Le luminarie del Parco che ci riscaldano e ci uniscono
Scritto da Alessandro Mattei
L’amministrazione comunale di Sezze, per la gioia di molti cittadini e soprattutto dei bambini della nostra città, ha voluto illuminare queste tristi giornate contrassegnate dai bollettini Covid con l’installazione di luminarie nelle vie principali del paese. E’ una tradizione che si ripete da anni ma l’idea di accendere di colori e luci il Parco della Rimembranza è una iniziativa sicuramente nuova. E’ dallo scorso anno, infatti, che il Comune di Sezze ha pensato bene di installare delle luminarie nel monumento dedicato ai caduti e di rendere così la passeggiata “Fabrizio De Andrè” suggestiva e coinvolgente. Sappiamo tutti che purtroppo questo sarà un Natale diverso, segnato dalle distanze sociali e dalle difficoltà di spostamenti. Mancherà per molti il calore umano e la condivisione di momenti che pensavano tutti fossero scontati e infrangibili. Non ci saranno eventi natalizi particolarmente rilevanti ed il palinsesto del Natale Setino, come altri, sarà scarno di iniziative. Sforziamoci quindi di dare maggiore forza al buon senso, evitando polemiche sterili anche sulle luci natalizie, sperando che possano dare conforto e speranza a tutti coloro che stanno vivendo momenti bui e di tristezza. Viviamole come un momento di unità e calore.
23 Novembre 1980: terremoto in Irpinia. Il resoconto delle sedute del Consiglio Comunale di Sezze
Scritto da Vincenzo Mattei23 Novembre 1980
Terremoto in Irpinia. Il sisma provoca quasi tremila morti, oltre 8mila feriti e 280mila sfollati. Come per il Friuli, il Comune di Sezze è tra i primi a intervenire e a soccorrere.
25 Novembre 1980
Il Consiglio comunale delibera all’unanimità la somma di 5 milioni di lire per l’acquisto di generi alimentari di prima necessità. Affida il coordinamento di tutte le operazioni all’assessore anziano Titta Giorgi, con il sostegno dell’assessore ai servizi sociali Vincenzo Mattei. Si raccolgono 2 camion di vestiario, 20 quintali di mangime e 40 quintali di fieno per gli animali; un camion di viveri per la popolazione. Ogni socio della cooperativa Gramsci versa il prezzo di 1 quintale di pomodori; vengono raccolti libri, quaderni, penne e matite; viene inviata una squadra di tecnici (idraulici ed elettricisti) per la durata di 10 giorni; viene inviata una squadra di operatori sanitari e infermieristici; l’animatore dott. Jeph Anelli, dipendente comunale, viene inviato in loco a coordinare il lavoro degli operatori sociali e culturali; viene disposta una somma di 15 milioni per la ricostruzione e la ristrutturazione della biblioteca di Lioni, uno dei paesi più colpiti dal terremoto; alcuni funzionari del Comune, con a capo il vicesegretario Franco Federici, vengono inviati a ricostruire gli uffici anagrafici e demografici di Lioni.
Il 27 Novembre 1980
La quadra dei soccorritori, tutti volontari, si trova a Pontecagnano, con un convoglio carico di viveri e di vestiario. Il giorno dopo la squadra si dirige verso Solofra e Lioni, che diventa il punto di raccolta. Qui si allestisce un impianto idrico provvisorio e si prendono contatti con il Sindaco del paese. Il 30 Novembre , grazie al dottor Zarra e ad altro personale medico e infermieristico, si presta il primo soccorso ai feriti. Si creano punti luce nelle tende da campo. Si collabora a dare onorata sepoltura ai deceduti sotto le macerie nel Cimitero del paese; si sistemano e si istallano bagni e docce nel campo occupato dai Vigili del Fuoco.
Domenica 29 Novembre 1981
Si riunisce il Consiglio Comunale di Sezze in seduta straordinaria per il Gemellaggio tra Sezze e Lioni. È presente il Sindaco di Lioni Angelo Colantuono, i magistrati Alfonso De Paolis, Ottavio Archidiacono, Francesco Lazzaro, il vicepresidente del Consiglio della Regione Lazio on. Mario Berti e una folta delegazione del Comune terremotato. Dopo la commossa introduzione del sindaco di Sezze Alessandro Di Trapano che si impegna, a nome della intera cittadinanza, per la ricostruzione e la rinascita di Lioni, prende la parola il sindaco di Lioni Angelo Colantuono che esprime profonda gratitudine ai cittadini di Sezze che si sono particolarmente distinti per la loro umanità e disponibilità. Una gratitudine che resterà per sempre e che non sarà mai cancellata nella storia di Lioni perché, oltre all’aiuto materiale, è stato il senso profondo di solidarietà e di amicizia dei sezzesi che ha aiutato la cittadina irpina ad uscire dalla fase più drammatica. A conclusione della seduta i Sindaci di Sezze e di Lioni si sono scambiati una targa ricordo e il Consiglio Comunale ha approvato all’unanimità il Gemellaggio tra i due Comuni. Una gara di solidarietà che resterà impressa nella storia di Sezze e dei sezzesi. Per non dimenticare!
Il segretario del Consiglio comunale. Dott. Vittorio Pelagalli
Il sindaco Alessandro Di Trapano
Rientro graduale per le scuole di Sezze. Così è stato deciso dall’amministrazione comunale. A breve sarà pubblicata ordinanza del sindaco. Lunedì rientrano a scuola asili nido, scuole dell’ infanzia e scuole primarie, sia pubbliche che private. Da lunedì 30 novembre rientreranno le scuole secondarie di primo grado.
