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FRAMMENTO è il titolo della prima opera delle giovane  Sofia Valleriani. Sofia è una ragazza di Sezze, ha  14 anni e frequenta il primo anno di scuole superiore al liceo classico Dante Alighieri di Latina con indirizzo” Biologia con curvatura biometica “; è anche una ragazza che ama lo sport, fa parte della squadra di nuoto sincronizzato di Latina. Eppure lei ha un’altra passione da quando era piccola, ed è quella di leggere e soprattutto scrivere. Questa passione l’ha fatta subito mettere in luce alla sua insegnante delle medie Fulvia Filigenzi che poi l’ha spronata nello scrivere un romanzo. Così Sofia ha iniziato a scrivere durante il periodo della pandemia: quando tutto sembrava fermo lei è riuscita a scrivere un” Frammento” delle sue emozioni. I suoi genitori l’hanno aiutata a realizzare un sogno e far pubblicare il suo romanzo fantasy dalla casa editrice Aletti. 

” Lettera 22“ è un gruppo composto da persone unite dalla passione per la lettura  presente a Sezze da qualche anno. Venuti a conoscenza del libro di Sofia si sono proposti di promuovere il libro credendo nell’importanza di  valorizzare i giovani e dando a loro uno stimolo per proseguire i loro  sogni, progetti e idee che molte volte non trovano spazi in un modo che non sa più ascoltare.

Lunedi 6 novembre alle ore 18:00 presso i locali dei campi da tennis , si svolgerà l’incontro dove Sofia Valleriani dialogherà con lo scrittore pontino Claudio Volpe e presenterà il suo libro FRAMMENTO. Introdurrà Gabriella Tomei e  interverranno la Proff.sa  Filigenzi,  l’amica Michelle Falcelli. Coordinerà  l’incontro Teresa De Renzi, accompagnata al pianoforte da Francesco Vita.        

 

Domenica, 06 Novembre 2022 08:22

Il decreto della protervia

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Atto primo, scena prima: il governo Meloni ha trovato il primo nemico.
 
In un Paese piegato dalla crisi economica, ambientale ed energetica, in cui le persone faticano a pagare le bollette e l’inflazione galoppante falcidia i salari, il primo atto del governo è l’introduzione di una norma che dovrebbe stroncare finalmente e una volta per tutte i rave party, raduni a base di musica, alcool, droghe e trasgressione, come quello tenutosi a Modena nei giorni scorsi. Il Decreto Legge, licenziato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ha introdotto l’articolo 434 bis nel Codice Penale, che punisce l’invasione arbitraria di terreni o edifici  pubblici o privati per raduni pericolosi per l’ordine pubblico, l’incolumità e la salute pubblica, commessa da più di cinquanta persone. La nuova norma sanziona promotori e organizzatori con la reclusione da tre a sei anni e una multa da 1.000 a 10.000 euro e prevede una riduzione delle pene per i semplici partecipanti.
 
Premessa l’assoluta mancanza dei requisiti di necessità e urgenza, previsti dalla Costituzione, per giustificare il ricorso al decreto legge, dato che i rave party non rappresentano un’emergenza per l’esiguità del fenomeno e perciò doveva intervenire il Parlamento secondo le procedure ordinarie, significativo è il giudizio sulla nuova norma del Prof. Tullio Padovani, docente emerito di Diritto Penale alla Scuola Superiore San’Anna di Pisa: “Si tratta di un testo desolante, perché non corrisponde a nulla di ciò che si chiede a una norma penale….. La norma comincia con una definizione, come fanno i vocabolari. Il testo, però, stabilisce soltanto che il reato sussiste quando c’è l’invasione di un terreno o di un edificio altrui, e quando ci sono almeno 50 persone. Non viene detto nulla di quando si realizza un pericolo per l’ordine pubblico o per l’incolumità pubblica o per la salute pubblica, che restano nozioni vaghe, vaghissime. In altre parole, viene ripetuto l’oggetto da definire, attraverso un meccanismo tautologico. O è una presa in giro o è un caso di assoluto analfabetismo legislativo. Siamo di fronte a concetti che non sono definiti da nessuna parte, a fattispecie che quindi saranno riempiti ex post dall’interprete”. Il giurista poi ricorda che nel Codice Penale esiste già una norma, l’art. 633, che punisce “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”.
 
Le ragioni che hanno portato all’introduzione della norma e la fretta con cui è stata elaborata hanno prodotto un pasticcio legislativo, il cui fine non è punire i reati, ma mandare un segnale politico al Paese mediante una esibizione muscolare del potere governativo, nel solco di una cultura iniquamente e soverchiamente repressiva, estranea ai principi dello Stato liberale e democratico e alla Costituzione.
 
