Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalita' illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie, per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

Domenica, 10 Gennaio 2021 07:26

La democrazia sfregiata

Scritto da

 

La democrazia è un complesso e delicatissimo equilibrio tra elementi potenzialmente contrastanti. Il potere appartiene al popolo, il quale lo esercita mediante l’elezione dei propri rappresentanti, cui affida il compito di governare per un periodo determinato preventivamente e nel rispetto dei principi stabiliti nella Costituzione. Il popolo è un’entità differente sia quantitativamente rispetto ad altre forme di unione tra persone basate su legami parentali e affettivi o aventi finalità specifiche, sia qualitativamente perché nessuna rilevanza hanno l’origine etnica, la lingua, il sesso, la religione e le convinzioni personali. Nei sistemi democratici moderni, almeno in teoria, i cittadini godono di uguali diritti e dignità e al contempo è garantito loro il pieno esercizio della libertà individuale, che segna un confine insuperabile e intangibile ed è uno dei fini fondamentali dell’esercizio del potere. L’azione politica in democrazia deve avere come valore specifico non promettere la salvezza, pretendere di indicare le vie per raggiungere il bene (caratteristiche queste proprie dei regimi autoritari e dittatoriali), ma nemmeno ingenerare atteggiamenti rassegnati e fatalistici rispetto alla possibilità di migliorare l’esistente. L’accettazione dell’imperfezione come aspetto irriducibile dell’esistenza deve essere accompagnata da un incessante sforzo per il progresso della collettività e l’eliminazione degli ostacoli al pieno godimento dei diritti, tutelando e garantendo la diversità di idee e progettualità attraverso la divisione dei poteri, l’informazione libera e la reciproca autonomia tra potere economico e politico. 

Il popolo, la libertà e il progresso sono il fondamento della democrazia, ma se uno di essi si emancipa dai propri rapporti con gli altri – sfuggendo così a ogni tentativo di limitazione ed ergendosi a unico principio –, si trasforma in pericolo: populismo, ultraliberalismo, messianismo sono i nemici profondi della democrazia”. (Tzvetan Todorov – I nemici intimi della democrazia). I movimenti populisti e di estrema destra che negli ultimi anni hanno raccolto ampi consensi e hanno assunto anche ruoli di governo, come è avvenuto con l’elezione di Donald Trump quattro anni fa alla presidenza degli USA, sono la manifestazione della rottura di questo fondamentale equilibrio. La concezione strumentale delle istituzioni da occupare e non da governare, il richiamo alla Costituzione funzionale solo alla conquista del potere ma da calpestare e rigettare se diviene un ostacolo al mantenimento dello stesso, l’alterità sostanziale rispetto ai principi dello stato di diritto, la radicalizzazione della contrapposizione con l’avversario politico, la rivendicazione del leader di essere la voce autentica e l’interprete esclusivo della volontà del popolo per cui è inconcepibile anche la remota possibilità di una perdita di consenso, la sconfitta elettorale considerata unicamente effetto di brogli, un furto, un attentato alla nazione e un oltraggio al popolo, la rimozione della realtà in favore di una narrazione falsata costituiscono i tratti caratterizzanti dell’estremismo di destra, nazional-populista, che oggi anziché rovesciare la democrazia e sostituirla con la dittatura, mira a snaturarla dall’interno, a neutralizzarne gli istituti, a preservarli solo nella forma e a svuotarli della sostanza.

L’abuso del ruolo di presidente per perseguire i propri interessi personali e del proprio clan, il ricorso sistematico alla menzogna per accreditare una narrazione assolutamente falsa e fuorviante ma funzionale al mantenimento del potere, l’uso dei social finalizzato a manipolare l’opinione pubblica e far leva sulla credulità, particolarmente di quella parte della popolazione meno istruita e dotata di capacità critica, l’ammirazione e la vicinanza politica espressa a più riprese nei confronti di leader estremisti e antidemocratici come Putin, Erdogan e Bolsonaro sono stati la cifra caratterizzante i quattro anni di presidenza di Donald Trump. Pertanto il suo disprezzo per la democrazia, il voler sovvertire l’esito a lui sfavorevole del voto alle presidenziali ricorrendo all’accusa, totalmente infondata, di brogli elettorali contro gli avversari politici e anche i suoi stessi compagni di partito, indisponibili a piegarsi ai suoi diktat, l’aver ispirato nei fatti un vero e proprio tentativo di colpo di stato pur di non lasciare il potere, istigando i suoi sostenitori alla violenza per intimidire i rappresentanti del popolo e indurli a ribaltare i risultati elettorali e sfociata il 6 gennaio nella gravissima irruzione di un manipolo di facinorosi armati nell’aula del Congresso, dove deputati e senatori erano riuniti in seduta comune per certificare l’elezione a presidente di Joe Biden, il quale ha prevalso sia nel voto popolare sia nel complesso meccanismo di attribuzione dei delegati dei singoli stati, non meravigliano affatto. Ha pienamente ragione l’ex presidente USA Barack Obama quando afferma: “La storia ricorderà a ragione la violenza di oggi al Campidoglio, incitata da un presidente in carica che ha continuato a mentire senza fondamento sul risultato di un’elezione legittima, come un momento di grande disonore e vergogna per la nostra nazione. Ma ci staremmo prendendo in giro se la considerassimo una totale sorpresa”.

