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Anche se non ancora ufficializzati sarebbero sei i consiglieri pontini eletti alla Regione Lazio dopo il voto del 12 e 13 febbraio che ha visto eletto presidente Francesco Rocca per la coalizione di centro destra. Tre seggi sono stati attribuiti a Fratelli d’Italia con Enrico Tiero, Elena Palazzo e Vittorio Sambucci. Per la Lega si conferma consigliere Angelo Tripodi, mentre per Forza Italia entra l’ex sindaco di Gaeta Cosmo Mitrano. Unico seggio attribuito alla coalizione che ha sostenuto Alessio D’Amato Presidente quello del Partito Democratico che conferma il consigliere regionale uscente, il setino Salvatore La Penna con 7.118 preferenze. Nulla per gli altri quattro candidati setini alla Regione Lazio: Antonio Costanzi (di Sezze Scalo e residente a Latina) per la Lista Civica Rocca Presidente; Michel Cadario per il Polo Progressista di Sinistra e Ecologia per Bianchi Presidente ; Giovanni Paolo Di Capua per la Lista dei Socialisti e Francesca Caschera per la lista D’Amato Presidente.

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Ecco le dichiarazioni del consigliere La Penna: "Grazie a tutte e a  tutti! Sarà un onore per me continuare a rappresentare il nostro territorio in Consiglio Regionale. Continueremo ad #esserci, come negli ultimi 5 anni. L’impegno sarà massimo per essere all’altezza della  fiducia che in maniera così straordinaria mi avete riconfermato, nonostante un turno elettorale complicatissimo che ha visto la vittoria della destra. Un sincero e grande ringraziamento ad Alessio D’Amato per la battaglia che ha condotto  e alle candidate e ai candidati della lista del PD, il cui impegno è stato fondamentale per consentire la mia rielezione. Un abbraccio a ciascuna e ciascuno di voi!"

 

 

Organizzato dall'Associazione nazionale Vigili del fuoco in congedo - Città di Sezze e dall'Associazione “Valorizzazione ricerca e promozione onlus” di Sezze in collaborazione con la Parrocchia di Santa Lucia, il convegno “L'economia sociale, una prospettiva per il futuro” si terrà a Sezze, sabato 18 febbraio alle 18.30, presso la stessa Parrocchia di Santa Lucia.  Interverranno: Giorgia Diletta Nigri, ricercatrice della LUMSA nonché membro del Comitato scientifico di Economy of Francesco, il movimento che raggruppa gli economisti under 35 di tutto il mondo convocati ad Assisi da Papa Francesco;  Caterina Costa, presidente del Centro per la Pace di Assisi impegnata in progetti di cooperazione internazionale; Angela Pierli, Project Manager di Città di Castello esperta nella creazione di reti di economia sociale e civile; Massimiliano Porcelli, presidente della Cooperativa Utopia 2000 in giro per l’Italia a presentare il docufilm che racconta il progetto del Girasoli Tour. L'incontro si aprirà con i saluti di Don Giovanni Grossi, parroco della Chiesa di Santa Lucia, Paolo Casalini, presidente dell'Associazione nazionale Vigili del fuoco in congedo - Città di Sezze  e di Lidano Lucidi, sindaco di Sezze. Modererà il convegno Andrea Gianolla, vice presidente dell' Associazione “Valorizzazione ricerca e promozione onlus” e direttore del coro dell'Associazione “Passione di Cristo” di Sezze. È prevista la partecipazione  di alcuni sindaci dei Monti Lepini, i Dirigenti i degli Istituti scolastici di Sezze e i rappresentanti degli studenti. “Il convegno - hanno affermato gli organizzatori - punta  a far  confrontare alcuni esperti di settore. Confronto  volto a esplorare in particolare le potenzialità future di un modo di fare economia più attento ai valori dell'equità e della giustizia sociale. In un’epoca storica come quella che stiamo vivendo, caratterizzata da grandi disparità e diseguaglianze che rischiano di deflagrare, riteniamo utile sperimentare, anche nel nostro territorio, nuovi percorsi legati a un’economia maggiormente redistributiva”.  Al termine del convegno verrà proiettato il docufilm “Tutto quello che sarà” del regista pontino Renato Chiocca sul “Girasoli Tour”, il viaggio di 3500 chilometri  che il presidente della Cooperativa Utopia 2000 onlus, in compagnia del giovane Dennis Lucarelli (ospite della Comunità educativa residenziale di Roccagorga), sostenuti dal Consiglio d'amministrazione della stessa Cooperativa,   hanno percorso interamente in bicicletta, dal 10 giugno al 15 luglio del 2021,  nell'Italia  che resiste, come recita “Viva l’Italia”, canzone di Francesco De Gregori, nell’Italia empatica e innovativa. “Ringrazio gli organizzatori e la Parrocchia di Santa Lucia  - ha sottolineato Massimiliano Porcelli -  per questo invito davvero gradito. Ma in particolare ringrazio Maria Contento,  consigliera della Presidenza del Consiglio dei Ministri,  appassionata di queste tematiche, che sarà presente all'incontro”. In programma, durante la serata un collegamento con Dennis Lucarelli, il monore coprotagonista del docufilm. Questa di Sezze è la terza tappa, dopo Bevagna e Cori,  del tour delle proiezioni  dello stesso docufilm. Queste le altre tappe: Grosseto, Salerno, Roma, Verona, Fondi, Vasto, Assisi. Perugia, Ascoli e Milano.