Sotto il profilo strettamente giuridico la genericità della formulazione della norma apre le porte all’abuso e all’arbitrio, perché lascia discrezionalità valutativa ai commissari, ai questori, ai prefetti o al Ministro dell’Interno circa l’identificazione di cosa costituisca un pericolo per l’ordine, la sicurezza e la salute pubblica e quindi possa configurare una consumazione del reato.
 
L’analfabetismo legislativo, rimarcato dal Prof. Tullio Padovani, è indiscutibile. Nel nostro ordinamento vige il principio di tassatività della fattispecie penale e la norma deve individuare gli estremi del fatto-reato in modo da distinguere con precisione ciò che è lecito e ciò che è vietato. La pericolosità non può essere un concetto astratto, deve essere stabilita preventivamente e concretamente, la sua definizione non può essere demandata ad altri poteri dello stato e non può esserci reato se non è chiaro quale sia il bene giuridico tutelato.
 
Il nuovo reato confligge con la libertà di riunirsi dei cittadini, garantita dall’art. 17 della Costituzione, cui non è opponibile il generico limite dell’ordine pubblico. Tant’è vero che le riunioni in luogo pubblico o aperto al pubblico non richiedono autorizzazioni, ma solo un preavviso all’autorità competente, che può vietarle solo “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Comprovati e non supposti, come viene stabilito dal Decreto Legge.
 
È opportuno evidenziare che questa nuova norma, rabberciata e incostituzionale, è applicabile non solo ai rave party, ma a qualunque manifestazione di dissenso, agli incontri di gruppi numerosi di persone che contestino le scelte del potere costituito, alle occupazioni di scuole ed università da parte degli studenti e di fabbriche e luoghi di lavoro da parte dei lavoratori. La minaccia del ricorso alla repressione e al carcere rappresenta così un ottimo deterrente nel caso la rabbia per le difficoltà economiche, che ribolle sottotraccia, tenti di organizzarsi ed esplodere nelle strade e nelle piazze.
 
Nel nostro ordinamento penale non ha precedenti la previsione di reati plurisoggettivi che colpiscano più di cinquanta persone riunite insieme. La scelta del numero è palesemente arbitraria e priva di senso: cinquanta persone non commettono il reato, cinquantuno sì! Inoltre ogni partecipante a raduni non autorizzati con più di cinquanta persone può essere intercettato, fermato e processato. La pena, sia pur differenziata per organizzatori e partecipanti, è poi abnorme, superiore a quella prevista per reati ben più gravi, come il caso dei pubblici funzionari che alterino gare pubbliche, dei responsabili di frodi in pubbliche forniture, che mettono in pericolo vita e salute di un numero imprecisato di cittadini, l’omicidio colposo e tanti altri ancora. 
 
Fa riflettere poi che la stessa solerzia il governo non l’ha avuta per il raduno delle camicie nere che ogni anno e stavolta anche per il centenario della  marcia su Roma si sono ritrovate a Predappio, dove è nato e sepolto Benito Mussolini, durante il quale sono stati esibiti saluti romani, simboli e bandiere fasciste e cantate marcette del ventennio. Un rave party a tutti gli effetti, stando alla nuova norma, che configura peraltro il reato di apologia del fascismo, punito dalla Legge Scelba, approvata nel 1952 per dare attuazione alla 12° Disposizione Finale della Costituzione e dalla Legge Mancino che, dal 1993, prevede aggravanti per i reati con finalità razziste e impedisce di esibire bandiere e simboli di organizzazioni violente.
 
Staremo a vedere infine se il buon Ministro dell’Interno, facendo leva proprio sulla nuova fattispecie di reato introdotta, farà sgomberare la palazzina, di proprietà demaniale, di via Napoleone III a Roma, occupata abusivamente da Casapound da oltre venti anni e la restituirà ai cittadini indigenti di Roma.  
 
C’è da dubitarne. Si sa, legge ed ordine valgono per tutti, eccetto che per i camerati.

