Mentre il Tar del Lazio ed il Consiglio di Stato hanno respinto il ricorso di Don Massimiliano e detto chiaramente che sul Belvedere di Santa Maria di Sezze “non risulta sussistere un titolo che legittimi il predetto intervento edilizio su suolo pubblico”, l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Sergio Di Raimo fa l’attendista e sul ripristino del Belvedere, nonostante anche il parere favorevole degli uffici comunali, ancora non muove una paglia. Una cosa è certa: il cantiere va rimosso e a deciderlo non è stata la politica ma la giustizia amministrativa. Perché allora il Belvedere non viene ancora liberato dal cantiere diventato una discarica? Una bella domanda, che sembrerebbe condizionata - a torto - da un nuovo accordo dalle parti per trovare una nuova collocazione della Statua di San Lidano in Piazza del Duomo. Ovviamente le due cose sono nettamente distinte e tali devono restare ma è probabile che nel gioco delle parti e negli equilibri politici si stia cercando una mediazione che possa salvare capra e cavoli pur essendo quelle due questioni differenti di cui la prima, quella del ripristino, ormai irrevocabile. Si vocifera che il Don voglia donare la statua e che il consiglio comunale dovrà votare la donazione e poi verificare dove posizionarla. Una nuova storia quindi che però non ha nulla a che vedere con il rispristino del belvedere che dovrebbe essere fatto in tempi brevissimi. Ad oggi però sembra essere stato congelato.
L’attivazione del servizio di prenotazioni del vaccino anti Covid-19 per gli over 80 è scattata oggi e sul sito prenotavaccinicovid della Regione Lazio è possibile prenotarsi. Le somministrazioni dei vaccini partiranno da lunedì 8 febbraio. Per il momento sono 5 i punti vaccinali distribuiti all’interno della Asl di Latina “individuati in modo proporzionale alla popolazione e secondo una logica di prossimità”. Si parte con Latina, presso l’Ospedale Santa Maria Goretti; Aprilia presso la Casa della Salute di via Giustiniano; Priverno all’interno della Casa della Salute di Via Madonna delle Grazie; Fondi presso l’Ospedale San Giovanni di Dio e Formia presso l’Ospedale Dono Svizzero. La Asl comunica che “potranno prenotarsi tutti gli over 80, compresi coloro che compiranno gli anni nel corso del 2021. Prenotando la prima dose viene automaticamente prenotata anche la seconda dose. Si ricorda che il vaccino è gratuito e non occorre la prescrizione del medico di Medicina Generale. Potranno prenotare, sulla piattaforma regionale, anche i familiari. Basta inserire il codice fiscale e selezionare il punto di somministrazione e la prima data utile disponibile. Le vaccinazioni saranno effettuate per ordine di prenotazione”.
SI PARTE CON 5 PUNTI VACCINALI, POI SI PASSA A 13 COMPRESO QUELLO DI SEZZE
La questione della riduzione delle dosi vaccinali consegnate da Pfizer ha imposto una rivisitazione del piano vaccinale, con 300 dosi giornaliere che per queste prime settimane saranno distribuite per i 5 punti vaccinale equamente. Non appena ci sarà un riallineamento delle dosi vaccinali i punti nella ASL di Latina passeranno da 5 a 13 compreso il punto vaccinale di Sezze. La Regione Lazio, per la stessa ragione, inizialmente aveva previsto circa 300 punti vaccinali ma a causa del taglio delle dosi al momento sono stati aperti circa 85 punti vaccinali. Si spera quindi che entro un paio di settimane si torni a regime e che tutti i punti vaccinali previsti siano attivati.
Una volta a Sezze c’erano sei “decarcie”, ossia i famosi quartieri la cui origine risale all’età medievale. A Sezze, infatti, la ripartizione amministrativa era divisa in sei decarcie denominate a partire da toponimi preesistenti (Codarda, Cisternis, Gulletto), oppure da un gruppo familiare solidamente insediato (Strumilo), o ancora da chiese che costituivano il riferimento essenziale del quartiere stesso (S. Pietro e S. Angelo). La Prof.ssa Simonetta Contento, durante la stesura della sua tesi di laurea che ha riguardato l’evoluzione urbanistica della città di Sezze, è stata la prima ad effettuare delle ricerche sull’origine del termine “decarcia” che risalirebbe all’amministrazione bizantina. “Inizialmente- spiega la Contento- la parola si riferiva ad un reparto militare ed in seguito probabilmente è stata usata per indicare quella parte della città che doveva dare un certo numero di soldati, dimostrando che le istituzioni militari avevano un’importanza notevole nel periodo antecedente alla comparsa del Comune fino alla sua istituzione”. All’inizio del XIII secolo i quartieri e le contrade di molti comuni, infatti, assunsero la configurazione e le competenze amministrative. Con la suddivisione amministrativa le decarcie, e quindi i connestabili che ne erano i responsabili, venivano investiti di alcune funzioni di carattere amministrativo e controllavano l’organizzazione militare. “Ogni rione, nello specifico- continua la professoressa- doveva dare uno stesso numero di soldati all’amministrazione”. Tuttavia a Sezze la popolazione era cresciuta in modo poco uniforme ed esisteva una forte disparità tra un rione e l’altro nel rapporto tra popolazione rionale e numero di soldati da fornire. Nel 1279, pertanto, il Comune adottò un provvedimento riorganizzando le decarcie esistenti in modo che ciascuna comprendesse otto gruppi di venti case, a cui andavano aggiunte le 19 dei forestieri che avevano giurato la cittadinanza e gli esuberi, pari a 17, dei rioni di San Pietro e Gulletto che lo sviluppo demografico aveva comportato soprattutto nella seconda metà del XIII secolo. Successivamente vennero scelte delle terre suburbane e, una volta divise in lotti, vennero assegnate a ciascun rione. “In pratica- spiega la Contento- così come era stato diviso in decarcie il centro abitato, allo stesso modo furono individuati dei lotti in pianura che riportavano lo stesso nome dei rioni del centro abitato e che si ricongiungevano ad essi attraverso delle strade maestre”. E’ stato possibile risalire quindi al numero di abitanti presenti nel territorio setino nel 1279, pari a circa 3.984 abitanti. Durante la metà del XIV secolo, in seguito al dominio della chiesa in questo territorio, si attuò un cambiamento nella denominazione delle decarcie sostituendo il nome di chiese e parrocchie a quei toponimi precedentemente citati di carattere non ecclesiastico. Così la decarcia Codarda si è trasformata in Santa Maria, Gulletto in Santa Parasceve, Cisternis in San Paolo, chiesa del Vescovado, Strumilo in Sant’Andrea, mentre San Pietro e Sant’Angelo sono rimasti inalterati. …E così fino ai nostri giorni!