Fortunatamente la ragionevolezza resta uno dei principi su cui si lega la razionalità, la logica ed il buon senso, soprattutto in momenti difficili e delicati per tutti. Tenere fermo il timone e schiena dritta se si naviga in cattive acque e su fragili vascelli, senza pensare di cercare soluzioni pescandole con la canna di Sampei. Il presidente del consiglio comunale di Sezze, Enzo Eramo, interviene in merito alla difficile gestione dei contagi da covid19. Propone di ragionare e valutare caso per caso, anche sulla chiusura o riapertura delle scuole. “Nella nostra comunità la morsa del contagio non si attenua. Dobbiamo cercare tutti di gestire questa difficile situazione – afferma Eramo - la soluzione passa solo attraverso le azioni individuali. Non pochi nostri concittadini hanno già pagato il prezzo più alto: la vita. I casi anche nella nostra provincia sono tanti e ricostruire la mappa del contagio è difficile per questo diventa fondamentale collaborare e aiutare chi è preposto a farlo. È un elemento prioritario per spezzare la catena. Oggi dobbiamo "salvare" la nostra comunità stando uniti e limitando i contatti a quelli strettamente necessari, altrimenti non se ne esce! A proposito di scuola, tema delicato e non facile. Penso che sia opportuno pensare e stabilire dei criteri di riferimento, condivisi con Scuole e Asl, per eventuali ed eccezionali chiusure. Altrimenti rischiamo di passare l'anno con un dibattito perenne che logora istituzioni e comunità. È l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento”.
“Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia. Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via” (Luciana Littizzetto)
Vorrei tanto non scrivere della violenza sulle donne.
Mi piacerebbe che il 25 novembre fosse una ricorrenza anacronistica, obsoleta, memoria di una barbarie definitivamente sconfitta, retaggio di un’epoca tramontata, contrassegnata dal sigillo dell’incomprensibile e dell’assurdo, espressione di una malvagità che l’umanità si è lasciata per sempre alle spalle.
Mi piacerebbe non sentire pronunciare nei notiziari televisivi e non leggere sulle pagine dei giornali la parola femminicidio, non ascoltare racconti di carneficine domestiche. Purtroppo l’umanità continua a segnare il passo. La realtà ci costringe a fare quotidianamente i conti con brutalità assurde e inaccettabili compiute da autentici mostri ai danni delle donne e sempre più frequentemente, in un delirio distruttivo che non risparmia niente e nessuno, anche dei figli, agnelli sacrificali funzionali ad infliggere la sofferenza inaudita della perdita più atroce a colei che ha osato sottrarsi al proprio potere e rivendicare spazi di autonomia, a misurarci con storie di umiliazioni e soprusi che si consumano soprattutto nel chiuso delle mura domestiche e restano avvolte nel silenzio e nell’indifferenza. Le violenze conquistano l’onore della cronaca solo quando assumono vesti eclatanti e sfociano in gesti estremi e nell’omicidio, impossibili da nascondere o mascherare, ma ordinariamente presentano le sembianze della prevaricazione sottile e subdola, si nascondono nelle pieghe e nei dettagli apparentemente irrilevanti, nei piccoli gesti che raccontano una malevolenza radicata e un disprezzo profondo per la donna. Uomini orrendi, che osano chiamare amore quello che in realtà è l’esaltazione del proprio egoismo e la sua assoluta negazione.
È duro incrociare e sostenere lo sguardo di una donna violata ed abusata, che ha creduto nell’amore e ha messo in gioco se stessa, pensando di poter costruire un percorso di vita, di ritagliarsi spazi di serena realizzazione a fianco della persona amata e si è scoperta invece vittima di una possessività asfissiante, considerata alla stregua di un oggetto, privata di dignità e rispetto, precipitata in un incubo, in un inferno di sofferenze e degrado, soggiogata fisicamente e psicologicamente al punto da ritenersi sbagliata, esclusiva responsabile dei maltrattamenti subiti, colpevole della propria condizione, carnefice insomma di se stessa e non vittima. Frequentemente la sua colpa più grande è l’illusione di poter cambiare il proprio uomo, di poterne guarire l’ego malato, di poterlo aiutare ad uscire dal pantano popolato di incubi e ossessioni in cui è rintanato.
“Come hai fatto a non accorgertene?”.
“Come mai non te ne sei andata prima?”
“Perché non hai chiesto subito aiuto?”.
“Se hai accettato di restare in fondo così male non doveva essere….”.
“Sei fuggita da una prigione nella quale stavi per tua volontà e dunque che prigione era? Nessuno ti obbligava”.
Chissà quante volte abbiamo sentito ripetere queste parole, trasudanti scetticismo e prive di umana empatia e comprensione. Parole e domande come lame affilate capaci di ferire e umiliare ancora una volta le donne che, con grande sofferenza, si affrancano dalle catene e riescono a raccontare la loro esperienza sconvolgente. È difficile spiegare a chi non lo ha vissuto sulla propria pelle come sia stato possibile arrivare fin lì, spingersi al limite ultimo e perfino superarlo, capire che la sottomissione è una trappola, un gorgo in cui si viene risucchiati poco alla volta e spesso dolcemente attraverso una gentilezza formale al limite dell’irritante, una cortesia di linguaggio che è solo inganno, una attenzione affettata e insidiosa e una volta catturate è complicato divincolarsi, uscirne, liberarsene, superare quella barriera che impedisce persino di mandare segnali all’esterno, di comunicare quello che si sta subendo agli altri, i quali peraltro molto spesso nemmeno vogliono sapere.
Lungamente la violenza sulle donne è stata ritenuta socialmente accettabile, anzi normale, solo perché in moltissimi casi veniva subita supinamente e pertanto era invisibile o quantomeno è stato un tema ignorato, stimato irrilevante, non meritorio di attenzione, considerato da alcuni un tabù. Un mondo sommerso, nascosto e negato, nel quale reticenza, menzogna e neutralità l’hanno fatta da padrone e il silenzio ha aiutato oppressori e carnefici. Accettare e sopportare tacendo è stato l’imperativo per le donne: altre soluzioni o vie di uscita non erano possibili o immaginabili.