 

 

Attenzione ai camaleonti, a quelli che si travestono a seconda delle circostanze. Il Governo della Destra è l'esempio più smaccato e vergognoso. Fino a qualche settimana fa, in campagna elettorale gridava "al lupo" contro l'Europa avara, contro Draghi, contro l'occidente, contro gli immigrati, facendosi alfiere della Nazione e delle sue sponde. Una volta al Governo c'è voluto molto poco a cambiare musica. Per non restare fuori dal contesto internazionale ed europeo, per non apparire troppo filiputiniano va a Bruxelles e telefona a Washington, con il cappello in mano. Grida ancora e fa la voce grossa ma solo per nascondere il voltafaccia e la vergogna. Una stucchevole propaganda. L'atteggiamento reverenziale verso gli USA vengono usati furbescamente come un ricatto verso l'Europa, al solo scopo di creare un alibi e un contenzioso permanente verso la cattiva Europa e per non smarcarsi troppo da Orban Erdogan e, un po' più in là, da Putin. Mantenendo il piede in due scarpe, sventolano la bandiera del fare, dello slancio vitale degli arditi, come quando sfilavano nei cortei di Alleanza Nazionale. Avevano giurato un Governo di alto profilo, ci ritroviamo un Governo di alta fedeltà, cognato compreso. Né mancano le prime gaffe istituzionali e politiche. Giurano di vietare i raduni, ma subito ci ripensano, giurano di far togliere le mascherine ma anche qui ci ripensando. Non hanno ripensamenti solo verso i No Vax ai quali viene condonato tutto e verso la libertà di portare in tasca migliaia di euro per favorire i furbi e gli evasori fiscali. Dice il giornalista Ezio Mauro sulla Repubblica :"La vera identità di questo Governo è la controcultura". Consiste nella tanto sbandierata anomalia contro il Palazzo, contro i Poteri Forti (proprio da chi siede da anni in Parlamento). È la rivincita dell'antipolitica, del fai da te, del Liberi tutti, dell'arroganza, della prepotenza verso i più deboli e indifesi. Un Governo di Destra che vuole dimostrare furbescamente di vivere da un'altra parte, di venire da un altro pianeta,. Non ha il coraggio di dare un taglio alle sue radici e di spegnere la Fiamma perché, sostiene, che in Italia il fascismo non esiste più, è solo una invenzione dei comunisti. Siamo di fronte ad una deriva pericolosa o, forse, a una commedia comica e tragica. Scegliete voi. Occorre vigilanza e passione politica in in difesa della democrazia e dei diritti civili, sociali.

 

 

La Servizi Pubblici Locali Sezze spa, società partecipata del Comune di Sezze, da oggi ha un nuovo amministratore unico. Si tratta di Antonio Ottaviani, che questa mattina è stato nominato nel corso di un’assemblea della società  qualche istante dopo l’approvazione del Bilancio della stessa SPL, l’ultimo firmato dall’amministratore uscente Gian Battista Rosella. Ottaviani, quindi, prende le redini della società che si occupa, tra le altre cose, della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani: “Tra i principali obiettivi del mio mandato – le sue prime parole – ci saranno l’equilibrio economico finanziario, che passano anche attraverso la trasparenza nelle scelte e la lotta all’evasione. Lavorerò per improntare l’organizzazione aziendale per processi al fine di generare soddisfazione nell’utenza e valore per l’azienda. L’efficientamento energetico e la digitalizzazione dei servizi – ha proseguito il nuovo amministratore – sono alcune tra le ulteriori sfide che attendono la società e che impegneranno la mia presidenza, sempre al servizio e al fianco dalla cittadinanza”. 51 anni, Business Area Director presso una nota azienda internazionale leader nel settore dei trasporti e della logistica, Ottaviani – forte di un EMBA e di una Laurea in Ingegneria Gestionale – vanta una comprovata expertise in ambito Supply Chain insieme ad una solida esperienza in ruoli gestionali e manageriali. Sul suo tavolo, nel nuovo incarico da amministratore unico, ci sarà sicuramente la questione dei rifiuti. E le sue idee sembrano essere molto chiare: “La diffusione della raccolta differenziata su tutto il territorio comunale non garantisce ancora una copertura in linea con il minimo di legge previsto. Punteremo, quindi, ad efficientare la raccolta porta a porta e servirà un ampio e sentito coinvolgimento degli amministratori, dei dipendenti, della cittadinanza tutta sui temi dell’economia circolare, educazione al rispetto dell’ambiente e sulla corretta differenziazione dei rifiuti. Sapremo incentivare le pratiche di compostaggio domestico, lavoreremo sull’ecocentro e alla tariffa puntuale, ci occuperemo della chiusura del ciclo dei rifiuti e trattamento delle acque da spazzatura”. Un occhio di riguardo, inoltre, anche sul servizio scuolabus, anch’esso gestito dalla società: “Bisogna rinnovare con urgenza il parco scuolabus che attualmente è altamente inquinante: l’80% dei mezzi è ancora Euro1 o Euro2 e se pensiamo che dal 2024 lo stop alla circolazione interesserà anche i mezzi Euro3, è evidente che dovremo accelerare il processo di razionalizzazione del servizio per dimensionare correttamente la flotta, con l’obiettivo di abbattere le emissioni anidride carbonica ed implementare il concetto di mobility as service”. Un piano ben preciso su questi due macro-temi, ma anche altri accorgimenti sui servizi che la società gestisce, tra i quali la farmacia comunale (Va potenziata e resa vero avamposto sanitario sul territorio”), la digitalizzazione del pagamento dei tributi, il verde pubblico e i servizi cimiteriali, ma anche il centro Tamantini che, ha spiegato ancora Antonio Ottaviani: “ci impegneremo a portare verso una sua ampia e decisa valorizzazione”. Soddisfazione per la nomina del nuovo amministratore è stata espressa dal sindaco Lidano Lucidi, che ha fatto gli auguri ad Ottaviani e si è detto particolarmente fiducioso: “Quella della Spl è una situazione che va monitorata con attenzione e sulla quali criticità occorre impegnarsi in maniera efficace e determinata. Per questo motivo ho molta fiducia in questa nuova governance e non posso che augurare buon lavoro al nuovo amministratore, con il quale si è già iniziato a ragionare sul futuro della nostra azienda. Nei processi che governeremo e nelle scelte che verranno perseguite – ha concluso il primo cittadino – passa il futuro dei lavoratori della società, ma anche i risultati in termini di servizi che offriamo alla cittadinanza”.