Atti e parole posseggono un potenziale misterioso e innegabile, tendono a riprodursi, a moltiplicarsi, a creare nel proprio ambito di diffusione un circolo virtuoso se esercitati in modo positivo, una dinamica contraria se invece si qualificano in senso negativo. Prudenza, scrupolosità e sensibilità dovrebbero essere perciò guidarci nell’esercizio dei nostri compiti e di tale dovere dovrebbero sentirsi investiti soprattutto quanti ricoprono funzioni di rappresentanza politica e di governo, i quali dovrebbero possedere una moralità cristallina, un rigoroso senso delle istituzioni democratiche, la coscienza che proprio compito è perseguire il bene comune e le loro parole e azioni possono essere esemplari o devastanti per i cittadini che hanno loro accordato fiducia e guardano.
Lo scadimento morale e culturale della classe politica italiana è cosa nota e sempre più se spesso dalla folla dei politicanti emergono personaggi “fenomenali”, punte di diamante inverosimili. Nella speciale classifica dei politici peggiori primeggiano quasi senza rivali Angelo Ciocca, deputato al Parlamento Europeo della Lega e la neovicepresidente della Regione Lombardia ed assessore alla sanità Letizia Moratti, già sindaco di Milano e Ministra dell’Istruzione.
Qualche settimana fa l’eurodeputato pavese, intervistato nella trasmissione televisiva “Lombardia nera” su Antenna 3 ha denunciato la scelta di mettere a disposizione della Lombardia, un numero di vaccini non commisurato alla popolazione rispetto al Lazio: “E’ possibile se qualcuno vuole fare politica sulla salute della gente, se qualcuno pensa di fare clientelismo territoriale. Si premia una Regione rispetto a un’altra perché una a livello democratico ha un colore rispetto a un altro. I fattori che devono portare alla distribuzione del vaccino devono essere il numero di abitanti, una proporzione fra quanti abitanti ho e quanti vaccini. Non è pensabile che la Lombardia che ha il doppio degli abitanti del Lazio possa ricevere meno vaccini. Poi bisogna valutare quanto l’importanza economica del territorio. La Lombardia, è un dato di fatto, è il motore di tutto il Paese. Quindi se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia”. “Addirittura?” ha esclamato sbigottito il conduttore Marco Oliva. Il deputato ha proseguito: “Sì, è un dato di fatto. Se si ammala un lombardo, economicamente, da imprenditori, vale di più rispetto a un laziale. Sulla salute non si può fare politica, ma bisogna fare anche un ragionamento economico per il Paese perché purtroppo, è un dato di fatto, un cittadino lombardo paga più tasse rispetto un cittadino laziale”. Il Lazio avrebbe il doppio dei vaccini rispetto alla Lombardia perché “qualcuno ha detto che vogliono proteggere i ministeriali. Per me invece vale di più un lavoratore, un magazziniere, un commesso, un imprenditore lombardo rispetto a un ministeriale romano. Non perché ce l’ho con lui ma solo che per uscire da questa pandemia dobbiamo investire in debito pubblico e allora dobbiamo mettere in condizione chi produce nel mondo privato di farci affrontare il debito pubblico. Bisogna prima proteggere i lavoratori del privato poi i ministeriali, questo è il concetto, molto semplice. È una riflessione di buon senso, pare strano non investire dove c’è l’incendio maggiore. I dipendenti privati della Lombardia tengono in piedi il paese e allora mi chiedo perché venga prima l’apparato dello Stato, con l’amministrativo del ministero che pure è in smart working. Roma non ruba nulla, semmai prende, la colpa è di chi li distribuisce che fa un torto alla Lombardia e all’intero paese perché si corre il rischio che ci siano tempi più lunghi rispetto a una distribuzione intelligente”.
Ovviamente quanto sostenuto da Angelo Ciocca è totalmente falso. La ripartizione dei vaccini, pur con le difficoltà legate alle ridotte forniture delle case farmaceutiche, sta avvenendo in proporzione agli abitanti delle regioni. Il fatto grave è che non si tratta di semplici dichiarazioni scriteriate di un politico in cerca di visibilità, il quale ha rispolverato le pulsioni padaniste della Lega vecchia maniera. Dopo qualche giorno infatti identica richiesta è stata avanzata, solo in modo meno volgare, da Letizia Moratti, chiamata a sostituire l’assessore alla sanità Giulio Gallera, distintosi per la pessima gestione della pandemia, le memorabili gaffe e il rinvio dell’inizio della campagna vaccinale a dopo le feste natalizie per garantire le ferie al personale mentre la sua regione era travolta dai contagi ed ha il record mondiale di morti per Covid-19 in proporzione alla popolazione. Letizia Moratti ha inviato una lettera al commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, in cui sostiene l’opportunità che i vaccini vengano distribuiti più in fretta alle regioni con maggiore densità abitativa e mobilità, più colpite dal virus e che contribuiscono in modo significativo al Pil nazionale: insomma la Lombardia. La proposta presentata ai capogruppo regionali di maggioranza e opposizione e definita in “in fase di invio” a Roma per essere discussa nella conferenza Stato-Regioni, ha ricevuto il plauso del presidente Fontana, il quale l’ha giudicata “coerente e appropriata”. Dinanzi alle unanimi condanne levatisi, sono arrivate le imbarazzate precisazioni, una tiritera di sciocchezze e giustificazioni penose e senza senso. Secondo la giunta lombarda il vaccino non è un diritto di tutti i cittadini a prescindere dalla ricchezza del territorio in cui vivono e la salute non è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione, ma un privilegio di quanti hanno di più: idee agghiaccianti, palesemente razziste e indegne di persone che ricoprono incarichi nelle istituzioni.
Come se questo non bastasse il presidente Fontana e l’assessore Moratti hanno fatto finire la Lombardia in zona rossa perché si sono dimenticati di sottrarre dai contagiati i guariti e hanno cercato di far ricadere le colpe sull’Istituto Superiore di Sanità che per ben 54 volte li aveva sollecitati a rivedere i dati inviati. Un errore gravissimo, costato centinaia di milioni di euro alle imprese, ai lavoratori, alle famiglie e alla scuola. Dopo che gli uffici della regione Lombardia hanno corretto i dati e chiesto per e-mail il riconteggio, Letizia Moratti ha dichiarato che non hanno rettificato le cifre sbagliate ma le hanno rivalorizzate (sic!). Ciliegina sulla torta: in seguito alle verifiche effettuate finora il 51% dei vaccinati in Lombardia non è costituito da operatori sanitari, medici ed infermieri in trincea contro il Covid-19, ma persone che in molti casi non ne avevano diritto in questa fase.
Veramente la Lombardia, uno dei motori economici dell’Italia, merita una classe politica così inqualificabile e sconveniente? Quanto accade a Milano, come anche in qualsiasi altra regione, ci tocca e ci riguarda perché ha ripercussioni sullo sviluppo dell’intero paese ed è uno scempio insopportabile.