 

 

L’insoddisfazione nei confronti dell’amministrazione cittadina aumenta, si manifesta sui social e sulla stampa. È passato oltre un anno da quando il progetto civico, guidato dal sindaco Lucidi, ha conquistato la maggioranza nella massima assise cittadina con una messe, probabilmente insperata e imprevista, di consensi. Va dato merito alla coalizione vincente nelle urne di esser riuscita a interpretare la domanda di rinnovamento che saliva dalla cittadinanza. Fin dai primi passi però sono emersi i suoi limiti, l’assenza di una visione politica, l’approccio improvvisato e confuso alla complessità dell’amministrazione di una città come la nostra. In discussione non è la passione, la buona fede e la sincerità dell’impegno di tanti che hanno deciso di sposare questo progetto, ma altrettanto onestamente va detto che non basta la buona volontà. Numerosi sono stati gli errori amministrativi compiuti. Il velleitarismo di talune proposte, l’assenza di una idea di sviluppo complessivo, fondato su una conoscenza reale del tessuto produttivo, del contesto sociale e culturale della nostra comunità, sono stati accompagnati purtroppo dalla presunzione di essere i migliori, di avere in tasca la ricetta giusta per ogni problema.
 
La sfrontatezza e la scaltrezza dimostrate in campagna elettorale si sono presto dissolte di fronte alla durezza dell’ordinarietà dell’amministrare, che richiede profondità di pensiero e assunzione di responsabilità. L’irrisolutezza, l’immobilismo vengono motivati con l’impossibilità ad operare, effetto della situazione disastrosa ereditata dalle amministrazioni precedenti. Si tratta di una scusa ricorrente, usata dalla politica politicante ad ogni livello per nascondere le proprie incapacità e inadeguatezze, un modus  operandi a cui il civismo cittadino si è adeguato ben volentieri. Nessuno nega i problemi e la possibilità che in passato siano stati commessi errori, ma quanti si candidano a ruoli amministrativi e di governo dovrebbero dimostrare serietà e buon senso, fare i conti con la realtà prima di sbandierare promesse di palingenesi irrealistiche e irrealizzabili e attrezzarsi con l’indispensabile bagaglio di conoscenze e competenze per governare la complessità. Tanto più che le risorse per gli enti locali sono sempre più scarse e stiamo uscendo da una crisi pandemica senza precedenti, cui si sono aggiunte le difficoltà economiche derivanti alla guerra in Ucraina.
 
Se la maggioranza cerca scuse per giustificare il proprio immobilismo, l’opposizione è invece assorta in un imperscrutabile silenzio, concentrata nella narcisistica contemplazione del proprio ombelico, smarrita in un’autoreferenzialità che allontana i cittadini, li fa sentire disarmati, in balia dell’incontrollabile, fa sperimentare loro la solitudine e l’assenza di rappresentanza per le loro domande.
 
La nostra città vive una crisi profonda e il degrado avanza, dal centro alla periferia.
 
Se guardiamo alle ultime settimane i malumori di tanti cittadini si sono trasformati in aperta critica, trovando sfogo sui social ma scarso eco nella politica ufficiale.
 
L’austerity natalizia è stata mal digerita. Un paese spento di addobbi natalizi non ha riscosso grande gradimento. Il tema non erano tanto le luminarie, tutto sommato non così essenziali, ma la sensazione complessiva di abbandono della città in un momento in cui sarebbe stato necessario dare un segnale forte di ripartenza.
 
Un post su Facebook, scritto da una stimata insegnante in pensione, amante della cultura locale e residente nel centro storico, ha scoperchiato il vaso di pandora e dato voce al malessere di tanti cittadini e delle pochissime attività commerciali ormai agonizzanti, vittime dei lavori infiniti di riqualificazione del manto stradale e del perdurante isolamento del centro cittadino, irraggiungibile da mesi anche per i mezzi di soccorso in caso di emergenza. 
 