Nonostante gli sforzi e le lotte portate avanti per abbattere la concezione patriarcale delle relazioni familiari, il furore padronale e il senso del possesso maschile radicato e condiviso, il retaggio consolidato di un’idea della donna come oggetto di cui disporre a piacimento e della sua sottomissione all’uomo ancora resiste, come anche il muro dell’omertà che spesso circonda soprusi e violenze. Disinnescare un simile pensiero è indispensabile, ma purtroppo il solo deterrente della punizione non riesce a fermare la mano di chi usa violenza, strangola, soffoca, brucia e uccide. Molte donne vengono massacrate dopo aver denunciato e tante altre non sanno, possono o riescono a farlo. Pertanto contestualmente alla repressione è necessario investire in cultura e formazione, farmaci che non producono effetti immediati ma a medio e lungo termine: educare al rispetto della donna, proporre un modello relazionale improntato all’accoglienza in cui l’altra non è un possesso, un oggetto da controllare e dominare perché nessuno è mio o tuo….. Ci vorrà del tempo, ma ogni minuto di ritardo costerà molto in termini di traumi indelebili e vite.
Può sembrare irrispettoso il titolo di questa riflessione. Ma Papa Francesco ci sta abituando a queste sorprese e non finisce mai di stupire. Il Pontefice, “venuto dalla fine del mondo”, è soprattutto un pastore che ha ben presenti le condizioni di smarrimento e le esigenze di cambiamento dell’uomo moderno. La Chiesa, per lui, non è più un fortino da difendere con le armi e le scomuniche ma una casa aperta a tutti e che vuole difendere la propria identità teologica e morale costruendo ponti e non muri. Ciò non significa rinunciare ai propri convincimenti ma pensare che la verità è figlia della storia e del confronto, è il prodotto di una ricerca comune, fatti salvi alcuni princìpi non negoziabili. Con questo spirito missionario e pastorale, il Papa affronta di petto le questioni, anche quelle più spinose e delicate, avendo i piedi ben saldi piantati nella realtà di oggi. Egli non nasconde a se stesso e alla Chiesa che governa il dramma, gli orrori ma anche le infinite risorse di misericordia e di bontà dell’uomo moderno. Il passaggio incriminato sulla omosessualità, oggetto di questo breve articolo, è contenuto in un film-documentario intitolato "Francesco”, sollevando aspre critiche e facendo gridare allo scandalo. In esso il Papa sembra voler benedire le famiglie sessuali, con tanto di prole, quasi fossero uguali a quelle composte “regolarmente” da mamma e papà. Il documento risale a una intervista rilasciata nel maggio 2019 a una giornalista messicana ed ha come sfondo l’esperienza pastorale dell’allora arcivescovo argentino, José Mario Begoglio. Ne è seguito un dibattito che ha assunto le pieghe di un giallo, su cosa volesse dire realmente Papa Francesco. Non è la prima volta che questo accade in sette anni e mezzo di pontificato. Le riforme all’interno della Chiesa di Roma non sono state mai benedette e accolte con favore. A maggior ragione in questo periodo in cui, grazie al Papa argentino, si tenta di mettere argine e riparo al malcostume che si è annidato in parte della Curia Romana. E allora veniamo al dunque: il Papa, rispetto alla omosessualità, ha cambiato la dottrina della Chiesa o è vittima dell’ennesimo attacco da parte dell’ala conservatrice molto presente tra i Porporati? In questi casi occorre andare alla fonte ed essere estremamente fedeli e imparziali rispetto alle parole, allo spirito e al contesto dell’intervista. Fermo restando l’impianto missionario di ricerca dell’unità degli opposti, tipica della dottrina del gesuita Papa Francesco, basata sulla consapevolezza della drammaticità della storia umana e della natura paradossale della Chiesa Cattolica, fondata sulla tragica polarità tra la libertà dell’uomo e la Grazia divina culminante nel paradosso della figura di Cristo, Uomo e Dio. Nell’intervista sopra citata il Papa conferma quanto già affermato nella Esortazione Apostolica “Amoris laetitia” di quattro anni fa. E cioè che i giovani omosessuali devono poter essere riconosciuti dalla propria famiglia come persone, non devono essere allontanati, né espulsi, né discriminati. Le persone omosessuali devono avere una famiglia e non devono costituire una famiglia. Questo è il punto non soggetto a equivoci e a fraintendimenti. Il Pontefice considera le persone omosessuali figli e figlie di Dio, amati da Dio e che, sul piano giuridico, devono avere la possibilità di poter godere di una adeguata tutela. Di conseguenza papa Francesco esorta i legislatori a promulgare “leggi di convivenza civile”, proprio per evitare che le unioni omosessuali possano essere equiparate ai matrimoni. Non c’è dunque nessuna svolta della dottrina della Chiesa ma il riconoscimento della pienezza dei diritti di ogni persona, a prescindere da suo orientamento sessuale. Certo, ciò non è poco! Cade un vecchio tabù per la Chiesa cattolica che fin dal 1568, con papa Pio V, aveva dichiarato l’omosessualità un grave peccato e un reato da perseguire penalmente. Stiamo scoprendo solo adesso quali e quante tragedie umane abbia provocato questa norma. E quali e quante disumane e aberranti consuetudini, spesso insabbiate e nascoste, abbia tollerato fino ai numerosi reati di pedofilia e di aborti clandestini da parte di uomini e donne di chiesa. Cose orrende! Dice San Luca nel Vangelo, riportando le parole di Cristo, a proposito delle violenze contro i bambini:” …sarebbe meglio per lui che una macina da mulino gli fosse messa al collo e fosse gettato in mare, piuttosto che scandalizzare uno solo di questi piccoli …”. Con Papa Francesco è giunta l’ora di porre fine a queste piaghe e di cacciare il diavolo che si nasconde in Vaticano. Nonostante la mia scarsa competenza in merito e la mia laica religiosità, non è possibile non riconoscere coraggio e purezza di cuore a questo Pontefice! Il papa sa anteporre la verità ai pregiudizi, la misericordia alla condanna, il perdono alla scomunica. “Il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato”, (-Vangelo di Luca).
Non ci sarà alcuna sospensiva. Il collegio del Tar, riunitosi ieri pomeriggio, ha rigettato la richiesta di Don Massimiliano Di Pastina perché l'attività edificatoria eseguita dal sacerdote “non è sorretta da un valido titolo abilitativo”. Adesso se non ci saranno colpi di scena, la procedura di ripristino dello stato dei luoghi andrà avanti così come ordinato dall’ufficio tecnico comunale. Don Massimiliano Di Pastina aveva presentato il ricorso contro l’ordinanza 81 che lo obbliga, di fatto, allo smantellamento del cantiere aperto nel maggio del 2019. Nessun commento da parte del sindaco Sergio Di Raimo, primo grande sostenitore dell'opera poi rimessosi alla decisione degli uffici competenti.