Per effetto di un emendamento da me presentato alla Legge di Stabilità 2020 sono stati assegnati 100mila euro al comune di Sezze per la valorizzazione e la tutela del monumento naturale “Fosso Brivolco e superfici calcaree con impronte di dinosauri”. Le orme di dinosauro di Sezze risalgono a 95 milioni di anni fa e sono la più importante scoperta paleontologica del Centro Italia Il finanziamento sarà destinato a realizzare i primi interventi di messa in sicurezza della parete rocciosa, alla protezione delle orme e all'acquisizione dell'area. "L’emendamento in questione - afferma il consigliere regionale Salvatore La Penna - ha previsto interventi di valorizzazione anche sul Monumento Naturale “Bosco di San Martino” di Priverno e “Lago di Giulianello” di Cori. È necessario porre le basi per un nuovo modello di sviluppo dei Lepini che abbia fra i suoi punti di forza la valorizzazione del paesaggio, del capitale naturale e dell’inestimabile patrimonio storico ed archeologico. Voglio ringraziare per il lavoro svolto e per la sensibilità dimostrata l’Assessore Regionale all’Agricoltura, Ambiente e Risorse Naturali Enrica Onorati e la direzione Regionale Capitale Naturale, Parchi e Aree protette, in particolar modo il direttore Vito Consoli".
Il consigliere regionale La Penna
Sezze Bene Comune non ha digerito la "non" risposta al question time in merito ai tempi di demolizione del manufatto al Belvedere di Santa Maria. L'assessore Giancarlo Siddera, incaricato dal sindaco Sergio Di Raimo, e al quale è stata passata la patata bollente, è stato evasivo e per nulla convincente. La sua, secondo SBC, è stata una risposta ambigua e fuori luogo perché non espressa. "Nell'ultimo Consiglio Comunale del 26 gennaio, in risposta all'interpellanza del gruppo consiliare di SEZZE BENE COMUNE, che interrogava circa i tempi previsti per il ripristino dello stato dei luoghi del BELVEDERE - afferma Rita Palombi - è arrivata la risposta dell'Amministrazione Comunale per bocca dell'assessore Giancarlo Siddera che, con un mirabolante discorso pindarico, ci informava di voler procedere ad una richiesta di parere legale, che denota solo tatticismi politici che potremmo definire: " LA MOSSA DELLO STRUZZO". Dopo il pronunciamento del Tribunale Amministrativo Regionale, dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato, l'unico parere superiore che ci si potrebbe aspettare è quello della corte di STRASBURGO. Ci preme ricordare che esiste un'ordinanza, emessa dall'ufficio Tecnico Comunale che intimava ad eseguire i lavori di ripristino dello stato dei luoghi, entro venti giorni dalla data di notifica. L'ordinanza è stata ritenuta legittima dal tribunale amministrativo regionale prima e dal consiglio di stato dopo, ritenendo che i lavori siano stati eseguiti senza regolare titolo edilizio. Dalla data di emissione dell'ordinanza, tra rinvii e sospensioni i venti giorni previsti sono abbondantemente trascorsi. A tal fine - conclude la nota - ci aspettiamo che nei prossimi giorni venga incaricata un'impresa di fiducia dell'amministrazione comunale per procedere ai lavori di ripristino della piazza e del belvedere secondo le indicazioni dell'ufficio tecnico. Un diverso atteggiamento risulterebbe OMISSIVO, tanto da innescare ulteriori azioni più incisive e finalizzate alla difesa DEL BENE COMUNE".
L'Abbazia di Valvisciolo, dedicata ai santi Pietro e Stefano, situata ai piedi del monte Corvino, ha una storia molto complessa ed alquanto controversa. Nella storia di questo luogo abbaziale infatti si intrecciano le intricate vicende di ordini religiosi, quali i Basiliani, i Cistercensi ed i Templari, che si succedettero nei vari luoghi religiosi pontini.Tale successione di eventi possiamo riscontrarla anche nella nascita e nello sviluppo dell'abbazia sermonetana.Mancando notizie sicure circa l'inizio della sua esistenza, si è diversamente congetturato tra gli studiosi di arte medievale, sulla genesi sia dell'appellativo con cui è stata denominata e sia sulla costruzione. L'abbazia fu probabilmente costruita, nel secolo XI, dai monaci greci basiliani, portati nella campagna romana da S. Nilo nel X secolo. In origine essa fu detta la chiesa di S. Pietro presso Sermoneta. Nel XII secolo i monaci basiliani scomparvero dalla zona, lasciando i loro siti religiosi ai Cistercensi ed ai Cavalieri Templari ( ordine soppresso nel 1312 da papa Clemente V ), che adattarono le modeste strutture edilizie basiliane alle loro diverse esigenze, ricostruendo e riadattando i primitivi edifici di culto.Quasi subito dopo il loro arrivo in Italia, cioè subito dopo il 1116, i Templari si insediarono presso Sermoneta dove ebbero in concessione la "Commenda nel territorio di Sermoneta, per entrate della quale furono concessi molti terreni e vigne e altri,né in quel tempo era Abbadia dei Santi Pietro e Stefano come al presente", così come descrive un anonimo.Detti Cavalieri si dovettero limitare a costruire, accanto alle celle dei Basiliani, degli ambienti per loro abitazione, adatti alla regola ed al tenore di vita che osservavano. Il nome "Valvisciolo" per alcuni studiosi sarebbe stato derivante da "Valle dell'usignolo", nome non appartenente originariamente al luogo attuale, ma ad un altro, situato presso Carpineto, precisamente a Malvisciolo, presso la Valle Roscina, esisteva un'altra abbazia ugualmente dedicata a S. Stefano. In realtà tali studiosi sono caduti in errore perché il nuovo toponimo sarebbe sempre derivante dall'abbazia sermonetana ma risulterebbe un misto tra Malvisciolo e Valle, cioè "Valvisciolo", quale poi è rimasto. L'abbazia invero sorge allo sbocco di una valle, alle pendici del monte Corvino, e la seconda parte del nome deriva presumibilmente dai viscioli selvatici che dovevano crescere presso Malvisciolo carpinetano. Dunque non saranno stati certo gli usignoli a dare l'appellativo al complesso abbaziale.L'attuale Valvisciolo ebbe anche l'appellativo di Marmosolio, che era quello di Doganella dove era esistita un'altra abbazia dedicata allo 2 stesso santo, distrutta da Federico Barbarossa nel 1165, in odio al pontefice Alessandro III. I Cistercensi di Marmosolio si videro quindi costretti a rifugiarsi presso Valvisciolo sermonetano, in quel tempo governata dai Templari. Tale presenza gerosolimitana era giustificata anche proprio dall'esistenza delle zone paludose che sia i Templari sia i loro "cugini" Cistercensi erano soliti bonificare con tanta cura.Dopo la distruzione di Marmosolio quindi i Templari abbandonarono ben presto Valvisciolo per consegnarla definitivamente ai Cistercensi provenienti da questa abbazia distrutta. A questi ultimi monaci dunque toccò il compito di costruire, con la loro particolare arte, la solida ed attuale abbazia. Si può così datare la costruzione dell'odierna chiesa fra il 1165 ed il 1170.Il complesso edilizio quindi ricevette anche l'appellativo di Marmosolio,per rievocazione nostalgica dell'altra, e l'annessa chiesa fu dedicata ai santi Pietro e Stefano.Essa rappresenta il più antico edificio religioso di stile goticocistercense esistente nell'area dei Monti Lepini. Si chiarisce quindi la successione cronologica dei tre monasteri: agli inizi del X secolo esistette Valvisciolo carpinetano,la cui denominazione fu ripresa da quello sermonetano dei Templari. Tale abbazia rilevò anche l'appellativo di Marmosolio di Doganella nell'XI secolo e, passato in mano dei Cistercensi, venne definitivamente ricostruita nel XII secolo e sistemata nello stato in cui ancora ci appare; essa è la sola di quelle altre abbazie che resiste ancora alla rovina ed alla distruzione dovuta al trascorrere del tempo.