Quanto avvenuto a Washington è uno sfregio gravissimo alla democrazia americana, la più antica del mondo, che ha dimostrato comunque di possedere la solidità necessaria per arginare e neutralizzare un attacco devastante, ma è anche e soprattutto un monito rivolto a tutti noi, un invito ad abbandonare cautele e titubanze e ad opporci risolutamente ai partiti e movimenti nazional-populisti, ai tanti emuli ed ammiratori di Donald Trump, che occupano la scena politica anche nel nostro paese, i quali si ergono a paladini e interpreti esclusivi di un popolo che invero disprezzano e vogliono semplicemente ridurre a finzione teatrale, asservendolo ai propri disegni. La democrazia non è affatto una conquista definitiva, ma è fragile, esposta a pericoli continui, necessita il nostro contributo, deve essere incessantemente costruita, alimentata e difesa. 

 

 

Disservizi telefonici e di rete per mezza Sezze da quasi una settimana, un vero black out. Intere famiglie senza linea telefonica, con telefoni fissi irraggiungibili e connessioni internet non disponibili. Da venerdì scorso in molte zone di Sezze, sia periferiche che del centro storico, molti cittadini utenti sono tagliati fuori dalle comunicazioni a causa di un guasto causato dal maltempo dei giorni scorsi. Tra questi ci sono studenti universitari che avrebbero dovuto frequentare corsi on line, lavoratori smart working e soprattutto persone anziane che hanno in casa ancora il telefono fisso come unico contatto con i familiari. Gli operatori hanno ricevuto segnalazioni con tempestività ma la situazione, a distanza di giorni, non cambia e in molti sono ancora senza rete e in attesa del ripristino del servizio. Uno dei problemi principali del disservizio è dovuto probabilmente alla palificazione degli impianti obsoleti presenti nel territorio setino. Sono ancora troppe le linee aeree attive soggette, ovviamente, ai danni provocati dal maltempo. Molte zone del territorio setino ancora non hanno la fibra con cavo a terra, e i quartieri raggiunti dalla stessa ne risentono dell’intasamento delle linee non congrue al carico delle utenze. Insomma causa covid molti cittadini sono costretti a restare chiusi in casa ed isolati dal mondo e per lavoro e per contatti e per svago. Quanto bisogna attendere per il ripristino del servizio? Se lo chiedono in molti a Sezze.

 

 

Domenica  10 gennaio alle ore 17,30 sul palco del Mario Costa si assisterà di nuovo alla Rassegna Musicale gruppi anni ’60 con l’esecuzione di molte delle bellissime canzoni dei mitici anni '60 e '70. Saranno 5 i gruppi musicali che cercheranno di proporre quel mix di sonorità, tra il rock e la musica leggera tipica italiana………

 

Con grande piacere e soddisfazione, il Comune di Sezze e l’Associazione culturale Il Grillo presentano la Rassegna musicale anni 60 e 70. Una rassegna, questa, di pura archeologia musicale setina e non solo, in cui gruppi strapaesani si confronteranno con altre esperienze, unite tutte dalla stessa passione: la musica…….

 

Sul palco dell’Auditorium M. Costa tornano ad esibirsi i gruppi, alcune delle band setine (e non) che hanno fatto la storia della musica nelle piazze e nelle tante sale da ballo……..

 

Queste solo alcune delle presentazioni che ogni anno, dall’anno 2005 fino al mese di gennaio 2020, hanno attenzionato al pubblico, in special modo agli over 50, la Rassegna Musicale “Gruppi anni ’60 e ‘70” uno spettacolo musicale con musica dal vivo, organizzata dal Comune di Sezze e ideata e diretta dall’Associazione Culturale “Il Grillo”.

 La Rassegna di Archeologia musicale setina (e non solo), in tutte le sue 15 edizioni, ha rappresentato certamente una delle più importanti e seguite manifestazioni culturali di rilievo con risonanza provinciale e regionale. Ieri, mentre passeggiavo per le strade del paese (paese quasi vuoto per i problemi di pandemia che stiamo vivendo) riecheggiavano in me le note e le parole de “L’anno che verrà”, una canzone di quel gran genio di Lucio Dalla. 
‘Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po' 
e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò. 
Da quando sei partito c'è una grossa novità, 
l'anno vecchio è finito ormai 
ma qualcosa ancora qui non va’.