Adesso che il Tar del Lazio ha accolto il ricorso del Sindacato Medici Italiani contro diversi provvedimenti della Regione Lazio, stabilendo che “l’affidamento del compito di assistenza domiciliare ai malati Covid del medico di medicina generale risulta in contrasto con i decreti legge varati nello scorso marzo, ”la funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid dovrebbe spettare unicamente alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale, istituite dal legislatore nazionale d’urgenza proprio ed esattamente a questo scopo“. La Regione ha già deciso di ricorrere alla Consulta perché di fatto la decisione mina la filosofia assistenziale e di contrasto al Covid . Ricorrendo contro la sentenza del Tar, vuole quindi ristabilire il ruolo importante che ha voluto dare ai medici di famiglia nella lotta al virus. Interviene nel merito il consigliere comunale di Sezze Serafino Di Palma, nei giorni scorsi presente in una riunione dei comitati in cui hanno partecipato anche i sindaci del distretto Lt 4. Per Di Palma, ora più che mai, è indispensabile la figura delle USCA, lì dove i tagli alla sanità hanno depauperato soprattutto i distretti della nostra Provincia e in modo particolare la sanità sui Monti Lepini. “Il problema - afferma Di Palma- nasce già nella prima fase della pandemia in quei territori che hanno pagato i tagli alla sanità. In quella prima fase sono nate le prime unità speciali che al Nord, in collaborazione con i medici di base, hanno prodotto ottimi risultati. Dobbiamo evitare assolutamente che i pazienti non gravi vadano negli ospedali già congestionati per le numerose emergenze, è importante che il paziente sia curato presso la propria abitazione come previsto per le Usca”. Il consigliere del Biancoleone ricorda che con il decreto legge del 9 marzo scorso il governo centrale aveva istituito le Usca in tutto il territorio nazione per ogni distretto con 50 mila abitanti. Adesso che la Regione Lazio punta sulle Uscar il concetto non cambia. Di Palma chiede di estenderle anche nelle province appellandosi al governatore. “Chiamiamole come vogliamo - conclude Di Palma- ma queste unità sono l’unica risposta che attendiamo da parte della Regione Lazio. Il governatore Zingaretti estenda le 100 Uscar previste per lo Spallanzani anche per i territori di Provincia che sono stati già declassati e abbandonati. E’ indispensabile istituire le unità speciale nei nostri distretti. Noi a Sezze abbiamo fatto la nostra parte approvando le due mozioni sulla sanità, spero che siano considerate e accolte”.
In uno dei momenti più delicati anche per la città di Sezze, a causa della diffusione incontrollata del covid 19, sono tante le preoccupazioni e i timori che crescono ogni giorno per quei lavoratori che sono costretti a lavorare a contatto con le utenze. Tra questi gli operatori ecologici della città, gli addetti alla raccolta dei rifiuti per conto della SPL Sezze. Tra di loro, visto l’andamento del virus, sta crescendo l’ansia ed il rischio di contagi ed è per questa ragione che chiedono maggiori tutele nell’espletamento delle loro mansioni. Nessuno di loro, da quanto ci risulta, è stato mai sottoposto a tampone e in molti casi la distribuzione delle mascherine e dei guanti non è avvenuta se non per diretta richiesta. Insomma gli operatori della SPL, anche appellandosi ai loro sindacati, chiedono di essere messi nella condizione di poter lavorare in piena sicurezza. Senza sollevare alcun tipo di polemica pretestuosa, gli operatori, soggetti a rischio come altri, chiedono ai vertici aziendali della SPL di considerare le loro richieste e quindi maggiore sicurezza: “Spesso le mascherine non ci vengono consegnate – ci hanno detto diversi operatori - e mai nessuno di noi è stato sottoposto ad un tampone. Siamo soggetti a rischio per il contatto diretto con i cittadini e chiediamo solo tutele sul posto di lavoro. Non vogliamo fare polemiche ma solo lavorare nella massima sicurezza”.
Biden stravince ma Trump nega la sconfitta
Scritto da Vincenzo Mattei
Biden stravince le elezioni del 3 Novembre ma Trump nega la sconfitta. Un fatto inaudito ed eversivo per la più grande democrazia del mondo. Cosa può succedere, allora? Spesso, nel bene e nel male, gli Stati Uniti anticipano ciò che potrebbe accadere nel resto dell’Occidente. Qualche giorno fa leggevo su “ la Repubblica” un commento molto puntuale di Ezio Mauro. Il giornalista sosteneva che è in gioco la democrazia in tutto il mondo. Il Presidente Trump (ancora in carica fino al 20 gennaio 2021), con il suo comportamento grave e pericoloso, sta mettendo in gioco il destino e le regole fondamentali che sono alla base della vita democratica dell’America. “In nome del popolo sovrano” non riconosce la sovranità e la volontà che si è espressa liberamente nel voto. Lo Stato, che lui ancora rappresenta, si rivolta contro se stesso; lui, il garante dell’unità del Paese, chiama gli elettori della sua parte alla rivolta contro l’altra parte che non l’ha votato, spaccando violentemente la popolazione in una sfida cruenta e dagli esiti imprevedibili. “La democrazia non è uno Stato ma un atto”, gli ricorda la neo-vicepresidente Kamala Harris. Nel senso che la democrazia non è data una volta per sempre ma va difesa e riconquistata ogni giorno perché è un bene supremo ma fragile e ha costantemente bisogno del consenso dei cittadini. Il voto è fondamentale, ma non basta. Occorre la partecipazione e il controllo degli eletti, occorre il rispetto delle regole da parte sia della maggioranza che della minoranza. Trump, alla fine, si arrenderà di fronte all’evidenza del risultato ma il trumpismo potrebbe continuare a diffondersi. Tutto l’Occidente democratico ha davanti a sé una sfida epocale contro i vari populismi e sovranismi che, in questi tempi difficili, si stanno diffondendo e intercettando i risentimenti, il malessere, le nuove immense povertà, le diseguaglianze, indirizzandole contro i sistemi democratici che, secondo loro, rappresentano solo le fasce sociali del benessere e del privilegio, guidate e controllate da una centrale mondiale speculativa e finanziaria. E dunque, la ribellione e la rivolta contro le democrazie sono giuste e sacrosante e tutto diventa lecito e consentito, perfino il conflitto violento e armato, il negazionismo, nuovi regimi autoritari e illiberali. La teoria del tanto peggio tanto meglio! Salterebbe, così, quel patto fondamentale tra gli uomini liberi e civili, che, fin dalla Rivoluzione francese, hanno segnato una svolta radicale nella storia dell’umanità in termini di progresso e di libertà. La democrazia è un bene prezioso e non può concentrarsi nelle mani di pochi oligarchi che gestiscono il potere a mani basse. Né può restare inerte e inerme di fronte alle diseguaglianze, alle discriminazioni, alle ingiustizie, al razzismo, alla povertà, alla mancanza di lavoro e alla disperazione di milioni di giovani. Bisogna, gradualmente, saper integrare la democrazia formale alla democrazia sostanziale, nutrita di diritti e di doveri. Ne vale la pena!