SANT’ANGELO SUL MONTE MIRTETO
LA GROTTA-SANTUARIO DEDICATA A SAN MICHELE PROTETTORE DELLE ANIME DEI PELLEGRINI Lasciata Ninfa, si prende un, viottolo bianco sulla destra e ci si arrampica per l’ultima tappa lungo i fianchi del monte sotto Norma, scoprendo un’altra delle costanti del cammino di Santiago. Frequentemente le alture sono dedicate al pesatore delle anime, al giustiziere del drago che insidia il pellegrino scoraggiandone l’andare con le difficoltà e le tentazioni della via. E così da Sant’Angelo del Gargano a Compostella, passando per Castel Sant’Angelo (Roma), la Sagra di San Michele nella Vai di Susa, St. Michel d’Aiguille a Le Puy nell’Alvernia francese, San Miguel in Excelsis a Estella nella Navarra spagnola. E relativamente al tratto d’Appia Pedemontana: 3 per San’Angeletto di Terracina (Monte Giove), Sant’Angelo del Mirteto e Porta San Sebastiano dove l’Appia incontra le mura di Roma. Mentre si sale la vista si allarga ad abbracciare la pianura e il mare. La grotta è circondata da un casolare e dalla chiesa di Santa Maria resti del monastero dell’ordine florense animato dalla presenza dei discepoli diretti di Gioacchino da Fiore, venuti sui Lepini all’inizio del ‘200. Oggi il santuario rupestre è completamente disadorno e lontano dalla descrizione del Pantanelli: «Vicinissimo a detto convento si vede il devoto antro di SantAngelo sopra Ninfa o della Stramma, che ha alcuni altari, pitture e stalli intagliati nei vivi massi di pietra che muovono a devozione» (P.Pantanelli "Notizie storiche della terra di Sermoneta ", Bardi ed. Roma 1972, vol. I pg. 26). Lo spazio fino agli anni venti-trenta presentava leggibili gli affreschi, tra i quali quello di Michele che uccide il drago (fortunatamente riportati su cartoncino dall'archeologa Maria Barosso). Ma la nudità permette l'ascolto del silenzio, cogliendo l'eco del vociare dei pellegrini che accorrevano numerosi in cerca di protezione, e riprendevano il cammino pronti a sfidare il caldo della palude e le imboscate dei banditi: traduzione materiale delle insidie tese dal maligno alle loro anime. Dopo un lungo periodo d'abbandono il sito è preso in custodia dal movimento delle "Domus Cultae", che intendono trasformare l'ambiente in luogo di riflessione culturale e formazione umana. Affacciandosi sulla pianura si nota come il luogo sia una vedetta naturale per il controllo della sottostante Pedemontana che, terminata la sua funzione, va a ricongiungersi con l’Appia nel territorio di Cisterna. Conclusione. Senza mezzi termini l’Associazione Italia - Francia per l’Europa di Bassiano ribadisce la denuncia contro i danni ambientali subiti e i rischi di degrado che la Pedemontana corre: altrimenti l’averne risvegliato la memoria si risolverebbe in un lavoro sterile e inutile. In termini di bilancio finale, i siti illustrati per presentare la seconda parte della ricerca risultano ugualmente funzionali alle strade di pellegrinaggio. Materialmente: sorgenti terapeutiche e osterie in Piedimonte, ospedale a Valvisciolo. Spiritualmente: venerazione delle reliquie di San Lidano nel territorio di Sezze, lucro di indulgenze a Ninfa. Inoltre: l’assistenza ai viandanti degli Ospitalieri Antoniani è potenziata da quella dei Cavalieri Templari (passo di Acquapuzza e Valvisciolo), ordine cui è legato pure l’itinerario alchemico per San Giacomo (iniziazione evocata da cerchio magico graffito, salamandra e conchiglia scolpite nell’abbazia). La memoria campostellana si rivela nei documenti (cronache del capitolo di Santa Maria 4 in Sermoneta), sul piano iconografico (Giacomo Leonardo, Giorgio, Francesco a Selvascura e Michele arcangelo al Mirteto); deriva dalla dedicazione di chiese rurali ai protettori: Antonio abate e Giacomo nonchè Madonna della Stella con evidente allusione alla Via Lattea nella quale si riflettono anche le tracce lepine del cammino di San Giacomo. Finalmente la consapevolezza carolingia è ribadita dalla toponomastica (Fossato di Orlando), mentre si delineano i profili di altri pellegrini per Santiago (Luca e Gualtiero da Sermoneta), per Roma (confraternita di Lecce) e Gerusalemme (Oddone da Sermoneta e Vincenzo da Bassiano). I dati, sommandosi agli elementi forniti con la prima serie di tappe, sanzionano il ruolo della Pedemontana nei movimento dei pellegrinaggi. La via pone così la sua candidatura all’ingresso nel reticolo europeo delle strade per Campostella. Se la verifica dello studio attualmente in corso presso il Centro di Studi Campostellani dell'Università di Perugia darà esito positivo, l'Associazione titolare della ricerca chiederà al Consiglio d'Europa di poter installare nella microregione lepina il cartello "Cammino di Santiago - Itinerario Culturale Europeo" (con la stilizzazione della conchiglia jacopea e la bandiera dalle dodici stelle in campo blu). Chissà che non serva a diffondere tra i cittadini della XIII Comunità Montana e della Provincia pontina la coscienza del valore di un patrimonio culturale e ambientale che va difeso dai vandali di turno, dall'abbandono, dall'oblìo e che va adeguatamente valorizzato: perché appartiene alle regioni d'Europa nel senso delle comuni radici.