Versi che in un momento come questo sono più che mai attuali; l’anno appena trascorso con quanto ci ha lasciato e terribilmente cambiati, ci ha privato di tante di quelle situazioni e manifestazioni che in qualche modo davamo quasi per scontato che facessero parte della nostra attività vitale e del nostro essere umani nelle relazioni sociali. Rimane in noi il grosso punto interrogativo se quest’anno, appena arrivato, ci riconsegnerà quanto ci ha tolto.

A parte questa riflessione, per dar valore a questa manifestazione e non disperdere i risultati raggiunti, vorrei ricordare come tanti di noi sono arrivati a conoscere ed apprezzare il mondo musicale, da spettatori e da attori. Per anni, i componenti dei tanti “gruppi musicali” hanno calcato le scene di piazze della provincia, di sale da ballo, e per i più bravi e forse anche più fortunati, di importanti piazze dell’Italia musicale che si rialzava da periodi bui, speranzosa e senz’altro più genuina e sincera.
Era il lontano 1964, la maggior parte di noi non arrivava a dieci anni. Davanti flotte di ragazzi e ragazze, forse scalcinati, forse peccatori, un po’ santi un po’ maledetti. Pieni di vita, di idee, di proteste e di proposte. Per noi modelli, da imitare, da migliorare. Fu così che iniziò l’avventura di molti gruppi. Fu cosi che iniziò la mia avventura insieme ad altri quattro coetanei che avevano interessi in comune: la musica, lo studio, la parrocchia e tante altre belle cose. Ci preparavamo ad esserci, a crescere, a vivere, a salire su quello che era il palco della vita, il palco della musica. Lo era allora, lo è ancora di più oggi, tra mille incertezze, mille dubbi. Tra le tante difficoltà anche economiche che ci impedivano di avere gli strumenti desiderati, quelli di marca, era viva la certezza che in qualsiasi modo potevamo soddisfare la voglia di suonare e di porci all’attenzione della società, della comunità setina e del nostro entourage. La musica per tutti noi ha dato sempre delle risposte e creato grosse novità: dal freddo delle cantine al calore delle note, dal buio dei garage alla luce del suono. Emozioni, passioni, vibrazioni. Tutto parla di noi: di quello che eravamo e di quello che siamo diventati. Ieri le difficoltà economiche non ci permettevano in pieno di soddisfare i nostri desideri, di frequentare le poche scuole di musica esistenti in provincia per studiare uno strumento musicale, oggi un fenomeno ben più grande e grave non ci permette di dimostrare ancora la nostra voglia di fare musica: quella davanti alle platee cui eravamo abituati in quegli anni, 1960, 1970 e 1980, e quella che, da 15 anni a Sezze, decine e decine di gruppi, hanno eseguito con l’amore di sempre e con la viva passione, sul palco del M. Costa. Si è ripetuto per 15 anni, quasi un rito, una specie di ‘reunion musicale’, un ‘Woodstoch’ provinciale per i musicisti che, in questi anni, non hanno mai perso la speranza di dimostrare il valore e la bellezza della musica per ciò che quest’arte ha significato.

Questi musicisti, attraverso la loro attività professionale e amatoriale, hanno continuato, per tanti anni, a divertirsi e a portare avanti una ventata di sogni , i ricordi di un paese, gli attimi e le idee di una generazione. La Rassegna allora si è rilevata una ventata di emozioni riproposta, ogni anno, sul palco dell’auditorium ‘M. Costa’ di Sezze, con la presenza costante, ad ogni edizione, di più di 400 spettatori, giovani di allora e di oggi.

E’ stata sempre  per tutta la città un momento musicale di straordinaria fattura e aggregazione. 

Il nostro impegno sarà, quanto prima, di presentare la prossima edizione, la 16°, con i gruppi musicali e l’esecuzione dei brani, dal vivo, conosciuti e ancora tanto amati da tutti, giovani e meno giovani.