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Venerdì 13 novembre scorso i bambini del plesso Melogrosso di Sezze sono stati chiamati per eseguire un tampone sierologico presso lo stabilimento della ex Rossi sud, dopo un periodo di quarantena che li aveva costretti a stare a casa. Cercherò di raccontare quella giornata attraverso gli occhi di mia figlia Emma, in trepidante attesa di fronte a quella strana curiosità di vedere un tampone dal vivo. “Mamma, fa male?” mi chiede ripetutamente mentre viaggiamo verso Latina. “Ma certo che no! Ti ho già spiegato che è un Cotton fioc un po' più lungo che ti farà solo solletico”. Sembra che si sia tranquillizzata e sorride. “Mamma, ma se sarò brava cosa vincerò?”. È difficile spiegare che non si tratta di una gara e che non andiamo a divertirci. Ma, per rendere quelle ore meno pesanti le prometto un premio per il coraggio. Arriviamo a destinazione ed il suo stupore è subito evidente. C’è una lunga fila di macchine e noi ci accodiamo subito. Ci sarà da aspettare un po' ma lei si diverte a salutare la sua amica Alisia proprio dietro di noi. Si affacciano dai finestrini e cominciano a parlare: “Ali’, ho l’ansia! le grida, “anche io” le risponde l’amichetta. Ma intanto, inizia il giro di valzer delle auto e cosi Emma riesce a salutare dalla sua, tutti i suoi amici. Si guardano, si sorridono e sembra stiano danzando in un grande girotondo. Ma il capannone si avvicina o noi ci avviciniamo a lui e si capisce che siamo prossimi perché riusciamo a vedere “gli omini bianchi mascherati”. “Chi sono quelli?” rinizia Emma. “Sono delle persone brave che ti faranno il tampone” .E allora mi abbraccia e capisco che “la fifa fa novanta”. Le mie ginocchia diventano subito il suo sedile. "L’omino bianco" si avvicina e la rincuora con delle parole dolci. Così veloce da non sembrare vero. Fatto! Non so cosa sia peggio tra l’attesa del tampone e l’attesa del risultato. Certo che, la seconda cancella subito il ricordo della prima. Emma e gli altri bambini che, sono ancora sulle loro auto, sembrano tutti sereni in attesa che “l’omone col megafono” chiami il loro numero. Eh sì, perché ognuno ne ha uno ed Emma lo ha già appuntato sul suo diario personale. “Siamo ancora ad A16, mamma quando arriva il nostro?” mi chiede: “Dobbiamo aspettare, prima o poi arriva”. "Mamma, ma se il tampone è positivo?", continua lei, "Ti faranno un altro tampone!" replico io. "E allora avrò due premi per il coraggio?" aggiunge Emma. Rido perché vorrei davvero che fosse solo un gioco. Arriva il nostro numero “C22” ed il risultato è negativo. Emma tornerà a casa con un solo premio, per fortuna. Le mamme esultano ed il gruppo scuola si riempie di messaggi negativi che contrariamente alla loro accezione, questa volta, è bello leggerli.
In fila per il tampone presso la Ex Rossi Sud
“In un momento storico così importante per il riconoscimento dei pari diritti delle donne di tutto il mondo così come sancito dall’elezione di Kamala Harris, prima donna eletta alla vice presidenza degli Stati Uniti d’America, siamo indignati e increduli per l’ennesima provocazione di Libero. Spiace constatare che, ancora una volta, si stigmatizza il colore della pelle a discapito delle qualità politiche e professionali delle donne”. Carlo Verna, Presidente Consiglio Nazionale Ordine dei giornalisti e Paola Dalle Molle, coordinatrice Gruppo di lavoro Pari Opportunità del Cnog.
Kamala Harris è la prima donna eletta vicepresidente degli Stati Uniti. A 54 anni rappresenta il futuro del partito democratico americano. In staffetta con Joe Biden nel 2024, ha la possibilità di diventare il primo presidente donna della più grande potenza mondiale e rompere così quel soffitto di cristallo cui aspirava Hillary Clinton nel 2016. Prima donna procuratrice della città di San Francisco e poi dello Stato della California, nel 2016 ha conquistato un seggio in Senato, dove subito è diventata una figura di riferimento per il partito democratico. Gli interrogatori condotti nei confronti dell’ex ministro della giustizia Jeff Session e di Brett Kavanaugh, nominato dal presidente Donald Trump alla Corte Suprema, l’hanno proiettata sulla scena politica nazionale. Donna colta e di grande carisma, con uno spiccato senso delle istituzioni e della giustizia, ha raccontato di aver potuto frequentare una scuola migliore grazie al servizio di scuolabus messo a disposizione delle minoranze che abitavano nei quartieri più disagiati e non ha avuto remore a criticare anche Barack Obama, democratico come lei, per alcune scelte politiche restrittive in materia di immigrazione fatte durante i due mandati ricoperti. Il prestigio conquistato l’ha spinta a correre nel 2019 alle primarie del partito democratico per la presidenza degli Stati Uniti, anche se non ce l’ha fatta ad affermarsi sugli altri aspiranti presidenti ed ha dovuto cedere il passo a Joe Biden, il quale però l’ha voluta al suo fianco come candidata alla vicepresidenza. Una personalità forte dunque, incarnazione piena del cosiddetto “sogno americano”, dell’opportunità di affermarsi e raggiungere traguardi e posizioni di primo piano all’interno della società e della politica facendo leva su intelligenza e competenze.