Il grido di dolore dei commercianti del centro storico è rimasto inascoltato. Eseguire lavori di riqualificazione così importanti e non programmare un piano operativo per le attività economiche è incomprensibile. Superficialità o incapacità l’hanno fatta da padroni e le giuste lamentele sono state respinte al mittente, con buona pace di quanti si sono trovati a fare i conti con guadagni ridotti al lumicino o azzerati. Nessuno contesta i lavori, sacrosanti e non più rinviabili, ma non possono avere durata infinita e procurare danni economici così rilevanti.
 
In campagna elettorale è stato raccontato che la SPL era un postificio clientelare, con un numero di dipendenti esagerato, ben al di sopra di quelli necessari. Passata la sbornia elettorale, non solo l’organico non è stato ridimensionato (giustamente perché significava lasciare senza reddito tante famiglie), ma da settimane si vanno moltiplicando i bandi per ricercare dirigenti e consulenti da ingaggiare, oltre i tanti incarichi affidati, tutti ben retribuiti. Ha fatto eco la notizia, comparsa qualche giorno fa sui giornali, della diffida del sindacato dei giornalisti “Stampa Romana” ai vertici aziendali, invitati a ritirare il bando pubblicato per assumere un responsabile della comunicazione per non aver rispettato gli obblighi previsti dalla legge 150/2000. Si è passati dalla necessità di portare i libri in tribunale e dichiarare fallimento all’aumento di personale e di spese. La repentina inversione di rotta richiederebbe il dovere etico e politico di dare spiegazioni convincenti ai cittadini elettori.     
 
I residenti di via Maina hanno organizzato una colletta per comprare il bitume e tappare le voragini sul manto stradale. Le strade abbandonate, i cittadini immersi nel degrado, i cumuli di rifiuti in pianura, a Suso e in pieno centro, sono la fotografia del nostro territorio di cui chi amministra sembra non accorgersene, sebbene avesse promesso un cambiamento radicale.
 
Tra i tanti disservizi il più odioso è quello denunciato dai genitori dei bambini che frequentano la Scuola di via Piagge Marine: pasti insufficienti, razioni contingentate e non più di cinque rigatoni a bambino. Ogni commento è superfluo.      
 
Sarebbe opportuno che la maggioranza smettesse di crogiolarsi nella sua supponenza, restando indifferente a critiche e sollecitazioni, l’opposizione smettesse di restare silente e tutti insieme pensassero al bene comune di Sezze.
 
Sicuramente queste parole susciteranno l’ira di chi è allergico alle critiche, dei leoni da tastiera a comando e offriranno loro l’occasione di cimentarsi di nuovo in biechi attacchi personali a mezzo social. È un copione già visto e sperimentato. Si ricorre al manganello mediatico per far tacere le voci critiche. Un ulteriore triste segnale del degrado della politica.

 

 

Sabato 4 Febbraio si è svolta una marcia per la pace promossa dalla Comunità di Sant’Egidio. Durante la manifestazione sono stato gentilmente invitato a portare un mio contributo che volentieri ho dato. Vista la grande partecipazione di cittadini e associazioni il tempo per i vari interventi è stato, giustamente, compresso. Porto qui pertanto qualche punto di ulteriore riflessione. La casa è in fiamme! Questo è terribilmente vero! Ma è anche straordinariamente vero che esistono i pompieri che instancabilmente continuano a lavorare e pensare come meglio attrezzarsi sia per spegnere gli incendi che per prevenirli. E noi? Noi che sicuramente pensiamo di non stare dalla parte degli incendiari ma che certamente non siamo concretamente neanche parte attiva nel corpo dei pompieri, cosa possiamo fare? Limitarci a manifestare per chiedere la pace? Esprimere a gran voce  il desiderio di ottenere (da altri) la pace può sicuramente essere gesto lodevole ma può anche rivelarsi pura illusione. La pace non la si può chiedere, non la si può pretendere! La pace non la si può elemosinare. La pace non prevede scorciatoie. La possiamo solo esercitare. In prima persona. E per esercitarla bisogna assolutamente disporsi nel giusto atteggiamento, ovvero, coltivarla dentro noi stessi. Noi possiamo esercitare la pace nella misura in cui siamo in pace con noi stessi. Attrezzarsi per tendere a questo stato interiore, oltre che efficace, è un presupposto imprescindibile per manifestare la pace. Vediamo e ascoltiamo proclami che inneggiano alla pace anche da parte delle Istituzioni. Però, se davvero le Istituzioni volessero dare un contributo per la realizzazione della pace, come hanno istituito un Ministero per la Difesa potrebbero, ad esempio, istituire un Ministero per la Pace con il compito specifico di promuoverla in tutti gli ambiti e con tutte le modalità possibili. Formalizzando ciò darebbero sicuramente dignità e credibilità istituzionali a tutti coloro che operano per questo; come esiste, senza che nessuno si scandalizzi, un esercito pronto ad entrare in guerra (pronto, quindi, a distruggere e uccidere fin quando lo reputa opportuno), perché non lavorare per la costruzione di un “Esercito” (naturalmente senza armi) per la Pace?