La pandemia minaccia la salute e la vita delle persone, sconvolge le abitudini e gli stili di vita cambiando le relazioni interpersonali e lasciando in ognuno di noi un segno. Questo fenomeno ci sta spingendo verso forme di vita più sobrie, verso una diversa gerarchia di valori per cui la tutela dei beni comuni come la salute l’ambiente e la cultura possa avere finalmente un rilievo fondamentale. In questo anno appena trascorso, molte iniziative culturali, anche di un certo rilievo, tra cui anche la Rassegna Musicale, sono saltate, e non sappiamo ancora quando si tornerà nella normalità. Questa nostra manifestazione musicale, come tante altre che a Sezze ogni anno si sono realizzate, se non ci sarà un impegno da parte delle istituzioni, naufragherà nel mare dell’incertezza, facendo venire meno il lavoro di anni, di tante associazioni e di tanti cittadini che in questo periodo non hanno potuto esprimere la propria arte per continuare a propagare il valore della cultura. Ma non bisogna perdersi d’animo. Ognuno di noi continuerà nel suo piccolo, presso la propria casa, con il suo strumento musicale gelosamente conservato, a coltivare la passione per la musica, per non farsi trovare impreparato per una rinascita sociale e culturale, quando avremo sconfitto, tutti, ognuno con il proprio impegno, il virus che tanto ha tolto alle nostre vite, a quelle dei nostri familiari e dei nostri amici. Tanti impedimenti fisici hanno limitato le nostre azioni e creato tante difficoltà, economiche, sanitarie e sociali, ma ciò non potrà e non dovrà certamente sconfiggerci nelle nostre idealità e nelle nostre passioni, con l’augurio che quanto prima la cultura riacquisti, attraverso le sue diverse manifestazioni, quel ruolo fondamentale nella nostra società locale e nel mondo in generale.

 

 

 

 

Non sarà come gli altri anni, non è possibile adesso organizzare eventi in presenza e dal vivo all’Auditorium Costa di Sezze, sede che ha ospitato le ultime 16 edizioni del Tributo De André. La dura pandemia che stiamo vivendo non impedisce però del tutto di fare musica e spettacolo, seppur con modalità alternativa online. L’Associazione Le Colonne ha pensato quest’anno di organizzare in diretta streaming sui propri canali social (Youtube e Facebook) la serata deandreana in cui trasmettere video musicali registrati in proprio da musicisti, appassionati e amici, storici e nuovi, del tradizionale tributo setino di gennaio. In diretta ci sarà solo un conduttore, una sorta di dj, che introdurrà i singoli brani del repertorio più classico dell’amato cantautore genovese per poi lanciarli in video nella versione arrangiata dai partecipanti “in proprio e in sicurezza” durante questo periodo di lunga quarantena e di DPCM. Per lo più saranno brani con armonizzazione essenziale, chitarra e voce, pianoforte o tastiere, cantati da singoli, duetti o terzetti ideati per l’occasione (spiccano diverse voci femminili), con qualche gradita eccezione di coverband più numerose ed organizzatesi a distanza per impreziosire il tutto. Sarà una diretta di poco più di un’ora, una dozzina di canzoni e due inserti a sorpresa. Nessun nome di musicisti e cantanti in anticipo, sarà una serata di gruppo - senza palcoscenico, riflettori e primi piani - un canto condiviso di ringraziamento a Faber con l’invito a seguire la diretta e a cantare numerosi da casa le sue canzoni. L’appuntamento è per lunedì prossimo, 11 gennaio alle ore 21, a distanza di 22 anni dal giorno della morte di Fabrizio De André, diventato in questi anni di assenza reale sempre di più una presenza indimenticabile che non si può non continuare a ringraziare per la sua opera musicale, diventata col passare degli anni autentico patrimonio culturale dell’intera nazione.

Domenica, 03 Gennaio 2021 07:38

I Magi ovvero l'uomo in ricerca

Scritto da

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo»”. (Matteo 2, 1 – 2)

Pennellate rapide, parole essenziali per raccontare una storia, per descrivere percorsi di vita che trascendono l’avvenimento in sé e si proiettano verso una prospettiva altra.

L’evento fondamentale, la nascita di Gesù a Betlemme, sembra improvvisamente scolorire, ridursi, solo apparentemente però, a sfondo sul quale si muovono i Magi, personaggi misteriosi e per molti versi indecifrabili, affascinanti e di forte impatto simbolico, i quali fanno la loro comparsa sulla scena, se ne impossessano in modo inaspettato e poi si dileguano, di loro non sappiamo più nulla. Sono come quella stella da loro seguita che, una volta compiuto il suo ciclo, scompare alla vista non perché si dissolva nel nulla, ma perché intraprende cammini ulteriori, segue una sua strada e si dirige verso un altrove sconosciuto.

Erano re? Non lo sappiamo.

Probabilmente si trattava di sacerdoti astronomi della Mesopotamia.

Erano tre, come sostiene la tradizione, anche in ragione dei doni portati al Bambino Gesù, o dodici come raccontano i vangeli apocrifi?

Francamente poco importa.  

Penso sia indispensabile raccogliere la sfida dell’essenzialità lanciataci dal Vangelo che li propone alla nostra attenzione, liberandoci di tanti inutili orpelli che ci distraggono, ci portano a intraprendere traiettorie fuorvianti e ci allontanano da quanto realmente conta.

I Magi è impossibile spogliarli di ogni significatività religiosa, estrapolarli totalmente dal contesto nel quale sono inseriti, non considerare che la loro ricerca è indirizzata verso quel bambino che credono essere il re dei Giudei, Dio. Ritengo sarebbe una operazione sbagliata e disonesta intellettualmente. Tuttavia in loro possiamo cogliere un tratto distintivo che sta alla base non solo della dimensione religiosa, la quale non appartiene a tutti, ma soprattutto del nostro essere donne e uomini: la ricerca.   