L’elezione di Kamala Harris rappresenta dunque un punto di svolta nel cammino verso il raggiungimento della piena parità di genere e la possibilità per le donne di ambire a ricoprire ruoli e responsabilità che fin’ora sono sempre stati appannaggio esclusivo degli uomini e dare una direzione diversa a quel destino che le voleva relegate a ruoli subalterni.
Evidentemente però la redazione del quotidiano “Libero” e Pietro Senaldi che lo dirige proprio non sono riusciti a mandare giù l’elezione di Joe Biden e Kamala Harris e pertanto non hanno perso l’occasione per dare prova del peggio di cui sono capaci. “La vice mulatta ha già rubato la scena a Biden”, ha titolato in prima pagina “Libero” il 9 novembre. Niente nome, niente cognome, niente senatrice e tantomeno ex Procuratrice Generale dello Stato della California. Mulatta e basta!
Un’uscita odiosa e disgustosa, rivelatrice non solo del livore accumulato per un risultato evidentemente non gradito, la vittoria di Joe Biden su Donald Trump, ma anche una chiara manifestazione di razzismo e sessismo che ormai invero la testata e i giornalisti che vi lavorano non si premurano più neanche di nascondere.
Mulatta è un epiteto desueto e ingiurioso, di forte connotazione razzista. La parola mulatto etimologicamente deriva da mulo, è nata nel contesto di assoggettamento assoluto operato da Spagnoli e Portoghesi sulla popolazione americana degli schiavi provenienti dall’Africa e dei loro discendenti, sta ad indicare qualcosa di meticcio, un ibrido da due razze ed indica i figli nati dall’unione tra persone bianche e nere, aventi una carnagione a metà tra le due. Peraltro tale qualificazione non è nemmeno corretta se riferita a Kamala Harris, come non lo è quella di afroamericana. La Harris è figlia del melting pot statunitense, una bellissima donna nata da un’americana originaria dell’India e un uomo discendente da giamaicani, quindi i bianchi non c’entrano nulla con lei come l’Africa, salvo che per le lontane origini degli antenati del padre.
In questi anni il quotidiano “Libero” è ricorso ripetutamente a questo genere di provocazioni da ventennio fascista, un modo per far parlare di sé, per attirare l’attenzione e soprattutto per non dar conto delle notizie vere, che meriterebbero la prima pagina. Infatti è il giornale che ha titolato “Nilde Iotti brava a letto“, Virginia Raggi “patata bollente“, “Calano fatturato e PIL, aumentano i gay”. L’appellativo di mulatta riferito alla vicepresidente USA è poi una strizzatina d’occhio ai suoi lettori razzisti, oltre che il tentativo di accreditare l’idea che la Harris è lì non per le sue qualità e capacità, ma perché è mezza “negra” e serve a tener buone le minoranze etniche. Sul colore della pelle inoltre la vicenda di Kamala Harris dimostra come anche molti altri giornali e testate giornalistiche televisive del nostro paese siano culturalmente arretrate, non rendendosi neppure conto che continuare ad usare per lei la definizione “di colore”, come anche nei confronti di altre persone, costituisce ormai un linguaggio insopportabile e da bandire una volta per tutte. Anche perché di quale colore parliamo? Rosso, verde, giallo, blu cobalto….?
Intanto Kamala Harris ha dato a tutti una lezione culturale e politica, definendosi semplicemente “americana”.
Faccio mio quanto scritto su Facebook da Paolo Brogi, per anni cronista di punta del Corriere della Sera: “Ai conduttori della tv, in particolare della Sette: forse è il caso che la smettiate di invitare alle vostre trasmissioni come fosse chissà chi il direttore di Libero, Pietro Senaldi. A meno che non troviate divertente il suo modo di titolare”. Personalmente se mi capiterà di vedere trasmissioni televisive con ospiti Pietro Senaldi o giornalisti di “Libero” cambierò immediatamente canale.
In una nota diramata poco fa il sindaco di Sezze Sergio Di Raimo ha annunciato la sospensione delle attività didattiche in ogni scuola di ogni ordine e grado fino a venerdì 20 novembre. Scuole chiuse quindi per un'altra settimana nell'intero territorio comunale per impedire ai contagi da covid 19 di diffondersi ulteriormente. Sul sito del Comune di Sezze a breve verrà pubblicata l'ordinanza sindacale di proroga della sospensione delle attività scolastiche. In uno sfogo sul suo profilo facebook il primo cittadino scrive: " Non riesco a capire le motivazioni per le quali, dopo aver superato la prima ondata , tutto il mondo si è fatto trovare impreparato a questa seconda ondata, compresa l'Italia che registra un numero di contagi giornalieri che fa paura, un sistema sanitario in grosse difficoltà e un numero di decessi che si mantiene alto. La perdita di affetti che abbiamo avuto nei giorni scorsi deve farci riflettere e soprattutto deve far riflettere chi ancora non si rende conto della DRAMMATICITÀ della situazione e continua a non indossare la mascherina e a non rispettare le distanze. Non vedo altra strada se non un aumento delle restrizioni. Mi rendo conto che queste creano anche danni diversi, di tipo economico, culturale e sociale ma senza la salute il resto conta poco o niente. Se vogliamo vincere, se vogliamo che il mondo vinca contro questo nemico occorre essere bravi a rispettare le regole e fare sacrifici. Oggi ci comunicheranno la positività di altri 13 nostri concittadini, quasi tutti legati a familiari già refertati nei giorni scorsi".