 

"Confesso che difficilmente riuscirò a non provare un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza contro le politiche del nostro governo. Mi torneranno inevitabilmente alla memoria le mille manifestazioni a cui ho partecipato con tanta passione. Senza mai prendere ordini da alcuno. Al famoso “Siate folli, siate affamati”, di Steve Jobs, io vorrei aggiungere “siate liberi”. Perché è nel libero arbitrio la grandezza dell’essere umano." Mentre la Meloni pronunciava queste parole alla Camera per la fiducia al suo Governo, alla Sapienza la polizia in tenuta antisommossa manganellava gli studenti che manifestavano contro la conferenza di Capezzone e Roscani di Fratelli d'Italia. Un tempismo surreale che sottolinea la distanza siderale tra parole vuote e realtà dei fatti. I ragazzi hanno provato ad entrare nella facoltà CHIUSA per l'evento, e a proteggerne l'ingresso le forze dell'ordine che li hanno respinti con violenza. "Fuori i fascisti dalla Sapienza. Antifascismo è anticapitalismo." Con questo coro e con questi slogan i ragazzi volevano entrare nella LORO università ma è stato, appunto, impedito loro. Dopo gli scontri, un corteo spontaneo ha portato più di 2000 ragazzi sotto il rettorato per chiedere le dimissioni della rettore Polimeni che a detta dei ragazzi che manifestavano ha sempre tollerato la presenza di organizzazioni studentesche di estrema destra. E non è neanche cominciato il peggior governo di sempre.

Sinistra Italiana Sezze in collaborazione con Segreteria Regionale Lazio

Domenica, 30 Ottobre 2022 06:31

Nostalgia. In bilico tra dannazione e redenzione

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Nostalgia, il film di Mario Martone, ispirato all’omonimo romanzo di Ermanno Rea, è un ritratto sottile ed agrodolce di Napoli.
 
Pierfrancesco Favino veste i panni di Felice Lasco, un uomo che per quarant’anni è rimasto lontano dal Rione Sanità della città partenopea. Quindicenne è andato via da Napoli, è vissuto ed ha lavorato in numerosi paesi del Medio Oriente ed infine è approdato a Il Cairo, dove è divenuto un affermato imprenditore. Dei popoli tra cui è vissuto ha assimilato lo stile di vita al punto da quasi dimenticare l’italiano e da convertirsi alla fede islamica. La ragione di questa lunga separazione sarà svelata attraverso dei flashback, sequenze che intersecano la narrazione del presente, si caratterizzano per l’uso di un filtro color seppia e un formato visivo quadrato, che ritagliano gli avvenimenti passati come fossero attimi persi nel tempo e si chiudono rapidamente e senza soluzione di continuità con il racconto principale. È una scelta tecnica che riproduce perfettamente il meccanismo della memoria.
 