Il fascino profondo esercitato dai Magi su quanti, liberi da pregiudizi e preconcetti, si accostano alle loro figure è rappresentato dalla loro inquietudine, dal non accontentarsi della propria sapienza, dal non ritenersi arrivati e realizzati, dal non compiacersi narcisistico di loro stessi, della posizione sociale, della considerazione e del rispetto della gente.

Spegnere la curiosità, sentirsi appagati, cessare di cercare significa perdere quanto acquisito e perdersi, smarrire il bandolo dell’esistenza. 

Osservatori attenti delle stelle, studiosi del movimento degli astri, uomini con la testa per aria, persi nei loro calcoli e astrazioni? Tutt’altro! Quel loro puntare gli occhi incessantemente verso il cielo non li allontana dalla concretezza del vivere, ma anzi li rende capaci di un’autenticità che pochi posseggono. Quando scorgono il manifestarsi del segno, la stella che appare nel cielo, non si limitano a comunicare la grande scoperta ai loro conterranei, a raccogliere i loro plausi e apprezzamenti, ma intraprendono un viaggio tutt’altro che facile ed agevole. Aerei, treni e automobili al loro tempo non erano nemmeno miraggi o esercizi di fantasia.

A ben vedere poi partono con largo anticipo, fidandosi della loro scoperta. Si mettono in gioco per un obiettivo più alto e importante, per trovare qualcuno che dia un senso pieno alle loro esistenze, senza preoccuparsi dei pericoli che avrebbero potuto incontrare durante il cammino, senza la paura di fallire semplicemente perché la loro previsione magari potrebbe rivelarsi sbagliata. 

La lezione fondamentale dei Magi si racchiude tutta in queste due linee portanti sulle quali si muove la loro esistenza: ricerca e disponibilità a mettersi in cammino, abbandonando il certo e il sicuro.

Nel nostro tempo predominato dalla fiducia assoluta nella scienza e nella tecnica, dalla convinzione di poter inseguire sempre nuovi traguardi, dal credere possibile anche l’impensabile e dal disinteresse per i riferimenti valoriali stabili, ci ritroviamo sempre più soli di fronte ai dubbi esistenziali fondamentali, oppressi da un vuoto interiore, da una egolatria e autoreferenzialità che ci rendono incapaci di scoprire la nostra finalità intrinseca ed estremamente vulnerabili a causa delle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, le nostre abitudini e le nostre priorità. Continuare a fare dell’imperturbabilità e dell’indifferenza il nostro tratto distintivo, accantonare le domande, rinviare all’indefinito la ricerca delle risposte o accogliere soluzioni preconfezionate per timore di perdere le posizioni raggiunte non costituiscono alternative soddisfacenti che possano contribuire ad apportare autenticità alla nostra vita. È necessario il coraggio e l’onestà di interrogarci sul nostro progetto esistenziale e metterci in discussione radicalmente. Trovare un senso al nostro vivere significa ricondurre ad un fine ultimo, trascendente il mero contingente, quanto accade nel nostro presente, che sia positivo o negativo, viverlo come una opportunità di crescita e di maturazione, essere più forti, motivati e determinati nel prefissarci e raggiungere gli obiettivi che avvertiamo come l’esplicitazione delle nostre potenzialità e aspirazioni.

Sarebbe importante che anche noi come i Magi alzassimo lo sguardo verso l’alto, riguadagnassimo la verticalità che abbiamo smarrito inseguendo unicamente il materiale, la soddisfazione del sensibile e imparassimo di nuovo ad aspirare all’essenziale, a cogliere il manifestarsi dei segni, ci sforzassimo di leggerli e interpretarli e ci mettessimo in gioco con coraggio, intraprendendo viaggi non necessariamente di centinaia di chilometri, ma che semplicemente ci conducono verso le persone che ci camminano affianco, mariti, mogli, figli, padri, madri, amici, conoscenti….

I risultati potrebbero essere sorprendenti, anzi rivoluzionari.