LE OPERE
Benché a scuola avesse imparato a leggere e a scrivere malamente, C. fu autore straordinariamente fecondo. Del primo periodo della sua produzione letteraria, rimangono inedite diverse opere minori nei due mss. J. 5.25 eJ. 5.14 di 5. Francesco a Ripa; ma, alcune di esse sono raccolte desunte da altri autori: per es.: l'opuscolo Delli stati dell'anima per arrivare alla pe~ttione è desunto quasi completamente alla lettera dal Paradiso dei contemplativi di Bartolomeo da Saluùo. Tra le altre opere inedite ricordiamo: Il piccolo giardi no di rose (novena del Natale); La vita e conforto dell'anima (meditazioni sulla Passione); Inganni che possono causare all'anima alcune occulte tentationi; Il mesto horticello delle meditationi della Passione, Breve compendio dell'oratione, Modo di recitare loffitio, cioè li Pater noster; ecc. Solo qualche breve scritto vide la luce recentemente in pubblicazioni periodiche: Lettera sopra la contemplatione e i suoi effetti, in Vita cri-stiana, VIII (1936), pp. 522-534; Quello che deve fare l'anima devota e desiderosa di ricevere il SS. Sacramento, in Santa Chiara, il (1960), pp. 14-27; ecc.
Le opere del secondo periodo, scritte per obbedienza, sono, in complesso, originali e di grande interesse; elenchiamo le edite e le principali inedite: Trattato delle tre vie della meditazione e stati della santa contemplatione, Roma 1654 (1664, 1742); Canti spù~tuali, Roma 1654 (1664, Torino 1959; Camino interno dell'anima ~osa dell'bumanato Verbo Christo Giesù, Roma 1664; Devoti discorsi della Passione di Giesù Christo, pubblicati da G. Cerafogli (5. Carlo da Sezze, La passione di Gesù Cristo, Roma 1960); Settenari sacr4 ovvero meditationipie per sollevare l'anima all'unione con Dio per li sette giorni della settimana, Roma 1666 (in appendice, le Novene del Signore e della Vergine); Le grandezze delle misericordie di Dio in un anima aiutata dalla Gratia divina, cioè l'autobiografia, pubblicata testualmente, nelle parti più essenziali, a cura di 5. Gori, in occasione della canonizzazione (5. Carlo da Sezze, Autobiografra, Roma 1959); Esemplare del cristiano, cioè la vita del Signore, l'opera più voluminosa, tuttora inedita. Secondo quanto risulta da numerose e documentate segnalazioni, alcune opere e molte lettere di C. sono andate perdute, oltre a molti autografi delle opere a noi giunte (c£ 5. Gori, 5. Carlo da Sezze scrittore mistico, in Studi Francescani, LVIII [19611, p. 220).
LA DOTTRINA. P. Girolamo da Montefortino, censore dell'Esemplare del cristiano, si dichiarò sorpreso dei «pregi intrinseci» della dottrina contenuta in quell'opera e lo stesso giudizio può estendesi a tutta la dottrina spirituale di C., che è caratterizzata da tre doti: semplicità di eloqulo e di esposizione, l'autore rende accessibili a tutti anche i pensieri più elevati e sublimi. In virtù della sodezza, sintetizza e illustra efficacemente i principi fondamentali, e perciò immutabili dell'ascetica cattolica: la santità non consiste nell'abito esteriore o nell'atteggiamento devoto (Settenari, p. 36), non nel fervore sensibile (Esemplare, £ 46r), non nelle penitenze (Settenari, p.
128) e neppure nei doni mistici straordinari (Tre vie, p. 98), ma nell'amore di Dio, dimostrato con l'adempimento della sua volontà (Camino mt., p. 55) e col prendere dalle sue mani ogni tribolazione (Autobiografia, £ 295v), sicché «più perfetti e più santi sono quelli che più amano il Signore e più patiscono per amor suo» (Tre vie, p. 99), e «tanta è in noi la misura della perfettione, quanta la misura dell'amore, quanta è la misura del distacco dal mondo e santa povertà di spirito» (ibid., p. 46).
Con la seraficità, che rese la sua vita «impastata d'amor di Dio». C. seppe far convergere tutta la sua attività interna ed esterna all'aumento della carità; come maestro di orazione, infine, esortò a chiedere principalmente le tre virtù teologali (Esemplare, £ 375v).
Francescanamente cristocentrica fu la spiritualità di C., persuaso che «la vita di Christo,le sue attioni e parole, sono via che ci guida, verità che ci illumina e vita che ci pasce... E via nell'esempio, verità nelle promesse, è vita nel premio» (Settenari, p. 240). C. volle contemplare il suo Dio nei misteri dell'infanzia, donde la sua particolare devozione al Presepe (Autobiografia, f£ 38fr-382v, 389rv); lo volle contemplare nei misteri dolorosi che lo condussero all'eroismo della pazienza (Autobiografia, ff. 181v-182v); volle contemplarlo nell'Eucaristia, per cui, in pieno sec. XVII, divenne apostolo della Comunione quotidiana, confessando che le grazie da essa ricevute sono «imaccontabili» ibid., £ 264v). In particolare, C. deve all'Eucaristia, oltre che la ferita d'amore, le più alte forme della contemplazione infusa (Camino mt., p. 756).
Il santo insegna ad andare a Gesù per mezzo di Maria, non solo giovandosi della sua mediazione (Autobiografia, £ 334r) ed imitandone le virtù (Settenari, p. 358), ma anche perché per lei si ottiene la vittoria sui due principali ostacoli all'avanzamento nel bene, cioè la tiepidezza e la pusillanimità (ibid., p. 353). Inoltre, insegna a porre come condizioni irrinunciabili per l'ascesa dello spirito l'umiltà (ibid., pp. 307, 479)e l'obbedienza (ibid., pp. 230, 233; Autobiografia, f£ 127r, 176r), virtù indispensabili per l'efficacia della direzione spirituale (Autobiografia, f£ 418v-419r; Tre vie, p. 100). Infine, suggerisce di alimentare quotidianamente la divina carità nel nostro cuore:
con lo spirito di fede, che ci fa vedere Dio in tutte le cose e da tutte le cose risalire a lui, prima causa e primo amore (Settenari, pp. 54 sg., 520; Camino mt., p. 533); con una triplice purità, cioè purezza di anima, o delicatezza di coscienza (Autobiografia, f. 387v), di mente, o retta intenzione nell'opera (ibid., f£ 95rv, 284rv; Esemplare, £ 171v) e di cuore, o distacco perfetto (Tre vie, p. 46; Settenari, p. 180); con l'accettazione della croce giornaliera, «scuola divina della croce santa» (Cammino mt., p. 76); col pane quotidiano della grazia, del quale l'anima ha bisogno in «ogni stato, in ogni ora e momento» (Settenari, p. 438); e ancora, con l'esercizio della confidenza in Dio, o infanzia dello spirito (Autobiografia, f£ 128v-129v), espresso nel motto programmatico: «Lasciarsi portare da Dio» (ibid., f£ 176r, 219v, 355rv).