Cosa ne abbiamo fatto dell’esperienza dei giganti che hanno operato concretamente per la Pace? Cosa ne abbiamo fatto del patrimonio lasciatoci da Maestri che, come il Mahatma Gandhi, hanno agito senza toccare armi ma con regole ferree? Queste regole potrebbero essere materia di studio, sia teorico che pratico, fin dalle scuole dell’obbligo? Per concludere, riteniamo opportuno dare credito e dignità a queste esperienze umane anziché liquidarle come fossero gesti fatti da persone un po’ pittoresche o romantiche? Potrebbe tutto ciò essere elaborato dai vari movimenti pacifisti e tradotto in proposta politica da sottoporre alle Istituzioni, agli enti preposti alla formazione dell’individuo che, inevitabilmente, condizionerà il nostro futuro, le nostre vite? Il tema non può essere quello di scegliere con quale arma morire e in che lasso di tempo, né scegliere se per poter vivere c’è bisogno che qualcun altro soccomba. Siccome la vita è un diritto di tutti, tutti devono essere chiamati a spogliarsi di qualunque tipo di arma e della propria aggressività. E lo Stato, ogni Stato deve essere come un padre che raccoglie tutte le sue energie sulle labbra per dare un affettuoso bacio al suo piccolo così da trasferirgli tutto l’affetto, la fiducia e l’amore del mondo. Ma non vogliamo neanche illuderci troppo perché, si sa, queste “so’ cos’e pazzi!”

Orazio Ananda Mercuri

 

Il rinvenimento nel 1980 del tempio arcaico di Giunone nel tratturo Caniò, come ebbe a sottolineare il prof. Luigi Zaccheo in un suo articolo su Il Comune Oggi rappresenta un fatto culturalmente molto importante, perché è il segno della penetrazione più meridionale di Roma durante la conquista del territorio dei Volsci. Con questo articolo il prof. Zaccheo, oltre ad informare su importanti reperti che erano tornati in luce, notava che se si fosse riusciti a scavare tutta l'area sacra del tempio ea ricomporre in loco le antiche strutture, Sezze avrebbe avuto il pregio di mostrare nel proprio territorio uno dei complessi più antichi del Lazio meridionale.

Il tratturo Caniò, unica via di accesso al Tempio di Giunone, era anticamente percorso dalla transumanza che scendeva dai Lepini attraverso le falde del M. Antignana, e raggiungeva la palude nei pressi del Foro Appio. Di questo tratturo non esiste più né il tracciato montano né quello pedemontano, anche se di quest'ultimo si può ritenere che in epoca remota passasse per le sorgenti di “acqua zolfa” in località La Catena, dove gli animali venivano fatti immergere. Ciò in virtù della funzione sanante e curativa dello zolfo per le ferite degli animali, specificatamente sui cavalli, ma anche sugli ovini, ai quali le acque solfuree conferivano un mantello di lana candido e pulito, che costituiva un pregio commerciale ed un valore aggiunto.  Era un'opportunità cui difficilmente i pastori rinunciavano, e che con ogni probabilità aveva dato il nome al tratturo.

Caniò infatti deriverebbe dal nome latino di persona Canius , che significa uomo dai capelli bianchi o candidi, proprio come il candore che acquistavano le pecore detergendosi nell'acqua zolfa della sorgente della Catena. Gli umanisti ci hanno sempre ricordato che in greco a theion era lo zolfo, ma era anche la cosa divina (divinum): non a caso il verbo theióo significa «purifico con zolfo, disinfetto» ma corrisponde anche a «consacro agli dei». Lo zolfo era quindi sacro, anzi, era la «cosa sacra» con cui si curavano i mali degli uomini e degli animali, si candeggiavano lana e tessuti, si purificavano le case durante le cerimonie, si dava alla la vite e si preparava il vino eccetera.

Dall'area archeologica dei resti del tempio di Giunone, segnaliamo numerosi materiali bronzei e ceramici, fra i quali si distinguono gli ex voto, sia gli anatomici che rimandano chiaramente a una guarigione richiesta o ricevuta di persone malate, sia quelli riproducenti ovini, bovini e un cavallo. Si ritiene che la presenza di queste statuine di animali da pascolo potrebbe non essere casuale, ma legata proprio all'azione benefica delle acque sugli armenti e sulle pecore.

Della rilevanza dati a questi animali, parrebbero testimoniare puri gli strumenti da lavoro venuti alla luce durante gli scavi: una lama di coltello a mezzaluna per la lavorazione del cuoio, e vari pesi da telaio, evidentemente legati alla tessitura.