IL TEMPIO RUPESTRE DI SAN MICHELE ARCANGELO
È questo un monastero medievale sorto nelle immediate adiacenze di una grotta la quale, a partire dall'Alto Medioevo, venne usata come tempio rupestre dedicato a San Michele Arcangelo. E posto a mezzacosta tra le rovine di Norba e Ninfa. Seppur con qualche fatica, dato lo stato di conservazione non ottimale delle strutture, è possibile riconoscere gli spazi e gli ambienti nei quali i monaci trascorrevano la loro vita quotidiana. La chiesa non è eccessivamente grande, a navata unica e presenta segni di rifacimenti nel corso della sua vita millenaria. 5 La foresteria è situata a distanza rispetto al resto del complesso monastico; un giardino la divide dagli altri edifici. Nel corso dei secoli, in questo luogo, venne costruito un frantoio che è rimasto in funzione fino al secolo scorso. lì monastero fu sicuramente abitato dai monaci florensi finchè Martino V Papa decise di unirlo a quello benedettino di Santa Scolastica di Subiaco. Diversi saccheggi accelerarono la rovina di Sant'Angelo sul Monte Mirteto e vi fu bisogno di due restauri (1770 e 1832) per prevenire il crollo. Oggi il monastero non è più abitato ed è oggetto di una lodevole iniziativa di recupero ad opera dell'Associazione Culturale "Opera di San'Angelo sul Monte Mirteto" che , originatasi dall'ex Domus culta pontina, raggruppa innanzitutto le attività di varie Domusculte pontine ( Sessana, Normense, Setina ) ed è diventata la guida di gruppi scouts provinciali ( vedasi Agesci zona pontina e relativo gruppo giovanile "Sentiero Luminoso" ). L'Opera intende essere punto di riferimento culturale per tutti i gruppi culturali che operano nel territorio adiacente. L'Associazione, infine, che opera già in contatto con i Centri Coscienza di Milano e di Bergamo, intende restaurare il complesso arcaico e religioso per fondare in esso un Centro socio-culturale di grande respiro ed apertura. Per tale eccellente finalità sono stati organizzati molti momenti di volontariato.
IL MIRTO (Myrthus communis) Il colle che si estende tra Ninfa, Norba e Norma è chiamato Monte Mirteto, fin dall'epoca medievale, proprio per la presenza del Mirto. Infatti questa pianta, nell'ambiente mediterraneo, subentra alla vegetazione originaria distrutta da incendi o coltivazioni. E questa una pianta farmaceutica appartenente alla famiglia delle "Mirtacee" che molta parte ha avuto nella storia e nelle leggende di tutti i popoli mediterranei: fu pianta sacra per i Persiani mentre per gli Ebrei è considerato simbolo di pace e di verginità. La bellezza di questo arbusto sempreverde (alto normalmente da i a 3 metri), che profuma l'aria con il suo delicato aroma sembra giustificare tanta fama. Le foglie possono essere sia ovali che di forma allungata assottigliate alla 6 punta e hanno un colore verde assai brillante. lì Mirto fiorisce in estate. I fiori sono di colore bianco latte ed hanno moltissimi stami sporgenti. il frutto, dal colore nero - ceruleo, è una bacca di forma sferica; si distingue nettamente dal resto della pianta per il suo riflesso metallico. il Mirto vive comunemente nell'ambiente della macchia mediterranea in unione con altri vegetali caratteristici. È presente in quasi tutto il bacino mediterraneo ed anche in Asia Minore, in Persia e perfino in Afghanistan. Tutte le parti della pianta possono essere distillate per ricavarne un olio chiamato "acqua di mirto", il quale viene usato sia in profumeria, che come medicinale. Molte specie di uccelli mangiano questo frutto per il suo sapore aromatico.
Un’interrogazione posta da Serafino di Palma del gruppo di minoranza Biancoleone nel question time del consiglio comunale del 26 gennaio, apre uno scenario imprevisto (non imprevedibile) che potrebbe avere risvolti decisamente seri per quanto riguarda il rapporto Comune-SPL.
Da quanto si è potuto apprendere, anche a causa di un audio disturbato, esisterebbe un atto di diffida scritto dal responsabile dell’Ufficio Tecnico, indirizzato alla SPL che viene diffidata in quanto inadempiente circa alcune procedure che riguardano il servizio di igiene urbana e smaltimento rifiuti.
L’Ufficio tecnico, in pratica, avrebbe ripetutamente richiesto alla SPL, il tracciamento dei flussi di rifiuti raccolti tramite comunicazione dei quantitativi di rifiuti conferiti e i corrispettivi percepiti in base agli stessi conferimenti al Consorzio di Filiera.
La SPL finora non ha ottemperato all’obbligo previsto da contratto e ciò potrebbe far scattare delle sanzioni e la revoca delle deleghe.
Questi i fatti; cosa significano?
1) La mancata comunicazione delle somme percepite per il conferimento delle frazioni riciclabili, non permette il conteggio delle stesse a bilancio e tanto meno la possibilità di ridistribuire le stesse somme per abbassare la tariffa pagata dai cittadini sotto forma di Tari.
2) Le percentuali di raccolta differenziata fatte registrare dal Comune di Sezze che figura stabilmente negli ultimi posti dei Comuni della provincia di Latina potrebbero essere non veritiere. Il mancato conteggio delle frazioni differenziate, potrebbe alterare pesantemente le stime dei rifiuti prodotti facendo conteggiare tutto indifferenziato.
Domani la città di Sezze si fermerà un minuto per ricordare tutte le vittime del Covid19 della nostra città. Il consiglio comunale riunito domani per una seduta ordinaria, osserverà prima un minuto di silenzio per le vittime dell’olocausto nel giorno della memoria e poi alle ore 11 per ricordare i cittadini setini deceduti dall’inizio della pandemia. Il presidente del consiglio comunale di Sezze Enzo Eramo, unitamente a tutti i consiglieri comunali e al sindaco, invita tutta la città a fermarsi in memoria dei nostri tanti concittadini che ci hanno lasciato, lo stesso faranno tutti i plessi scolastici e tutte le attività commerciali della città.