D'importanza veramente eccezionale è la dottrina mistica di C., da lui esposta in maniera dettagliata specialmente nell'Autobiografia, nel Trattato delle tre vie e nel Camino interno opere che recano un valido contributo a questa nobilissima scienza sacra, poiché, fra l'altro, l'autore scrive di cose che egli stesso ha già sperimentato (Autobiografia, £ 305v). Ben a ragione C. fu paragonato a 5. Giovanni della Croce e a 5. Teresa d'Avila, che fu considerata dal mistico francescano nello scrivere sull'orazione quale la maestra datagli da Dio (ibid., f. 305r).
È da notare che questo «scrittore senza lettere» distingue accuratamente: le operazioni attive dalle mistiche o passive (Camino mt., p. 400), la contemplazione infusa da quella acquisita (ibid., pp. 453, 468), le vere visioni dalle false (ibid., p. 464), e premonnisce contro l'illusione che le grazie mistiche straordinarie abbiano a durare sempre (ibid., p. 54; Tre vie, p. 155) o che le tentazioni abbiano a cessare (Settenari, p. 62). Nel trattare dei gradi della contemplazione, non segue il criterio dei moderni teologi, ma usa generalmente le parole gradi e stati nel senso di elementi; fisi o effetti: egli è quindi molto originale nella classificazione, nella nomenclatura e nella descrizione dei fenomeni mistici, sebbene il suo schema si possa facilmente ricondurre a quello di s. Teresa (c£ 5. Gori, art. ct., pp. 229 sgg., 235; I. Rotoli, op. cit. in bibli., pp. 31, 84, 120). C., per parte sua, ci fa conoscere alcune forme, o stati di orazione passiva non descritti, almeno esplicitamente, da 5. Teresa e da 5. Giovanni della Croce, cioè quelli della «lotta spirituale delle potenze», della «presenza di Dio», della «allegrezza del cuore» e altri; inoltre, presenta nuovi elementi sulla natura stessa del matrimonio spirituale (cf. I. Rotoli, p. 138; 5. Gori, art. cit., p. 257). Sotto l'aspetto mistico, è anche interessante il fenomeno, più unico che raro, dello stigma prodigiosamente comparso sul costato di C. dopo la sua morte.SEVERINO GORI dall'Enciclopedia Bibliòtheca Sanctorum 48.
Carlo si distingue da tutti gli altri santi stigmatizzati perché è il solo tra essi ad essere stato trafitto direttamente dall’Ostia Consacrata ( La Santa Eucarestia ) durante lo svolgimento della Santa Messa. Per celebrare degnamente tale ricorrenza la parrocchia della Cattedrale di S. Maria di Sezze ha richiesto le spoglie mortali di S. Carlo al Convento di S. Francesco a Ripa di Roma per esporre l’urna del santo alla venerazione dei fedeli nel periodo di tempo che và dal 27 settembre al 1° novembre del 1998. La “trasverberazione” o “stigmatizzazione” del cuore di S.Carlo è stato l’evento più prodigioso e soprannaturale avvenuto nella vita di S. Carlo da Sezze che così racconta l’episodio nella sua autobiografia ( “Le Grandezze della Misericordia di Dio “, Libro VII, 6° cap.” ): “…Et quando andava per Roma accattanno elimosina, che m’incontrava a passare avanti a qualche chiesa…m’inginocchiava avanti alla porta, e , rivolto al Santissimo Sacramento, pregava nostro Signore che mi dasse il suo amore…Un dì, frà gli altri, si cercava in quelle bande in Cape le Case, et, gionto alla chiesa del glorioso S. Giuseppe...mi posi in ginocchio nel scalino della porta a far orazione, essendo uscita la santa messa nell’altare maggiore…Et, nell’alzare il sacerdote l’ostia consegrata, viddi da quella, con gli occhi dell’anima, uscire come un raggio di luce, e venire a ferirme nel cuore; et fu con tanta prestezza, che non gli saprei assegniar tempo. L’affetto poi che mi fece nel cuore fu come una cosa sensibile fatta da un ferro materiale, et fece quel moto appunto che si vede fare ad un ferro quando che, postosi nella fucina, che si è convertito tutto in foco, et che così arrosito si pone in un vaso d’acqua et fa quella sorte di mormurio…Et quando nostro Signore si degniò, per sua liberalità, di farme questo favore de così spiritovalmente ferirmi nel cuore, penso…che fusse per il mese di ottobre nel 1648…”. Secondo le testimonianze di alcune religiose del monastero di S. Giuseppe, fra Carlo rimase privo di sensi per vario tempo, tanto che dovettero mandar “fuori aceti e cose confortative per farlo rinvenire”, sebbene alcune dicessero che non si trattava di “svenimento naturale ma di cosa soprannaturale”. Secondo altre testimonianze fra Carlo, per timore di peccare di vanagloria, pregò il Signore perché si chiudesse la medesima ferita, che “fece per qualche tempo sangue”. Si testimonia anche che il santo, nonostante che la ferita fosse chiusa, ne sentì il dolore fino alla morte. Il 6 gennaio 1670 infine, cioè alla morte di S. Carlo, comparve definitivamente sul suo petto un singolare “stigma” che venne riconosciuto di origine soprannaturale da un’apposita commissione medica e fu adottato come uno dei due miracoli richiesti per la beatificazione.