Dalle mappe del Catasto terreni di Sezze del 1929, che si rifanno a quelle ancora più antiche del Catasto Pontificio , il tratturo figura come strada vicinale Caniò con incrocio da via degli Archi, a circa 650 metri dal sito archeologico degli Archi di S. Lidano e si addentra alla campagna in direzione sud per meno di 500 metri, quindi curvando verso ovest attraversa con un ponte la fossella della Carrara e va ad incrociare, dopo circa 350 metri, via Murillo. L'accesso in via Murillo è da questa parte intercluso dall'aia di un fabbricato rurale, ma all'occorrenza potrebbe essere ripristinato perché non vi insistono manufatti..

L'orientamento verso nord dell'asse stradale del tratturo, nel tratto in cui inizia da via degli Archi, mostra la sua primitiva provenienza dalla sorgente dell'acqua zolfa della Catena, anche se tale percorso pedemontano potrebbe essere variato nei secoli, specie durante le contese medievali tra Sezze e Sermoneta e parzialmente deviato verso lo storico stradone dell'Arnarello (tuttora esistente e riportato nelle mappe del Catasto nelle immediate vicinanze del tratturo, presso via Archi).

Il tratturo Caniò è interamente in terra battuta come è sempre stato per millenni, si presenta molto sconnesso e può essere percorso solo a piedi oppure da trattori o fuoristrada.

Dall'intersezione di via Murillo (a circa 800 metri dagli Archi di San Lidano) e procedendo in direzione sud-ovest verso i resti del tempio di Giunone il tratturo Caniò scompare dalla planimetria catastale, ma la tradizione popolare lo indica ancora oggi nello stradone in terra battuta con grossi avvallamenti che conduce al tempio di Giunone, nel cuore della località “Quarto Campelli” un tempo chiamato Pantano Luvenere  ovvero Pantano delle uve nere (cecubo)

Il tratturo termina alla cosiddetta Fossella della Selcichia, ma sino a pochi decenni fa immetteva in via Maina ed è stato raccontato di uno suo sbocco in prossimità del Foro Appio.

Le origini arcaiche del tratturo Caniò, sicuramente il più antico tra quelli che attraversarono il campo setino, sono testimoniate da alcuni oggetti rinvenuti negli scavi dell'area archeologica del tempio di Giunone che risalgono al XVI secolo a. C. (età del Bronzo Medio).

Da tali reperti si desume chiaramente come il tratturo fosse preesistente sia alla via degli Archi che alle altre strade del campo di Sezze, e persino alla stessa via Appia.

 

 

[1] Il Comune Oggi – Nov 1985 –anno VII

[2] Università degli studi di Padova, Dipartim. archeologia- Atti del convegno, Padova 21.06. 2010 - AQUAE PATAVINAE – Maddalena Bassani: Le terme,le mandrie e Gerione- Antenor Quaderni; 21 .

[3]   Foglio catastale 53 del Comune di Sezze

[4] Foglio catastale 91 del Comune di Sezze

[5] MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DEL LAZIO Atti del convegno Lazio e Sabina 9 – Roma 27-29 marzo 2012 -Ricerche geoarcheologiche nell'area di Tratturo Caniò (Sezze, Latina) 2007- Nicoletta Cassieri- Carmela Anastasia, – Martijn van Leusen – Hendrik Feiken – Gijs Tol -

 

Per una vera rigenerazione urbana ci vuole una idea di comunità. Ne è convinto Vittorio Accapezzato, amministratore della città negli anni '80, oggi docente in pensione e attento osservatore delle logiche politico-amminitrative della nostra città.

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Una delle aree verdi di Sezze non usufruita da oltre mezzo secolo dalla cittadinanza è la "macchia" ossia bosco dei cappuccini. Adiacente ad esso, è posta la chiesa di S.Francesco (chiamata S. Giuseppe) unita al convento dei Frati minori Cappuccini, che successivamente venne trasformato in Colonia agricola pontina. Questo complesso è da tempo in stato di abbandono e degrado urbano. Il governo con la legge bilancio del 2022 ha stanziato ben 300 milioni di euro a questo genere di progetti. Lo scopo della rigenerazione urbana, infatti, è quello di restituire ai cittadini un territorio che possa essere vissuto sia dal punto di vista ambientale, sia da quello culturale. Operando in questo senso,si potranno attivare nuovi servizi e creare nuovi spazi necessari alla vita della cittadina e alla realizzazione di iniziative che offrono possibilità di socializzazione. Rigenerare bene, sta nel comprendere i bisogni dei cittadini.  Progettare insieme gli interventi è un'occasione di coinvolgimento sociale dei cittadini che vivranno il territorio stesso e definire il modo migliore dell'opera da realizzare.  Infatti, la rigenerazione urbana,  si basa soprattutto di riutilizzare spazi urbani già presenti, senza consumare una maggiore porzione di suolo.  L’obiettivo primario è restituire alla popolazione di Sezze degli spazi rinnovati, utili e partecipati. Dev'essere un progetto co-progettazione aperto con assemblee pubbliche in modo che i cittadini esprimono i propri bisogni, opinioni e suggerimenti. Non basta modificare il piano traffico o riqualificare alcuni edifici per poter parlare di rigenerazione urbana. Ci vuole un'idea di comunità  e una visione di futuro e la voglia di realizzare.

