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Domenica, 06 Dicembre 2020 12:44

Un Natale difficile ma possibile

 

Il Natale che ci apprestiamo a vivere non sarà come i precedenti, per nessuno di noi.

Cinquantamila morti italiani, una decina a Sezze, non ci consentono di viverlo come sempre.

Non sarà il solito Natale per chi non potrà trascorrerlo con i propri cari, quei genitori o nonni che sono stati portati via da un virus venuto da lontano e che è ancora tra di noi.

Non lo sarà per chi è ricoverato in ospedale, alle prese con una fame d’ossigeno che medici ed infermieri cercano di combattere e curare con ogni mezzo a disposizione.

Non lo sarà neanche per le famiglie costrette in quarantena a casa, con uno o più dei componenti ad aspettare la negativizzazione del tampone.

Non lo sarà per chi non potrà raggiungere la propria famiglia di origine che vive altrove, come da tradizione di fine anno.

Non lo sarà per coloro che, a causa degli effetti del distanziamento sociale della pandemia, hanno perso il lavoro e molto di quello che avevano ed ora stanno vivendo sulla propria pelle una negatività che rischia di sfociare nella disperazione.

Non lo sarà neanche per i pazienti cronici sofferenti di altre patologie e che non riusciranno a svolgere i previsti controlli in ospedale, che adesso sono quasi tutti ora trasformati in bunker dedicati al Covid19.

Inutile negarlo, nessuno si sarebbe aspettato all’inizio del 2020 di vivere un Natale così strano, con tanto pessimismo nell’aria.

Come avviene per altri giorni-memoria dell’anno, le ricorrenze di avvenimenti più o meno importanti o evocativi, anche di respiro più laico e istituzionale (per es. il 25 Aprile ed il 2 Giugno), il significato di una festa assume le più diverse coloriture e percezioni soggettive, a seconda di molteplici fattori in gioco.

Per Natale è più o meno lo stesso.

C’è infatti chi aspetta la ricorrenza del Natale, chi il cenone della vigilia di N., chi il regalo di N., chi il presepe e chi l’albero di N., chi gli auguri di N., chi il messaggino di buon N., chi il faccione di Babbo N., chi la recita di N. e chi le vacanze di N e chi, infine, non vede l’ora di assaporare la liturgia di Natale.

Nel pieno del vortice di questo autunno da seconda ondata pandemica che ci sta cambiando le vite tra normative nazionali, regionali e comunali che a fatica cerchiamo di rispettare, pazientemente segnati da mascherine sempre indossate e igienizzanti a portata di mano, ora si sta parlando di anticipare la Messa di Mezzanotte.

Nel primo duro periodo di lockdown, la Chiesa italiana, venendo incontro alle esigenze sanitarie imposte dal Governo al Paese, ha chiuso le chiese per due mesi, non consentendo la presenza dei fedeli alle celebrazioni delle liturgie presiedute solo dai sacerdoti. Anche i funerali sono stati vietati…

Le chiese sono state riaperte poi a maggio con la prima discesa del numero dei contagiati, a patto di introdurre rigide regole di comportamento tra i banchi, sulla base di programmi condivisi tra Governo e CEI.

Allora ci furono voci stonate di veterocattolici e presunti liberi pensatori laici che parlarono addirittura di attentato mortifero alla libertà di culto, quella sancita dalla Costituzione. Si alzò poi alta e chiara la voce di Papa Francesco per mettere a tacere le polemiche e ricordare a tutti come la Chiesa è parte integrante della Comunità, non altra e privilegiata rispetto alle esigenze cautelative sociali, e che il buio del periodo Coronavirus sarebbe stata un’occasione di meditazione e di prova anche per la Chiesa e i cattolici.

