altro e salvare la propria pelle. Ma Piero tentenna, si perde nei suoi dubbi e viene bloccato dalla paura di dover vedere per la prima volta gli occhi di un uomo che muore, e non spara. Sarà un tempo di riflessione che gli costerà caro, perché l’altro si gira, impaurito a sua volta, lo vede, lo riconosce come nemico e subito spara, lui sì velocemente e senza i dubbi di Piero.
Così Piero muore sul colpo, portandosi dietro le sue domande universali sui mille perché della guerra, sulla difficoltà per alcuni di uccidere altri uomini.
Sì, perché le guerre di una volta erano combattute solo dagli uomini.
A piangere invece sarà una donna (come spesso accade ancora oggi, sono loro le altre vittime sopravvissute ai conflitti:), rimasta a casa con figli e gli anziani di casa: Ninetta. Toccherà a lei aspettare invano il ritorno del suo amato Piero e, perduta ormai ogni speranza, a piangerlo disperata, immaginandolo sepolto solitario in montagna ma trasfigurando la sua tomba senza lapide aggraziata da mille poetici papaveri rossi.