La Giornata della Memoria è stata istituita dalla Risoluzione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite sul ricordo dell’Olocausto, per richiamare gli Stati membri a sviluppare programmi educativi e di solidarietà, come già richiesto dall’UNESCO, per accrescere la consapevolezza delle future generazioni e prevenire così atti di tale atrocità. La scelta del 27 gennaio vuole ricordare il giorno in cui, nel 1945, le truppe sovietiche, arrivarono presso la città di Oswiecim, oggi nota con il nome tedesco di Auschwitz, e rivelarono così le atrocità del genocidio nazista degli ebrei. Il Parlamento italiano nel 2000 con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 “Istituzione del Giorno della Memoria” afferma: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i ‘perseguitati’. Il Giorno della Memoria deve coinvolgerci tutti, istituzioni e cittadini. Ci esorta a riflettere sul passato, per progettare meglio il nostro futuro. Non ci sarebbe progetto di vita comune senza la capacità di ricordare. Ogni male compiuto è un orrore di ora e di sempre. Purtroppo il fenomeno del male, tante azioni in contrasto con la dignità dell’uomo continuano a perpetrarsi nella vita di tutti i giorni, facendo spuntare di nuovo sentimenti di odio e di violenza nei confronti di tante persone, deboli o fragili.
C’è un meccanismo perverso che vediamo in atto nella realtà di tutti i giorni. Un comportamento illecito che viene reiterato silenziosamente, senza smascheramento, senza divenire pubblico, senza essere chiamato con il suo nome, “illecito”, diventa ordinario, quindi normale, quindi banale e in quanto tale più facile da compiere in modo automatico, come per abitudine. In Europa si avvertono segnali preoccupanti (ma anche in altre parti del mondo). Recentemente in America latina hanno ricominciato ad affermarsi governi autoritari e reazionari, anche attraverso la formazione di forze politiche di estrema destra. Si moltiplicano i vari movimenti trasnazionali d’ispirazione nazionalsocialista di Portogallo, Italia, Francia e Spagna. Di recente, in seguito alla nomina di Joe Biden, quale quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti, proprio nella patria della democrazia, in America, sono accaduti gravissimi episodi di violenza e di aggressione contro le istituzioni democratiche. Lo stesso presidente uscente, Trump, per non ammettere la sua sconfitta e di quella politica da lui praticata e predicata nei quattro anni della sua presidenza, ha minacciato e sbandierato la nascita di un Partito dei Patrioti, dimenticando anzitutto le sue radici repubblicane, di quel partito che, seppur nell’alternanza, insieme al partito democratico, ha sempre guardato e valorizzato gli ideali comuni di tutto il popolo, la libertà, la democrazia e la dignità dell’uomo.
In Italia, alcuni partiti di destra o dell’estrema destra, rivendicano un nazionalismo e sovranismo che contrasta con i cardini fondamentali della Comunità Europea, cardini condivisi dagli Stati membri e cioè: la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo stato di diritto e i diritti umani. Questi obiettivi e valori, insieme all’inclusione, alla tolleranza, alla giustizia, alla solidarietà e alla non discriminazione, sono parte integrante del nostro modo di vivere. L’orientamento e le azioni di questi movimenti invece tendono a rimuovere quanto di buono è stato fatto da oltre mezzo secolo, garantendo pace, stabilità e prosperità. Leader di governi e partiti, dimenticando gli orrori di quel periodo storico, che ha causato milioni di vittime, invocano il sovranismo delle proprie nazioni e intendono con le loro azioni ribaltare e disconoscere i valori fondamentali dell’Europa Unita per raggiungere invece l’obiettivo di creare un’alleanza transnazionale tra i movimenti d’ispirazione nazionalsocialista (Portogallo, Italia, Francia, Spagna, Germania, Austria, ecc.). Compito di ognuno di noi, insieme a tanti uomini che hanno lottato e lottano ancora per la difesa della libertà e dei valori umani, è quello di riaffermare dunque, davanti ad ogni forma di male, di illegalità, di violenza alla dignità umana, la volontà ad una vita attiva, consapevole, e per questo forte, dove i cittadini, tutti noi, i nostri figli, possano esercitare quella preziosa capacità che è la libertà dal male dettata dal pensiero. E noi tutti sappiamo quanto oggi, nella nostra Nazione, nella nostra Regione e nella nostra Provincia, sia indispensabile esercitare il nostro pensiero per riconoscere e combattere, senza paura, ingiustizie ed illegalità per conservare a pieno la nostra dignità di uomini e di cittadini contro chi, con protervia e cattiveria nel proprio esclusivo interesse, nel buio dei loro covi o alla luce delle loro eleganti stanze, vuole appropriarsi, soprattutto a scapito dei più giovani, del presente e del futuro. Solo il dialogo, il confronto, la discussione, solo la vita attiva, l’identità creata nel rapporto dialettico con l’altro possono spezzare la catena, atroce perché silenziosa, di quella prigione che è il silenzio del male. La morte della democrazia risiede nel momento in cui i cittadini si trasformano in individui per i quali la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più. Dire la verità è ricordare, sollevare dal nascondimento. Ricordiamolo: da ciascuno di noi, singolarmente, ogni giorno, può arrivare quel gesto, quella parola, che rimarca il discrimine fra lecito ed illecito, giusto ed ingiusto, bene e male, fra l’umanità degradata e la cittadinanza responsabile.
Una cittadinanza non ordinaria, una cittadinanza libera, perché attiva. La storia ci ha insegnato che questa giornata non è, e non deve essere, solo una ricorrenza istituita per ricordare e non dimenticare i 15 milioni di persone rimaste vittime dell’Olocausto, ma piuttosto, deve essere monito e motivazione, insegnamento e ispirazione per non reiterare atti di bassa umanità. Perché se è vero che il passato è passato, è altrettanto vero che, purtroppo passano gli anni, ma il presente continua a non migliorare. È un presente che ci obbliga a fare i conti con quello che siamo! Il presente è una ragazza di diciannove anni che viene insultata, beffeggiata e riempita di sputi perché è cinese. È un bambino bullizzato di dieci anni che si toglie la vita. Forse perché gay, forse perché obeso, forse solo perché introverso. È una barca improvvisata di rifugiati che scappano dalla guerra e muoiono in mare. Subiscono anche il nostro odio, se sopravvivono. È il pregiudizio costante! Gli occhi puntati su chi è diverso da noi! Il dovere e la responsabilità della memoria hanno un peso ancestrale che noi tutti dobbiamo portare e che va compreso e condiviso per spezzare questa catena d’odio. Partendo dalla considerazione che “chi non conosce il passato è condannato a ripeterlo”, il ricordo dell’Olocausto rappresenta un monito per il presente e il futuro, in un periodo in cui si diffondono tentativi di “revisionismo” e addirittura di “negazionismo” che tendono a falsificare la drammatica storia che caratterizzò il periodo antecedente la II guerra mondiale, la Shoah, la Resistenza in Italia e in Europa. Mai come oggi il fenomeno del negazionismo si sta inserendo a tutti i livelli del vivere civile e sociale. Negazionismo sulla pandemia che tutto il mondo sta soffrendo, a causa del Covid 19, negazionismo sull’importanza dei vaccini per combattere questo virus così letale, e la cosa più grave è che questa pseudoscuola di pensiero è propria anche di una, seppur minima, classe medica. Ciò a discapito di una sana e buona informazione sui comportamenti che invece tutti dovremmo avere per combattere questa pandemia. E’ di pochi giorni anche la pubblicazione di un libro, dal titolo “L’ossessione della memoria” di Marco e Stefano Pivato, dove i due autori sostengono che non esistono prove dell’opera di salvataggio degli ebrei da parte del ciclista Gino Bartali. “E’ senz’altro questa, da parte di questi due scrittori, una rappresentazione distorta delle vicende che hanno visto Gino Bartali tra i protagonisti dell’impegno umanitario e solidale nei confronti dei perseguitati del nazifascismo” (nota da parte della famiglia Bartali). Non si possono negare le tante onorificenze ricevute dal grande ciclista, tra cui il riconoscimento di Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem nel 2013, la medaglia d’oro al Valor Civile, ricevuta postuma, nel 2006 da parte dell’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, e la cittadinanza onoraria dello Stato di Israele nel 2018. Per fare in modo quindi che situazioni come queste non prendano il sopravvento, soprattutto tra i giovani, bisogna ribadire l’importanza dello studio della storia per permettere di far maturare nei giovani, e in tutte le persone della società civile, un’etica della responsabilità individuale e collettiva, dando un contributo alla promozione di una cittadinanza attiva e consapevole e alla realizzazione di una pacifica convivenza, al fine di non far prevalere il lato disumano del progresso che può essere utilizzato, dai più forti e potenti, per l’umiliazione e l’annientamento dell’individuo. Non dimenticare mai che alla base di ogni politica di sterminio ci sono sempre: l’assenza di democrazia, la deriva ideologica, nazionalista e razziale innalzate a misura dell’agire politico. Occorre ricordarlo, bisogna ricordare e …non dimenticare!