Mercoledì, 30 Dicembre 2020 08:06

Anche io mi vaccino contro il covid-19

Scritto da

 

Mi vaccino perché sento l’obbligo morale di difendere il prossimo e, in particolare, i miei nipotini e i miei familiari; perché come over '70 sono considerato fisicamente persona fragile; perché credo nella scienza pur conoscendone i limiti e i margini di errore; perché il vaccino garantisce l’immunità  per il 95% e  perché non esiste nulla, in questo mondo, (tranne i dogmi di fede per i credenti) sicuro e certo al 100%; perché sono convinto che maggiore è il numero dei vaccinati e minori sono le malattie in grado di diffondersi, per la cosiddetta immunità di gregge; mi vaccino perché la libera scelta di vaccinarsi è a protezione della salute pubblica ed è accessibile a tutti, anche ai più poveri e indifesi. La pandemia, con il suo triste carico di morte, di sofferenze, di paure, di solitudine, ci ha resi più umani, ponendo un freno alle nostre avidità e ai nostri deliri di onnipotenza senza confini, illudendoci di essere invincibili e invulnerabili. Di fronte al virus ci siamo riconosciuti tutti più deboli, più uguali, tutti disposti a spazzare via i muri e i confini identitari creati artificialmente, nel corso dei secoli, dalle religioni, dalle ideologie, dal censo, dal sesso, dal colore della pelle. Il virus, obbligandoci ad indossare la mascherina, ci ha resi uniformi, anche se restiamo diseguali, e sottoposti a esperienze e sofferenze condivise. Morire da soli, senza il funerale e senza il compianto dei parenti, è scomparire. Per non restare da soli, siamo obbligati a vivere insieme, a costruire una comunità, a cercare gli altri. Dobbiamo, perciò, scegliere liberamente (e non obbligatoriamente) di vaccinarci e convincerci che dopo la pandemia dobbiamo conservare e rafforzare i sentimenti di umanità e solidarietà. “La libertà di non vaccinarsi è garantita ma quando la scelta di non curarsi dovesse determinare un pericolo per la salute degli altri, deve prevalere la tutela della salute rispetto al libero arbitrio” (Pietro Iachino). In questi casi, dal momento in cui la scienza e l’esperienza indicano la vaccinazione come la misura più sicura, essa può essere imposta. Come può essere imposto di non ubriacarsi a chi va in moto! Cosa conta di più? La libera scelta di vaccinarsi o la tutela della salute propria e degli altri? Non si tratta, a mio parere, di obbligare nessuno ma di restringere la libertà a chi non si vaccina ed è più esposto al contagio (operatori sanitari, forze dell’ordine, insegnanti, etc.). Non è questo il momento di disquisizioni ideologiche (no vax) o di sacrosante considerazioni sulle speculazioni delle Case farmaceutiche.  La pandemia ci obbliga a ripensare e modificare il rapporto tra il pubblico e il privato, tra il profitto e la giusta retribuzione, tra l’ambiente e lo sviluppo del territorio. La natura va rispettata e difesa dagli attacchi distruttivi e speculativi dell’uomo. Perché la natura potrebbe ribellarsi e vendicarsi, colpendoci con malattie e disastri che la scienza non è in grado di prevedere. La pandemia può generare forme acute di delegittimazione delle istituzioni pubbliche e rigurgiti istintivi di nostalgia dell’uomo forte in un mondo sempre più violento e simile a una giungla. La lotta contro il virus ha anche un risvolto politico e democratico.

In una nota diramata poco fa il gruppo consiliare Biancoleone fa sapere che il consigliere comunale Giovanni Moraldo non fa più parte del gruppo. La vicenda di ieri non è affatto piaciuta ai consiglieri Paride Martella e Serafino Di Palma, una vicenda che ha visto Moraldo votare la surroga del consigliere Uscimenti fuori da ogni logica politica e fuori dal gruppo Biancoleone e dell'intera opposizione.

Ecco il comunicato stampa

_____________

 

"Moraldo dall’inizio della consiliatura era sempre uscito dall’aula con il gruppo Biancoleone, ieri invece, verosimilmente per equilibri cambiati -si legge nella nota - ha garantito la sua presenza. Il Consigliere Moraldo a sua discolpa ha dichiarato che “resterà in opposizione, e  forse sarà pronto a sostenere il sindaco in caso di difficoltà, come oggi”.  Il gruppo Biancoleone fa presente che quello di ieri era un atto politico di fondamentale importanza che doveva dimostrare la tenuta della maggioranza, che grazie al Consigliere Moraldo è ancora in piedi. Dovere della opposizione è quello di non assicurare il numero legale in consiglio comunale quando la maggioranza non riesce a garantirlo. Questa è l’ABC della politica che si vuole stravolgere. Non è la prima volta che il Consigliere Moraldo assume tali atteggiamenti in palese contrasto con il gruppo Biancoleone, ricordiamo a tal fine le sue dichiarazioni favorevoli sulla installazione della statua di San Lidano sul belvedere di Santa Maria. Questa situazione sta creando molta confusione all’interno della opinione pubblica di Sezze, perché il consigliere Morando si dissocia improvvisamente dal tipo di opposizione che il gruppo Biancoleone ha sostenuto fino ad oggi, anche se è stata da lui condivisa per circa quattro anni. Lui deve dare ai suoi elettori le dovute spiegazioni sulla improvvisa conversione sulla via del Sindaco Di Raimo. Molti cittadini di Sezze hanno il dubbio che questo appoggio al Sindaco di Raimo possa essere una strategia occulta del gruppo Biancoleone. Visto il palese contrasto e considerata la necessità di chiarire le posizioni, alla luce anche degli episodi accaduti ieri in Consiglio Comunale, ritengono che il Consigliere Moraldo Giovanni non faccia più parte del gruppo Consiliare Biancoleone".