Nella foto Vittorio Accapezzato

 

Una festa per tutti i bambini del mondo che vivono a Sezze. Un sogno che si è realizzato quello della diciannovenne rumena Nadina Liliana, una ragazza che vive a Sezze da molti anni. In occasione delle festività natalizie, nel giorno del suo compleanno, Nadine ha deciso di promuovere e organizzare un evento che si è tenuto presso l’auditorium San Michele Arcangelo di Sezze. Una festa per i bimbi di tutte le nazionalità, un pomeriggio in allegria e di gioia  e di integrazione. Nadine, che lavora come bracciante agricola nei campi di Sezze, ci tiene a ringraziare la Pro loco e il Comune di Sezze per aver accolto il suo progetto, un progetto che intende riproporre anche per il prossimo anno. La donna parla di questo evento solo ora perchè, avendo preso parte alla marcia per la Pace organizzata dalla comunità di Sant’Egidio di Sezze sabato scorso, anche in questa occasione è sentita parte di una comunità che cerca integrazione in un momento così difficile e pieno di incertezze. Due momenti insomma  significativi per la donna e per tutti perchè aiutano a crescere la comunità in un percorso di collaborazione e speranza.

 

 
 
La scomparsa il 31 dicembre scorso del Papa emerito Benedetto XVI ha dato la stura a una sfilza di dichiarazioni assurde e di accuse velenose contro Papa Francesco. L'ex segretario di Ratzinger, mons. Georg Gänswein, esponente dei circoli tradizionalisti e ultraconservatori, e il cardinale Gerhard Ludwig Müller, 75enne porporato tedesco, chiamato da Benedetto XVI alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede e “ messo a riposo ” nel 2017 da Francesco, hanno dato voce ai malumori dell'ala conservatrice della Chiesa da sempre ostile al pontefice argentino.
 
Molteplici sono state le avanzate critiche, sulla cui fondatezza teologica e pastorale è lecito nutrire forti dubbi, anche se dalle loro parole emergono un'acrimonia e una ostilità conseguenti soprattutto al ridimensionamento personale subito per volontà di Papa Francesco. Coltivare ambizioni, puntare alla carriera, ai riconoscimenti personali, agli incarichi e al potere, aspirare alla realizzazione è umanamente lecito e comprensibile, ma assai poco confacente allo spirito evangelico per quanti sono chiamati a servire Cristo con radicalità e pienezza di vita come pastori del popolo di Dio e non dovrebbe aspirare ad altro.
 
Ad ogni buon conto tra le domande su cui i due autorevoli monsignori si sono cimentati con dichiarazioni discutibili e inopportune c'è quella della revoca pontificia delle concessioni fatte al tradizionalismo cattolico in ambito liturgico fatte da Benedetto XVI. Giustamente Papa Francesco, con il “ motu proprio ” “ Traditionis custodes ” ha limitato drasticamente l'uso del rito antico della messa e ribadito la necessità di adeguarsi alla riforma liturgica conciliare. Il nuovo rito promulgato dal Concilio Vaticano II prevede l'uso anche del latino, ove sacerdote e fedeli lo possono capire, accanto alle versioni in tutte le lingue del mondo. È una scelta dettata dall'esigenza di tradurre e inculturare il cristianesimo, una vera e propria forma di incarnazione del Vangelo. La “Parola si fece carne ” (Gv 1,14): il mistero accolto in pienezza nell'Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione di Cristo, è trasformato nuovamente in parola, una parola umana proclamata in tutte le lingue degli uomini, riuniti intorno all' unica mensa.
 