Dopo tanti anni Felice sente il richiamo primordiale e profondo della sua città, prende un aereo e vi fa ritorno. Vuole passare del tempo con l’anziana madre malata. Gli incontri madre / figlio sono momenti emozionanti, grazie anche alla delicatezza di Aurora Quattrocchi che la interpreta. Una delle scene più forti e significanti è quando Felice le fa il bagno in una stanza spoglia, mentre lei piange in silenzio. La riconnessione sentimentale e umana, il prendersi cura della madre sono l’occasione per ritrovare se stesso, riconciliarsi con la realtà e riscoprire i luoghi del suo vissuto. 
 
Inizialmente scettico, si lascia catturare dalla nostalgia dei tempi andati al punto che decide di restare, di affrontare un cambio radicale, di sacrificare se stesso e quanto ha costruito altrove. Si lascia assorbire dalle strade affollate di Napoli e dal confronto con tante vecchie conoscenze. Il regista realizza sequenze di grande intensità, ci fa immergere con una dinamica e intensa passeggiata nei vicoli della città dal punto di vista di Felice, il quale ad ogni passo, come uno spettatore occasionale o un comune visitatore, ci guida alla contemplazione della sua bellezza. Tuttavia ci propone una Napoli assai diversa dal solito, spettrale ed evanescente, bella ma sospesa in un limbo che trasmette la sensazione che nessuna trasformazione o progresso è possibile. La città traluce ad ogni passo gli spettri del passato, che la abitano e convivono con gli abitanti attuali, si svela come un crocevia straordinario in cui le tradizioni secolari non muoiono mai, passato e presente si fondono, sono la stessa cosa. Tutto è velato da una intensa malinconia, che rivela in modo autentico le intime antinomie che permeano Napoli, dove convivono santità e delinquenza, povertà e nobiltà, incubi e rinascite, forza vitale e desiderio di morte, in cui i palazzi sono spesso carcasse decrepite in cui le famiglie vivono ammassate in piccoli e sporchi appartamenti. In questo viaggio nelle sue viscere più nascoste Napoli si presenta come un luogo impossibile da lasciare: il corpo può abbandonarla, ma la potenza dello spirito che la vivifica riuscirà sempre e comunque a riportare indietro quanti da essa si separano, si riprende, prima o poi, le persone perse.
 
La riscoperta di Felice riguarda non solo i luoghi, ma soprattutto i ricordi più remoti, rivissuti nel fluire della quotidianità, nel turbinio di colori e odori che pervadono la città, nel riaffiorare prepotente dei sentimenti, nella necessità di fare i conti con il proprio vissuto, che prepotente tenta di fagocitare il presente. Questo processo di ricostruzione per Felice non è solo un viaggio piacevole, un rammentare eventi spensierati, ma un confronto duro con tratti maledetti, con reminescenze terribili e indicibili, a lungo intenzionalmente cancellate o tenute prigioniere nei meandri remoti della coscienza. Il suo passato è oscuro, pieno di demoni, tra i quali il principale è Oreste Spasiano, il suo migliore amico dei tempi dell’adolescenza selvaggia. Felice ha cambiato vita, è fuggito da quella realtà, mentre Spasiano è diventato un boss della camorra, temuto nel quartiere e soprannominato O malommo. La memoria, necessaria e terribile, gli impone il confronto duro e ineludibile con il passato, gli restituisce il senso di sé, gli permette di elevarsi, di alimentarsi della relazione con luoghi, costumi e abitudini che sono parte della sua sfera più inconscia e impressi nella sua interiorità.
 
Attraverso un montaggio serrato, Mario Martone dipinge con pennellate intense e con sfumature niente affatto banali i vari personaggi che accompagnano il protagonista, che pur non avendo la consistenza narrativa di Felice, la sua personalità intrigante e traboccante un’aura di mistero, hanno un ruolo essenziale nel film. In particolare Oreste Spasiano è la sua nemesi più oscura e al contempo la forza incontenibile che lo spinge a riscoprire il proprio passato e Don Luigi, sacerdote del Rione Sanità, uomo di Dio combattivo, che tenta di contrastare la camorra nel quartiere, creando opportunità per i giovani e arrivando a trasformare la sacrestia della chiesa in una palestra, è il suo principale alleato nel personale percorso di riscatto.
 
Nostalgia è la parabola di un uomo e di una città in bilico tra redenzione e dannazione, in cui i concetti di ricordo e malinconia sono ribaltati rispetto al sentire comune. Il ritornare al passato, utile per riscoprire se stessi, può essere pericoloso, può diventare un’ossessione, trasformarsi in un ode alla voracità del tempo trascorso.
 