 

 

Approvata poco fa la surroga del consigliere comunale Armando Uscimenti con 9 voti favorevoli risicati. Entra in aula il primo dei non eletti nella lista Pd, Paolo Rizzo. Clamoroso il voto di Giovanni Moraldo del Biancoleone che per la prima volta vota con la maggioranza rispetto all’intera opposizione e ai suoi colleghi del Biancoleone.  Moraldo dall’inizio della consiliatura era sempre uscito dall’aula con il suo gruppo, oggi invece, molto probabilmente per equilibri cambiati, ha votato a favore. Pur trattandosi di un voto formale, quello di Moraldo potrebbe essere letto chiaramente come un voto politico a dimostrazione probabilmente della sua affinità politica con una parte della maggioranza. Dispiaciuto dell'assenza dell'opposizione il neo consigliere Paolo Rizzo, al quale replica il consigliere comunale Giovanni Bernasconi: " E' vero che si trattava di un atto formale ma il voto è stato un atto politico che  voleva dimostrare la tenuta della maggioranza a seguito della nomina dell’assessore Uscimenti. Se non fosse stato per il consigliere comunale Moraldo non sarebbe successo nulla ma dal punto di vista politico sì perché il sindaco politicamente non avrebbe avuto i numeri nemmeno per fare la surroga”. Moraldo intervenuto poco dopo, nonostante il voto con la maggioranza, ha dichiarato che resterà in opposizione, e forse sarà pronto a sostenere il sindaco in caso di difficoltà, come oggi. 

Domenica, 27 Dicembre 2020 07:27

Ogni giorno è un nuovo inizio

Scritto da

 

 

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc....Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante. Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca. Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.” (Antonio Gramsci – 1 gennaio 1916, Avanti! Edizione torinese – Rubrica Sotto la Mole).

Questa riflessione di Antonio Gramsci, politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario, uno dei più grandi pensatori italiani del ‘900, morto in un carcere fascista, è molto più che una presa di posizione anticonformista rispetto al sentire diffuso sul capodanno, un suo voler essere un intellettuale controcorrente rispetto alle convenzioni sociali consolidate, agli stereotipi diffusi, al moralismo e al perbenismo di facciata proprio della società dei consumi di massa. Le sue parole rappresentano un richiamo forte, un invito a ricercare l’essenzialità, a recuperare il senso ultimo del nostro essere donne e uomini, all’impegno costante, personale e collettivo, per un nuovo inizio ogni giorno finalizzato al progresso sociale, culturale ed economico, a superare diseguaglianze e discriminazioni che incidono da sempre il corpo vivo della società e oggi particolarmente attuali a causa della crisi generale innescata dalla pandemia, che ha acuito e allargato in maniera preoccupante il divario tra il benessere di pochi privilegiati e la difficoltà e spesso la condizione di vera e propria povertà in cui si dibatte la gran parte delle persone. L’esperienza traumatica di questi mesi ci ha investiti, improvvisa ed imprevista (anche se invero governanti e governati abbiamo ostentato negligenza e disinteresse, siamo rimasti sordi ai richiami di tanti scienziati che avevano prospettato da tempo il possibile verificarsi di simili accadimenti), ci ha precipitati nell’incertezza esistenziale, ha scardinato tanti nostri punti fermi, ha mandato in crisi la nostra modernità fatta di tecnologia, mercato e globalizzazione, ci ha fatti scoprire biologicamente fragili e in balia dell’incontrollabile, ha stravolto la nostra quotidianità e le nostre relazioni, ci ha allontanati fisicamente, ci ha costretti a misurarci con la sofferenza, ci ha colpiti negli affetti con la perdita di persone care, ma soprattutto ci ha messi di fronte alla necessità di un cambio di passo radicale, un ripensamento profondo dei nostri stili di vita e delle nostre relazioni, di recuperare il senso dell’appartenenza alla comunità umana e della solidarietà da attuare immediatamente, pena il rischio di essere definitivamente travolti e spazzati via.

Alla fine dell’anno e nell’imminenza del nuovo è sicuramente importante fermarci e riflettere attentamente su come abbiamo impiegato il nostro tempo, cimentarci in un resoconto sullo stato delle nostre vite e del cammino percorso dalle nostre comunità, evidenziando i traguardi raggiunti e le mancanze, ma occorre l’onestà intellettuale dei bilanci autentici e soprattutto abbandonare la logica stucchevole dei buoni propositi, che finiscono per essere valevoli solo nel tempo limitato dei festeggiamenti, del clima indotto dalle sdolcinate atmosfere natalizie per poi ricominciare a vivere esattamente come prima e come se niente fosse, con uno sfondo che resta sempre lo stesso, solo con un anno in più e identici rimangono i protagonisti, le relazioni, le ingiustizie e gli egoismi personali e di gruppo.

