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Riapertura dei presidi ospedalieri chiusi….ma non basta!

Nov 29, 2020 Scritto da 
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Il nosocomio San Carlo di Sezze

 

 

 

Il diffondersi del coronavirus in Italia ha messo ulteriormente a nudo lo stato di estrema sofferenza in cui versa il Sistema Sanitario Nazionale, riaccendendo i riflettori sui pesanti tagli che, in particolare negli ultimi 10 anni, hanno colpito la sanità pubblica, facendola scivolare in uno stato di disservizi e carenze ormai cronico. Disagi purtroppo in cui i cittadini sono costretti da molto tempo a fare i conti e che sono il risultato della sottrazione, dal 2010 ad oggi, di ben 37 miliardi alla Sanità. Azione, questa, che si è conseguentemente tradotta in un enorme calo del livello di assistenza a tutti i livelli tra cui la chiusura di tanti piccoli efficienti e produttivi ospedali, come il nostro Presidio Ospedaliero che, con i suoi reparti, è stato per tanti anni il punto di riferimento di parte della popolazione provinciale e soprattutto dei Monti Lepini. Il fatto è che, alla chiusura di tanti ospedali territoriali come il nostro, o come quello di Priverno e di Cori, come d’altronde quelli di tante realtà territoriali della Regione Lazio, non è seguito un miglioramento dei presidi sanitari provinciali. Cosa ancora più grave ed evidente, non è seguito un miglioramento dei servizi territoriali, in alcuni casi inesistenti o poco funzionanti, servizi tanto invocati da più parti per evitare il sovraffollamento, come si sta invece verificando, dell’ospedale Santa Maria Goretti, a discapito dei tanti malati per covid e per altre patologie. E’ evidente che l’emergenza COVID che si sta vivendo ha scatenato in tutte le Regioni d’Italia questi movimenti per la “riapertura” degli ospedali che con tanta fretta sono stati chiusi. L’adozione di misure di (s)fortuna come ospedali da campo (a volte più motivati da esigenze di immagine che non da forti esigenze organizzative) o addirittura di terapie intensive in spazi dedicati ad altre funzioni, deve spingerci comprensibilmente nella direzione di riappropriarci di servizi strettamente necessari per la salute pubblica. Se sei costretto a soluzioni così arrangiate perché non riqualifichi quello che hai dequalificato?

La convinzione che le “chiusure” fossero state frutto di tagli e non di scelte è molto radicata e, adesso, che si sa che sulla sanità si torna ad investire, quei tagli devono essere messi in discussione, al fine di dare risposte alla cittadinanza sull’emergenza che si sta vivendo e sul futuro che non può essere certamente tranquillo in chiave di assistenza territoriale. Sempre più spesso, in questo clima di paura e di incertezza, per il propagarsi del contagio da covid, molti, in queste settimane, cercano di essere rassicurati circa il ritorno alla normalità, sul fatto anche che le poche strutture sanitarie presenti nella provincia di Latina riprendano a funzionare anche per le altre patologie, e che le stesse non verranno depotenziate e impoverite di funzioni rispetto ad altre maggiori. Da ciò allora si pone l’imperativo e l’urgenza di richiedere ad alta voce e con forza, a tutte le istituzioni preposte, Provincia, Regione, Ministero della Salute, la riapertura dell’Ospedale San Carlo di Sezze, con i suoi reparti, quelli che si ritengono necessari quali integrazione di quelli presenti nell’ospedale Santa Maria Goretti di Latina, evidentemente anche con uno sguardo ad una politica comprensoriale, che contempli quindi anche l’esigenza dei Comuni limitrofi. Da ciò può anche ripartire una giusta politica sanitaria territoriale, finora inesistente e tanto sbandierata e richiesta, come necessaria, in questo periodo di emergenza sanitaria.

Certamente a questi grandi interventi devono accompagnarsi, a livello regionale e nazionale, delle diverse politiche, che costano grossi sforzi economici, e vedute anche lungimiranti, non solo quindi  per soluzioni solo oggi urgenti, ma che tengano conto anche del futuro per non trovarsi impreparati come per quello che stiamo vivendo. Certamente l’auspicata riapertura di questi ospedali, Sezze e tanti altri chiusi per le note questioni legate alla spending review, ripropone il problema della mancanza del personale, tanto evidente nel momento critico che stiamo vivendo. Ma è chiaro che in questo caso, per la soluzione di queste problematiche, non solo legate al momento covid, non è più possibile il permanere del numero chiuso delle facoltà con indirizzo sanitario, o di limitati posti nelle scuole di specializzazione sempre per i laureati in medicina. Così come, a livello regionale continuare a limitare i posti a concorso per la medicina generale. Basti pensare che quest’anno la Regione Lazio, per i medici candidati per la Medicina Generale ha emanato un bando per 101 posti, a fronte di un collocamento a riposo, solo nella provincia di Roma di più di 500 medici. In questo momento non si tratta soltanto di rispondere ad una emergenza che si è verificata, a cui chiaramente bisogna trovare le soluzioni più adeguate e necessarie, ma bisogna porsi il problema di come reimpostare una politica sanitaria, non guardando solo all’aspetto economico, ma alle reali esigenze della popolazione a cui bisogna garantire sempre e in ogni modo il diritto alla salute.

A tutti i livelli si deve chiedere un grande sforzo politico ed ideologico (MES si MES no), al fine di superare in questo momento, ma non solo, la critica situazione sanitaria che permarrà se le varie istituzioni non sapranno cogliere tutte le istanze che il fenomeno della pandemia ha evidenziato. Il superamento si di tutti gli aspetti che si sono presentati dal mese di febbraio ad oggi, ma nel contempo cominciare da subito ad impostare un discorso progettuale diverso che a tutti i livelli sia in grado di organizzare e realizzare tutti quei servizi capaci di evitare, per il futuro, tutte le tragedie che stiamo vivendo e garantire invece condizioni di vivibilità efficienti ed efficaci.

Quindi, accanto alla riapertura degli ospedali chiusi in tempi pre-covid, c’è bisogno di un cambio di mentalità dove i vari governi necessariamente comincino da subito a modificare lo status quo soprattutto nel campo della formazione sanitaria, eliminando da una parte certi privilegi che si sono instaurati a livello di una certa classe medica, e dall’altra parte, garantire il pieno diritto alla salute a tutti i cittadini e una giusta occupazione dei giovani professionisti che si affacciano degnamente nel mondo lavorativo nel settore sanitario. IL Sars-Cov-2 ci ha sorpresi e costretti quindi a inseguirlo. Non possiamo permetterci di correre questo rischio per la seconda o adesso per la terza volta. Per evitare di trovarci nuovamente in questa condizione bisogna muoversi in anticipo da subito non dimenticando che la pandemia ci ha sbattuto in faccia la nostra vulnerabilità e questo ci deve spingere a comprendere la ragione per cui l’abbiamo dimenticato. È chiaro quindi che le casse dello Stato potranno e dovranno riorganizzare il Servizio Sanitario Nazionale, dotandolo di tutto ciò di cui ha bisogno in termini di risorse finanziarie e umane. Questa è la sfida che ci aspetta e per cui tutti dobbiamo lottare, essere attori non solo di ciò che oggi può sembrare un sogno, ma tendere tutti a realizzare questa grande impresa.

 

Pubblicato in Attualità
Ultima modifica il Domenica, 29 Novembre 2020 13:03 Letto 1283 volte
Piero Formicuccia

Psicologo e dirigente P.A.

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