Quanti mostrano l'incomprensibile nostalgia per i canti latini e gli arcani misteri sussurrati dall'officiante durante le celebrazioni, alle quali i fedeli non sono chiamati minimamente a partecipare, restando totalmente estranei e in paziente attesa solo del momento della comunione, hanno una concezione clericale della Chiesa, nella quale lo Spirito Santo non ha nulla da dire all'uomo di oggi. I tradizionalisti, che si atteggiano ad eroi della resistenza contro la presunta deriva secolarista della Chiesa, alla desacralizzazione e demisticizzazione della fede, al presunto depauperamento del patrimonio della tradizione sedimentato nei secoli, attraverso la pretesa restaurazione del passato liturgico (peraltro è un falso grossolano affermare che il rito di Pio V sia il rito da sempre nella Chiesa Cattolica) mirano a rinnegare il fondamento ecclesiologico promosso dal Concilio Vaticano II. La messa celebrata secondo il rito antico non è una questione meramente linguistica, ma rivela una concezione della Chiesa, in cui è netta la separazione tra clero e fedeli laici, ai quali ultimi non è distintivo riconosciuto alcun ruolo e alcuna funzione se non quella di semplici spettatori. La Chiesa coincide e si identifica con il clero e la gerarchia e tutti gli altri sono di fatto superflui. in cui è netta la separazione tra clero e fedeli laici, ai quali ultimi non è riconosciuto alcun ruolo e alcuna funzione se non quella di semplici spettatori. La Chiesa coincide e si identifica con il clero e la gerarchia e tutti gli altri sono di fatto superflui. in cui è netta la separazione tra clero e fedeli laici, ai quali ultimi non è riconosciuto alcun ruolo e alcuna funzione se non quella di semplici spettatori. La Chiesa coincide e si identifica con il clero e la gerarchia e tutti gli altri sono di fatto superflui.
 
Assistere a qualche celebrazione eucaristica secondo il vecchio rito tridentino significa fare un tuffo nel passato preconciliare. I fedeli restano silenti per tutto il tempo. Il sacerdote recita parole incomprensibili e per di più sottovoce, con le spalle rigorosamente rivolte al popolo, l'assemblea appare come una semplice fruitrice di un bene celeste che scende dall'alto attraverso la mediazione del sacerdote. La partecipazione all'eucarestia è completamente assente e comunque ridotta a una dimensione individualistica ed intimistica. I fedeli vivono la fede cristiana più come adepti ad una religione esoterica che come esperienza di partecipazione al corpo mistico di Cristo (Rm 12, 4 – 5).
 
Parimenti assurdo ed incomprensibile è che alla scristianizzazione del nostro tempo, al progressivo allontanamento dalla fede e dai principi cristiani e alla crisi delle vocazioni i tradizionalisti si illudono di poter rispondere non restando nel mondo, intessendo dialoghi e relazioni, discutendo e anche scontrandosi ove necessario, ma scegliendo la strada della separazione e dell'autoreferenzialità, ritagliandosi delle isole felici dove prevale conformismo e formalismo, rifugio rassicurante per tanti sacerdoti in crisi di identità e vocazionale, i quali vivono la propria missione non come un servizio apostolico al popolo di Dio ma come strumento di realizzazione personale, un lavoro come tanti dal quale ricavare da vivere, ai quali l'affermazione di Paolo: “ Mi sono fatto tutto a tutti pur di salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9, 22) probabilmente non dice nulla e per i fedeli laici che rinnegano così il proprio ruolo provvidenziale di evangelizzazione nella complessa società contemporanea.
 
Gli arcigni difensori della tradizione e paladini della vera fede, soltanto a parole obbedienti al Papa, rifiutando di fatto il Concilio Vaticano II, si oppongono all'azione rinnovatrice dello Spirito Santo e minacciano l'unità della Chiesa, la quale per essere fedele alla missione affidatale dal suo fondatore, Gesù Cristo, deve necessariamente essere inserito nel mondo con i propri valori e la propria specificità. 
 
Papa Francesco non ha nulla contro la messa in latino, il suo è un no non ad un rito ma allo scisma di quanti rifiutarono il Concilio Vaticano II e di quanti ancora oggi, da dentro la Chiesa, mal sopportano le scelte conciliari, il ritorno all 'essenza del Vangelo, il rinnovamento e l'apertura a tutti gli uomini e tentano di depotenziarlo, fino a cancellarlo, probabilmente la fede alla stregua di un'ideologia immodificabile, sempre uguale a se stessa al di là del tempo e della storia, una mera precettistica morale e non l'incontro, personale e comunitario, con Cristo morto e risorto che ama ogni persona, l'accoglie con misericordia e la invita alla continua e radicale conversione.   

 

 

 

 

Non sono quattro i setini candidati alla carica di consigliere regionale del Lazio bensì cinque. Oltre a Salvatore La Penna del Pd per D’Amato Presidente (centrosinistra), Antonio Costanzi (di Sezze Scalo e residente a Latina) per la Lista Civica Rocca Presidente (centrodestra), Michel Cadario per il Polo Progressista di Sinistra e Ecologia per Bianchi Presidente e Giovanni Paolo Di Capua per la Lista dei Socialisti con D’Amato Presidente, c’è anche la giovanissima Francesca Caschera per la lista civica D'Amato Presidente. Francesca ha 19 anni e frequenta il corso di laurea di Tecniche di laboratorio biomedico della facoltà di Professioni sanitarie a Latina: è la candidata più giovane nel Lazio. Impegnata nel volontariato e nel mondo dell'associazionismo nel corso della sua esperienza ha lavorato in diversi progetti per il sociale, a partire delle opportunità e razzismo. In bocca la lupo.