Anche si sentono voci sguaiate scandalizzarsi alla sola ipotesi di dover anticipare la tradizionale liturgia della Messa di mezzanotte al tardo pomeriggio o alle prime ore della sera. Le stesse chiese che sono sempre meno frequentate in Italia nelle domeniche normali, quelle che riempiono di persone solo per festività, liturgie funebri o di Prima Comunione, diventano nuovamente occasione irrinunciabile per le voci sguaiate dei paladini delle tradizioni non riempite di sostanza e si torna a parlare di attentato alla libertà religiosa.

Fortunatamente, anche in questi giorni si alzano chiare e nette le parole di qualche illuminato comunicatore che prova a rimettere i puntini sulle i. Padre Antonio Spadaro, teologo gesuita attuale direttore di Civiltà Cattolica, con un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano lo scorso 1 dicembre, ci aiuta a fare un po’ di discernimento nei difficili tempi che stiamo vivendo, in cui le voci che urlano sembrano aver sempre ragione.

Ne ripropongo di seguito qualche passaggio, sperando possa essere d’aiuto a quanti vogliono andare alla sostanza del Natale, magari per prepararsi a viverlo nel migliore dei modi.

<I Vangeli di Matteo e Luca non forniscono indicazioni cronologiche precise. L’affermarsi della festa nel giorno del 25 dicembre la si deve molto all’opera del Papa San Leone Magno (440-461). In nessun modo la Chiesa ha mai definito questo punto, lasciando che il giorno del Natale di Gesù si consolidasse come semplice tradizione. Nel 1993 San Giovanni Paolo II, durante l’udienza di preparazione del natale disse, ad esempio: “La data del 25 dicembre, com’è noto, è convenzionale”>.

<Un documento attesta che già nel 354 si celebrava a Roma la festa cristiana del natale celebrata il 25 dicembre. Essa corrisponde alla celebrazione pagana del solstizio d’inverno Natalis solis invicti cioè la nascita del nuovo sole dopo la notte più lunga dell’anno. Questa è la data nella quale viene celebrata la nascita di Colui che è il Sole vero che sorge dalla notte del paganesimo>.

<Nella notte di Natale ci invita a fare l’esperienza spirituale dell’entrare nell’oscurità per ammirare e adorare il manifestarsi della vera Luce, quella del verbo di Dio che incarnandosi ha illuminato la Storia>

<Il dato simbolicamente importante per la celebrazione della notte non è dunque l’orario esatto – che sia mezzanotte o altri orari – ma il fatto che si celebri quando è buio e non c’è luce>.

<Veniamo a noi: certamente la politica non deve parlare di come si celebra la liturgia di Natale. E certamente la Chiesa deve evitare che le celebrazioni diventino luoghi di contagio. Le indicazioni circa il modo in cui le celebrazioni debbono svolgersi nel luoghi di culto sono solo un esempio di delle restrizioni di vasta portata all’esercizio di molti diritti umani e libertà civili in tutto il mondo, causate dallo sforzo per far sì che la distanza fisica prevenga efficacemente le infezioni>.

<Non c’è da sollevare da parte alcuna polemiche pretestuose su temi così delicati che toccano sia il bene comune e la salute dei cittadini sia alcuni valori spirituali che fondano la coesione sociale>.

Un’ultima mia riflessione, partendo dalla lettura di queste parole chiare di Padre Spadaro: se potessimo approfittare di questo periodo di Avvento, buio e oscuro come mai prima a causa del Covid, per provare a guardarci dentro - io per primo - e a chiederci che posto occupa nelle nostre vite il Cristo bambino che si appresta a ri-nascere (lo stesso che poi ri-morirà in croce per poi ri-risorgere tre giorni dopo), a prescindere dall’orario della Messa in cui decideremo di partecipare, saremmo già in cammino.

Magari, più compiutamente, ri-avvicinandoci ai Sacramenti il nostro Natale sarebbe davvero “diverso” perché più intimo e sentito così da poter diventare occasione di “bene” verso gli altri, i più sofferenti e poveri delle nostre società, rinunciando a qualche regalo sfarzoso ma spesso inutile e destinare a questi sfortunati fratelli/concittadini/stranieri le nostre doverose opere di carità natalizie.

Pubblicato in Attualità