Mario Martone ci racconta una storia che fin dall’inizio sembra già scritta, ma che la sua abile regia e la straordinaria interpretazione di Pierfrancesco Favino riescono a rendere coinvolgente ed emozionante dalla prima all’ultima scena.
 
 

 

 

Riceviamo e pubblichiamo un documento del Partito Democratico a firma di Francesca Barbati – Segretaria del Partito Democratico di Sezze e Luigi De Angelis – Presidente del Partito Democratico di Sezze

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La sconfitta del Partito Democratico alle elezioni amministrative dell’ottobre del 2021 e alle elezioni politiche dello scorso 25 settembre 2022, ci mette di fronte alla necessità di intraprendere un percorso di rifondazione della nostra comunità politica, una sua profonda e radicale rigenerazione che deve necessariamente investire contenuti, metodi, organizzazione e rappresentanza della classe politica. Sono state sconfitte profonde, che fanno male. Abbiamo commesso errori e tanti sono stati i limiti del nostro operato. Non abbiamo compreso fino in fondo le fratture determinate dal susseguirsi delle crisi economica, sanitaria e ambientale, l’ansia e lo spaesamento di tanti nostri concittadini. Tuttavia abbiamo compreso la lezione ed è tempo di cambiare. Vogliamo costruire un nuovo Partito democratico, affrontando finalmente il nodo della nostra identità, riconnetterci sentimentalmente e politicamente con il nostro popolo, porci la questione sociale, delle nuove generazioni, di quella parte del paese che abbiamo perso per strada, farci interpreti nella società e nelle istituzioni della domanda di rappresentanza delle fasce più deboli e svantaggiate, dei nuovi poveri, dei lavoratori, del il mondo produttivo, professionale e dell’innovazione sociale e tecnologica, ripartendo dalla piattaforma valoriale ed ideale che costituisce la nostra essenza profonda ed elaborando insieme un programma culturalmente e socialmente avanzato e condiviso. Esiste uno spazio politico che chiede libertà e giustizia sociale, in cui diritti civili e sociali camminino di pari passo, lo spazio di un partito progressista e di sinistra che ha le sue radici nelle grandi culture riformiste ed è chiamato ad elaborare un nuovo modello di sviluppo che metta al centro la persona, i suoi diritti e i suoi doveri verso la comunità. “Ripartiamo dalle basi” non è stato semplicemente uno slogan utilizzato per lanciare l’assemblea pubblica dello scorso 24 ottobre, ma la cifra ideale e concreta su cui rifondare il Partito Democratico di Sezze. Vogliamo raccogliere e mettere a frutto le sollecitazioni e le domande emerse dai tanti cittadini che hanno partecipato e trasformarle in un progetto concreto. Nella nostra città c’è una domanda di partecipazione che va ascoltata e raccolta e per questo proseguiremo lungo la strada del confronto aperto e libero con i cittadini, con le categorie sociali, le associazioni, i sindacati e il terzo settore su temi specifici sia di portata nazionale che locale. In questo momento è quanto mai essenziale chiamare iscritti e simpatizzanti a dare il proprio contributo di idee e impegno per rifondare il nostro partito, restituendo rappresentanza negli organi direttivi alle diverse categorie sociali, produttive e ai territori. A tal proposito è necessario ricostruire la rappresentanza territoriale del Partito Democratico, quartiere per quartiere, promuovendo assemblee pubbliche e occasioni di incontro, dare vita ad una rete di partecipazione, di ascolto dei cittadini, di discussione e di elaborazione di proposte politiche e programmatiche. Non dobbiamo assolutamente trascurare i social, i quali possono rappresentare uno strumento straordinario per la partecipazione, soprattutto dei giovani, attivando blog e piattaforme online che consentano il confronto e lo scambio di idee e proposte. Crediamo sia fondamentale costruire un percorso strutturato per la formazione alla politica, indispensabile fucina per far crescere una nuova classe dirigente preparata politicamente e amministrativamente. Il congresso che celebreremo deve essere insomma il momento conclusivo di un processo complesso di rifondazione e rigenerazione. È un lavoro enorme quello che ci aspetta, che richiede la disponibilità e la generosità di tutti, ma non abbiamo alternative. Per questo chiediamo a tutti i cittadini di partecipare attivamente per ridare speranza e futuro alla sinistra democratica e progressista della nostra città. Abbiamo bisogno di tutti, nessuno escluso.