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Per chi come me ha avuto la straordinaria fortuna di vivere l’esperienza della ludoteca, la notizia di intitolare finalmente il museo del giocattolo a Rosolino Trabona non può che riaccendere quelle emozioni vissute da piccolo e riscattare, almeno un poco, la memoria di una stagione di crescita di una intera generazione di bambini e bambine di Sezze grazie a due educatori formidabili come Rosolino e Farza De Angelis. Ancora oggi, molti di quei ragazzi, sono legati indissolubilmente da quei ricordi, da quei pomeriggi trascorsi a lavorare di fantasia e di mani abili presso i locali della ex Ludoteca Orso Rosso in via Del Castello, oppure al Monumento o nei quartieri durante la mitica Estate Setina. E poi chi potrà mai dimenticare il gemellaggio ed il viaggio a Montmorency in Francia nell’estate del 1990, la Torre Eiffel, l’incontro con l’allora sindaco di Parigi e la memorabile partita di calcio tra Sezze e Montmorency, mille e mille altri ricordi. Siamo stati dei bambini fortunati, lo siamo stati veramente grazie ad una coppia affiatata di educatori che hanno saputo crescere intere generazioni giocando, due amici che hanno saputo plasmare in noi la passione per il gioco, per la nostra città, per le nostre tradizioni e per la nostra storia. Poi con i primi anni del nuovo millennio, le amministrazioni comunali che si sono succedute, hanno iniziato a dare per scontato alcuni percorsi formativi e man mano l’indifferenza unita alla scarsa visione di una città che cambiava hanno dato il colpo di grazia ad un modello di sviluppo formativo unico in tutta Italia. Chi ha avuto il privilegio di frequentare la ludoteca comunale Orso Rosso, a distanza di 30 anni, porta ancora nel sangue quei valori unici che non dobbiamo disperdere e riesce a tradurre automaticamente nella sua memoria di bambino dei ricordi che si sono fatti esperienza di vita, praticità e ragionamento utile per ogni circostanza. Accogliamo allora con favore e con emozione l’avvio dei lavori della commissione capigruppo convocata dal presidente del consiglio comunale Enzo Eramo. La proposta, discussa venerdì scorso, ha visto tutti i consiglieri comunali di Sezze essere favorevoli e di portare a compimento questo atto di ricucitura storica con un periodo indimenticabile per Sezze. L’intitolazione del Museo del Giocattolo a Rosolino Trabona ripaga sicuramente in parte il vuoto ed il disinteresse degli anni passati e chi, in questi anni, e parlo dall’amico Farza, non ha smesso di studiare, non ha mai smesso di pubblicare libri e promuovere convegni in tutta Italia, e non ha smesso soprattutto di chiedere l’intitolazione del Museo al suo amico Rosolino.
“Oggi sappiamo di vivere in un tipo di società che rese possibile l’Olocausto e che non conteneva alcun elemento in grado di impedire il suo verificarsi. Per queste ragioni è necessario studiare la lezione dell’Olocausto. È in gioco molto più che il tributo alla memoria di milioni di vittime, la sistemazione dei conti con gli assassini e la guarigione delle ancora brucianti ferite morali dei testimoni silenziosi e passivi”
(Zygmunt Bauman).
Che cosa è la Shoah?
Ebrei, zingari, omosessuali, oppositori e resistenti soprattutto polacchi, testimoni di Geova, disabili, malati di mente, prigionieri di guerra russi, milioni di uomini, donne e bambini ammassati come bestie su treni merci piombati, che sferragliano sui binari.
Traversate di giorni e notti interminabili da ogni angolo d’Europa in un viaggio di sola andata verso i campi di sterminio.
Quando i convogli ferroviari finalmente giungono a destinazione e i portelloni delle carrozze si aprono, la sensazione è di essere precipitati all’inferno.
I cani abbaiano, aizzati contro persone inermi, costrette a scendere rapidamente dai vagoni, a correre verso i punti di raccolta attingendo unicamente alla forza della disperazione. Urla, comandi incomprensibili, spinte, colpi di bastone inferti alla cieca e senza pietà dalle SS nel tentativo di mettere ordine nella confusione. I più deboli, gli anziani e i malati soccombono, eliminati immediatamente.
Stanchezza, fame, sete, stordimento e spaesamento sono le sensazioni dominanti.
Umanità di scarto, privata della dignità, calpestata e annichilita.
Voci, implorazioni, pianti e lamenti. Una babele di lingue.
I deportati sfilano davanti l’ufficiale medico delle SS, il quale seleziona chi è subito destinato a morire e chi invece ai lavori forzati, che a ben vedere è la stessa cosa.
Anziani, donne, uomini e bambini, ritenuti inutili e improduttivi, si incamminano in file ordinate verso le camere a gas: mille persone al giorno uccise, bruciate nei forni crematori e le loro ceneri disperse in fosse comuni.
Risuonano sinistri e continui i colpi di fucile e di pistola.
Recinzioni elettrificate, filo spinato circondano il campo di sterminio.