Quest’anno senza la distrazione delle tavolate coreografiche, delle luci accecanti, dei veglioni nei locali e nelle piazze, della musica assordante e dei fuochi d’artificio a motivo della grave situazione sanitaria, abbiamo l’opportunità importante di farci il dono straordinario di non fermarci alla superficie, di non inseguire chimere ed illusioni, di non augurarci semplicisticamente un rinnovamento fatto di parole vuote e inutili auspici ma di scelte fattive, di assaporare la serena, piacevole e gioviale riscoperta delle relazioni improntate all’autenticità, di concederci il tempo per progettare e programmare un cambiamento personale che rappresenta il presupposto indispensabile per un mutamento più generale che investa i nostri rapporti interindividuali e quindi l’intera realtà sociale in cui siamo immersi. Non dobbiamo precludersi ovviamente la possibilità di sognare e pensare in grande, di volare alto, di progettare e realizzare una trasformazione che produca l’emancipazione da ogni forma di oppressione politica, economica, religiosa, ma innanzitutto dobbiamo pensare ed agire con coerenza quotidianamente, non accettare supinamente le idee altrui e soprattutto non smettere di lottare. Il cambiamento è un processo lento, va costruito in modo continuativo, non è mai fine a se stesso e l’alba di ogni giorno deve essere il tempo del suo nuovo inizio.

 

 

Pubblichiamo con piacere la lettera inviataci dal caro Rev.do Anselmo Mazzer, parroco per ben 27 anni della Cattedrale Santa Maria di Sezze, oggi parroco presso Santa Maria Goretti di Latina, assistente ecclesiastico presso l'Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti nonché Assessore presso Tribunale Ecclesiastico diocesano.

________________

 

Il Natale ci richiama ad una presenza: la continua presenza di Dio che ci attira in una meravigliosa comunione con Lui e tra di noi.

In questo periodo non dovremmo vedere le luci, non dovremmo vedere la cultura del consumismo, per giungere a questa essenzialità: accogliere la Parola che si fa carne per entrare nel respiro di Dio. Se entreremo in questo itinerario, gusteremo una Presenza nel cui confronto le luci della storia sono ben poca cosa.

L’abbiamo evidenziato ultimamente nella giornata dedicata al femminicidio. L’uomo, voluto da Dio signore dell’universo, con le capacità dategli da Dio, ci sta facendo uscire da questo problema sanitario, come ha fatto tante altre volte. Ma il grande disastro crescente che riguarda la famiglia (e il femminicidio è un sintomo), il dilagare del bullismo (non se ne parla perché praticamente le scuole sono chiuse da marzo), l’aumento del consumo di alcol e di droghe, anche negli adolescenti, sono il risultato, non di mancanza di leggi, ma di una mentalità, dove Gesù Cristo è il grande assente.

Si tocca concretamente cosa vuol dire essere pieni di Cristo (e vivere con la sua mentalità) o vuoti di Cristo. Basta guardare in giro.

Ci sono genitori che ancora credono che il catechismo serva per la festa della Comunione o della Cresima. Grande illusione! Non abbiamo bisogno di comunicati o di cresimati. Abbiamo bisogno di cristiani veri che imparano, guardando i loro genitori, a crescere, vivendo la Comunione e la Cresima, nella abituale e gioiosa relazione con Gesù, attraverso il catechismo permanente e la liturgia.

La liturgia cristiana non sono cerimonie o riti, ma è l’esperienza del Signore nella gioia dell’oggi: oggi Gesù ci ama, oggi Gesù ci attira, oggi senza di Lui non possiamo vivere, oggi stabiliamo un linguaggio di amore con Lui, scelto come il criterio portante della nostra esistenza.

Carlo Acutis dovrebbe dirci qualcosa.

I Divini Misteri, celebrati come si deve, sono come fessure di luce in ogni tunnel feriale, per non essere schiacciati dalle pesantezze di ogni giorno.

Uno dei drammi che si sta vivendo è che, davanti al Natale, il criterio sono i doni, non il Dono. Questo vuol dire che non desideriamo il donarsi di Dio. Ci leghiamo troppo ad un innocuo Gesù Bambino, ma non al donarsi di Dio.

AUGURO a tutti la cosa più bella che ci sia: costruire ogni giornata partendo da Dio che ne è la sorgente, vivendo Dio che è l’anima del presente, per giungere a contemplare Dio, meta della nostra  storia.

Da questo viene la gioia di vivere.

Pagina 78 di 139