 

 

 

 

Proseguono ininterrotte le azioni dell’amministrazione comunale di Sezze volte a combattere il fenomeno dell’abbandono indiscriminato di rifiuti, con particolare riguardo a quelli speciali che molto spesso, troppo spesso, vengono gettati nelle zone di periferia del territorio setino. L’ultimo dei casi nei quali è stata provvidenziale la scelta di dotare il territorio di fototrappole è avvenuto nella zona di via del Murillo, a pochi passi da dove sorge l’ex stabilimento “Cirio”, dove due soggetti, uno dei quali titolare di un’impresa edile, sono stati ‘pizzicati’ a gettare materiali di scarto da lavorazioni della loro ditta.

A parlarne è stato il sindaco di Sezze, Lidano Lucidi, che ha accolto positivamente questa operazione messa in atto dalla Polizia Locale di Sezze: “Su questo specifico fronte bisogna sempre tenere alta l’attenzione. Quello della presenza di discariche abusive è purtroppo un fenomeno da combattere con tutti i mezzi e le difficoltà derivano dall’estensione del territorio comunale che rende tutto più complicato. In questa situazione, non posso che congratularmi con la nostra Polizia Locale, che ha già elevato diverse sanzioni negli ultimi mesi. Cerchiamo con tutti i modi consentiti dalla legge – ha concluso il primo cittadino – di arginare questo fenomeno mettendo in campo azioni mirate e proseguendo su questa strada. Nuove fototrappole sono state già installate nelle zone della vecchia 156 dei Monti Lepini, ma anche in via Sandalara e in alcune aree della Conca di Suso, tra le quali via Carizia. Altre, invece, sono previste in altre zone del territorio e l’obiettivo è quello di scongiurare evidenti problemi di carattere ambientale”.

Domenica, 23 Ottobre 2022 05:51

Suicidi in carcere. Un dramma ignorato

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Ogni tanto una storia riesce a infrangere la cortina di silenzio e indifferenza che circonda i 55 mila detenuti delle sovraffollate carceri italiane e ci mette di fronte ad una realtà dura e drammatica.
 
L’ultima volta in cui i media hanno mostrato interesse per il mondo carcerario è stato in occasione della triste fine di Donatella Hodo, suicidatasi nella notte tra il 1 e il 2 agosto inalando del gas dal fornello della cella, nel carcere veronese di Montorio, dove era reclusa per alcuni furti, commessi in negozi per procurarsi la droga. Ad accendere i riflettori sulla vicenda è stata la lettera aperta del Giudice di Sorveglianza Vincenzo Semeraro, letta durante il funerale, nella quale il magistrato tra l’altro scriveva: “Ogni volta che una persona detenuta si toglie la vita significa che tutto il sistema ha fallito. Nel caso di Donatella, io ero parte del sistema visto che seguivo il suo caso da sei anni. Quindi, come il sistema, anche il sottoscritto ha fallito”.
 
Impastando diritto, rispetto delle istituzioni e un profondo senso di umanità Vincenzo Semeraro ha restituito dignità ad una funzione importantissima, circondata purtroppo da diffidenza, paura e sfiducia, spesso strumentalizzata politicamente, puntando il dito innanzitutto su se stesso, incolpandosi con coraggio e umiltà di un fallimento che prima che personale è dell’intero sistema per il fatto di non garantire il rispetto dell’art. 27 della Costituzione della Repubblica: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Un principio proclamato solennemente ma di fatto impossibile da rispettare, nonostante l’impegno di tanti magistrati e operatori carcerari, in un sistema in cui le strutture detentive non solo non sono a misura di persona, ma rappresentano spesso un incubatore di criminalità. È urgente una riforma culturalmente in linea con la Costituzione per trasformarle in un circuito di ri-educazione e realizzazione di se stessi, una sorta di compendio umano finalizzato a riequilibrare e incoraggiare il reo alla scelta ed alla costruzione non di una vita nuova, ma finalmente consapevole di sé e della misura delle proprie paure e ambizioni. Il carcere deve ritrovare o, meglio, trovare per la prima volta, la sua priorità istituzionale attraverso progetti portati avanti da personale sanitario, educativo, pedagogico, psicologico e sociale qualificato, puntare alla formazione professionale e lavorativa e alla creazione delle condizioni per la ricostruzione di una sana relazionalità. I malati psichiatrici, i tossicodipendenti, le persone affette da malattie degenerative e invalidanti vanno gestite in centri specializzati e vanno applicate pene alternative. I casi in cui i detenuti peggiorano la propria condizione, la dignità dei malati viene calpestata sono troppi e il numero dei suicidi in carcere ha dimensioni spaventose.
 