Nelle baracche maleodoranti si aggirano uomini e donne poco più che ombre, resi schiavi, ridotti a cose.
Bambini di ogni età sono oggetto di esperimenti “scientifici”, di atti di crudeltà e di efferatezza assurdi e indicibili, di sofferenze inenarrabili.
E altro, altro, altro ancora….. Le parole non riescono a raccontare l’inesprimibile.
Silenzio, dolore e orrore.
Piero Terracina, uno dei pochi sopravvissuti dal campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e tra i pochissimi della comunità ebraica di Roma, dopo decenni di silenzioso dolore decise di condividere i suoi ricordi, andando soprattutto nelle scuole, e ci ha consegnato la sua testimonianza nella speranza di rendere la nostra società il più possibile immune dall’odio, dalla xenofobia e dal razzismo.
“Una mattina andai a scuola come tutti gli altri giorni, tranquillo. La maestra a cui volevo bene e che mi voleva bene mi disse di non entrare. – Terracina tu resti fuori-. Chiesi perché. – Sei ebreo –“. Nel 1938 il regime fascista impose le leggi sulla razza. La stragrande maggioranza degli italiani non protestò, vennero accolte senza clamori e senza pudore. A Roma la comunità ebraica organizzò una scuola privata, ma con l’8 settembre del 1943 e l’ occupazione tedesca, tutto cambiò.”Fuggimmo dalle nostre case, braccati dai fascisti risorti da quel 25 luglio che aveva visto il popolo romano festeggiare la fine della dittatura… sapevamo che centinaia di nostri correligionari scoperti dai fascisti e dalle molte spie venivano consegnati ai tedeschi, che li avrebbero portati a morire per gas nei lager dell’Est e dati alle fiamme nei forni crematori. Un giovane fascista che conosceva mia sorella, anzi la corteggiava, ci tradì per 5000 lire. Eravamo in 8; lui guadagnò 40.000 lire che a quei tempi era una bella cifra. Sette SS armati entrarono nella casa dove ci eravamo rifugiati; i tedeschi ci spinsero in 64 in un carro merci. Poi tirarono il portellone, chiusero il catenaccio e tutto divenne buio. Il treno partì e cominciò un viaggio terribile che per molti divenne l’ultimo viaggio. Molti piangevano. Qualcuno pregava, i lamenti dei bambini si sentivano da fuori, ma là dove si fermava il treno nessuno poteva intervenire perché le SS sorvegliavano il convoglio. Viaggiavamo nei nostri escrementi: Fossoli, Monaco di Baviera, Birkenau-Auschwitz. Io avevo 15 anni”.
A 15 anni Piero conosce così l’orrore della deportazione sua e della sua famiglia. Sul quel treno piombato diretto a Birkenau-Auschwitz salirono la sorella Anna, i fratelli Leo e Cesare, la madre Lidia, il papà Giovanni, lo zio Amedeo e il nonno Leone. Una famiglia intera. Piero era il più piccolo, la sorella Anna aveva 7 anni più di lui.
Tornò a Roma due anni dopo, unico superstite della retata compiuta e della sua famiglia. “Auschwitz. Perché ricordarlo? Perché fu progettato per sterminare con cinica intelligenza ed efficienza gli ebrei. Ogni giorno era una fila interminabile, uomini donne e tanti bambini che venivano inviati alle camere a gas. Vi rendete conto di cosa significa vivere in quelle condizioni? Giorno e notte uscivano fumo e fiamme dai forni crematori… con scintille ben visibili. Era una fila interminabile di uomini di tutte le regioni d'Europa.. che erano figli, sorelle, padri, madri, tutti con una propria vita, tutti che dovevano ugualmente morire. Auschwitz era il posto dove chi sopravviveva, veniva privato di ogni diritto. Non poteva avere ricordi, anche il ricordo dei familiari, il senso della famiglia veniva schiacciato dall’esigenza di sopravvivere”.
Quanti hanno avuto l’opportunità di visitare i luoghi dove si è consumata la Shoah e il privilegio di incrociare lo sguardo, di stringere la mano, di ascoltare le parole dei sopravvissuti hanno il dovere morale di raccoglierne la memoria, di farsi traghettatori di tale eredità, la responsabilità di non lasciarla affievolire e spegnere, di impedire che prevalgano paura, indifferenza e inerzia e di combattere l’intolleranza, il negazionismo, il revisionismo, la riproposizione dei simboli nazifascisti e dell’odio verso gli ebrei e i diversi in genere che hanno segnato una delle pagine più buie del cammino dell’umanità, facendo sì che nella nostra società rimangano ben saldi i valori di rispetto e accoglienza reciproci e di libertà su cui è fondata, valori che nascono e sono continuamente fecondati da quell’immenso, innocente dolore.
Una brutta sorpresa questa mattina all'apertura dei cancelli della scuola dell'infanzia dei Colli di Sezze. Ignoti nella notte si sono introdotti nei locali e hanno messo a soqquadro le aule. La dirigente scolastica prof.ssa Fiorella De Rossi ha denunciato l’episodio sui social con queste parole: “A chi stanotte si è permesso di profanare la scuola infanzia di Colli, dopo aver provato con la scuola media, dico soltanto che per pochi spicci hanno venduto l'anima al diavolo e impedito di fatto ai bambini di frequentare nella giornata odierna. Infatti, per sicurezza, oggi stesso verrà effettuata la sanificazione”. E' veramente assurdo e vergognoso che in un periodo così delicato ci sia qualcuno che possa pensare di trafugare un paio di euro non considerando il disagio che causa agli alunni e a tutto il personale scolastico.
E’ trascorsa una settimana dalla sentenza del consiglio di stato e ancora non è successo nulla. Il cantiere al Belvedere è rimasto lì e da via Diaz nessuna novità. Nemmeno il sindaco ha voluto parlare della decisione del Consiglio di Stato, non ha voluto aggiungere altro. Sergio Di Raimo non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione in merito né sul ripristino né sulle sentenze. Forse essendosi esposto troppo all'inizio ora ha deciso di non parlare e si è rimesso alla decisione dei tecnici comunali che pare abbiano deciso di demolire il manufatto perché “non risulta sussistere un titolo che legittimi il predetto intervento edilizio su suolo pubblico”. A breve quindi dovrebbe esserci un intervento ed il tanto atteso ripristino dello stato dei luoghi. La camera di consiglio ed il Tar hanno respinto il ricorso presentato da Don Massimiliano Di Pastina sui lavori al Belvedere di Santa Maria e la storia dovrebbe chiudersi qui. Le consigliere comunali di Sezze Bene Comune, Rita Palombi ed Eleonora Contento, intanto hanno presentato una interrogazione per capire quale sarà la prossima mossa dell’Ente comunale e se intende ripristinare subito lo stato dei luoghi.