Donatella aveva un problema di tossicodipendenza, condizione che è giusto definire non reato ma sintomo di una sofferenza, un grido di dolore e inadeguatezza, non da sanzionare ma da curare con il sostegno psicologico, pedagogico, riabilitativo e psicoanalitico. Se a ventisette anni solo con la droga Donatella riusciva a sopportare il male di vivere e a fuggire dalla mancanza di fiducia nel futuro, una volta in carcere, circondata da una solitudine più grande e amara, non ha scorto per sé altra via di uscita che il suicidio.
 
Le persone che impattano nell’uso delle sostanze hanno bisogno di cura, aiuto e sostegno in un percorso di cambiamento. La dipendenza da sostanze riguarda corpo e psiche in un equilibrio sofisticatissimo e l’uso degli strumenti farmacologici e psicologici deve essere finalizzato a migliorare la qualità della vita e accompagnare il processo di cambiamento in coerenza con la disponibilità e la libertà della persona.
 
Purtroppo quanti usano sostanze sono oggetto di stigma sociale, viene considerato vergognoso e innaturale di per sé il comportamento, che invece di costituire un fattore di protezione e scoraggiamento all’uso, finisce per  alimentare atteggiamenti punitivo / persecutori, con la conseguente diminuzione del rispetto nei loro confronti e del loro valore individuale.
 
La morte in carcere di Donatella conferma poi i dubbi sul senso del vigente apparato sanzionatorio, ancor più in assenza di un dibattito coerente e informato tra i cittadini sulla questione droghe e sull’inefficacia della carcerazione. La legislazione italiana è una delle più severe in Europa e il risultato del meccanismo sanzionatorio applicato alle persone dipendenti fa sì che rappresentino il 30% della popolazione carceraria, quando la media dei paesi europei è il 18%. Altro dato rilevante è che i dipendenti da sostanze hanno rappresentato il 39,9% dei nuovi ingressi in carcere nel 2020. Tutto ciò dimostra la necessità di procedere ad una revisione organica della legislazione nazionale in materia di dipendenze (DPR 309/90) e del sistema di cura. Il carcere è un luogo inadeguato per curare persone con dipendenza patologica, in cui anzi finiscono per peggiorare le proprie condizioni correlate alla fragilità complessiva.
 
Il dramma è che la politica preferisce promuovere becere campagne populiste, solleticare gli istinti, farsi paladina di demagogiche e inconsistenti proposte securitarie, piuttosto che affrontare seriamente i problemi, prendere l’impegno di rendere davvero e finalmente umana la Giustizia, con la maiuscola, e far corrispondere i fatti alle parole della Costituzione, sia nelle carceri sia nei tribunali, dove il garantismo suona spesso come una parolaccia, o quasi.

 

 

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa firmato dal direttivo del Pd di Sezze. Nella nota diramata alla stampa i dem setini denunciano quella che chiamano una "campagna denigratoria contro il partito di Sezze". 

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Per l’ennesima volta assistiamo alla mistificazione della realtà. Nel corso della trasmissione televisiva Monitor, andata in onda giovedì sera su Lazio tv, si è parlato della nostra città e, raccontando la vicenda di Karibù, sono state lanciate accuse totalmente infondate e attribuite responsabilità al PD di Sezze circa quanto accaduto. Sul punto è necessario dire parole di verità. Dal 2019 Karibù non svolge più alcun servizio e non ha più alcun ruolo nella nostra città, mentre ha continuato a lavorare in tanti Comuni della Provincia di Latina, amministrate da sindaci di diverso colore politico e addirittura anche con altre istituzioni, come la prefettura di Latina. È bene precisare che Karibù ha gestito per conto del nostro comune unicamente il progetto SPRAR e quanti vi hanno lavorato sono sempre stati regolarmente pagati, avendo l'amministrazione vigilato che venissero rispettati i diritti dei lavoratori e le leggi. I lavoratori che vantano crediti verso Karibù hanno lavorato in progetti organizzati e gestiti da altri enti sul nostro territorio e non dal comune di Sezze. È pertanto evidente che le amministrazioni di centrosinistra nulla hanno a che fare con queste vicende e che da parte di alcuni si sta portando avanti da tempo una campagna mediatica volta a denigrare una intera classe politica, ad infangare esponenti politici ed amministratori del PD di Sezze. Rispettiamo il sacrosanto diritto di cronaca, sancito dalla nostra Costituzione, ma rifiutiamo categoricamente affermazioni artatamente costruite da parte di chi al contrario spesso tace o minimizza fatti gravi accaduti in questa Provincia e imbastisce accuse fondate sul nulla.

Il direttivo del Pd di Sezze

 

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