Domenica, 29 Gennaio 2023 07:43

Auschwitz. Noi siamo la memoria

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Caro fratello, quanto vorrei spedirti questa lettera, ma purtroppo non mi è possibile. Posso solo scriverti, sperando che un giorno, in qualche modo, questo pezzo di carta straccia arrivi in mano tua e tu possa sapere che io sto bene. Quando arrivi qui, come prima cosa, ti spogliano. Ti portano via i vestiti, l’orologio, i documenti, le foto. Poi ti rasano i capelli, a zero. Li ammassano in grandi mucchi, così fanno anche per le scarpe, i giocattoli dei bambini. Ti privano di ogni cosa, ogni oggetto, seppur di poco valore, che abbia impresso qualcosa di quello che sei tu, o della persona che eri prima di entrare qui. Lo fanno perché chi è deportato in un campo di concentramento non può avere ricordi, anche il ricordo dei familiari viene schiacciato dall’esigenza di sopravvivere. Poi consegnano ad ognuno una specie di pigiama, una tuta a righe bianche e blu, che diventerà il tuo unico abito, e infine ti assegnano un numero. 16924, questo è il mio. Sembra impossibile quanta gente sia rinchiusa qua dentro.
 
Ci tengono stipati in molti nelle nostre celle, prigionieri. Usciamo solo per lavorare, lavoriamo fino a quando le gambe ci cedono e le braccia non si sollevano più. Stiamo in fila per delle ore solo per ricevere un po’ di brodo insipido con del pane vecchio ammollato, solo questo, una volta al giorno. Questo è il posto in cui quando conosci una persona non sai se il giorno dopo la rivedrai. Fiamme escono dai forni crematori. Fumo giorno e notte. L’odore è terribile, insopportabile. Le file di uomini che vi si dirigono interminabili. Bambini, giovani, anziani, tutti vanno a morire nello stesso posto, nello stesso modo. Milioni di storie di persone diverse diventano cenere, insieme ai loro corpi.
 
Ieri camminavo per strada, stavamo andando a lavorare e c’era un vecchio che spazzava il cortile. Un ragazzo del mio gruppo gli rivolse un saluto chiaramente nostalgico con gli occhi pieni d’amore, “doveva essere suo padre”, pensai. Il giorno dopo non c’era più, il ragazzo mi spiegò in lacrime che non aveva messo l’immondizia nel punto esatto ordinatogli da una SS. Per questo era stato massacrato, pestato a sangue, ucciso. Ora io mi chiedo: è questa umanità? È per questo che Dio ci ha messi al mondo? Per uccidere? Sterminare le genti che secondo alcuni sono diverse o considerate un “peso sociale”? No. O per lo meno voglio sperare che non sia così, fratello mio. Se questo è il vero disegno che Dio ha per noi, desidero morire subito, piuttosto che vivere in un mondo disumano. Sono ormai 4 mesi e 13 giorni che mi trovo ad Auschwitz, e sono vivo. Forse è solo fortuna oppure qualcuno lassù crede che io sia destinato a sopravvivere e a raccontare questo ai miei figli.
 
Qui, dove mi trovo, all’entrata c’è una scritta: “Arbeit macht frei” che in tedesco vuol dire “il lavoro rende liberi”. E’ la prima cosa che ho visto quando sono entrato qui e non mi rimane che aggrapparmi a questo, sperare di guadagnarmi la libertà, in qualche modo, lavorando sodo. A volte preferisco pensare che le persone che sono andate a morire è perché non si sono impegnate abbastanza, non hanno lavorato al massimo delle loro capacità. A volte raccontarsi delle piccole bugie aiuta ad andare avanti.
Non voglio lasciare che le fiamme brucino anche la mia Fede, voglio credere, e sperare, perché è tutto quello che mi rimane.
Spero che dovunque ti trovi, tu stia bene.
Ci rivedremo presto, ne sono sicuro.
Ti voglio bene.
 
La lettera che Guido Bergamasco, 21 anni, studente ebreo, deportato ad Auschwitz nel 1942, scrisse al fratello nel campo di Auschwitz ci fa sprofondare nell’abisso più terribile, è un viaggio sconvolgente nell’orrore senza fine di crudeltà inaudite, ci fa misurare con un progetto di sterminio pianificato con cinica intelligenza ed efficienza e ci pone di fronte alla necessità di creare un legame con i testimoni di quanto accaduto per scongiurare il rischio della banalizzazione, dell’amnesia, del revisionismo, della negazione o anche, più semplicemente, dell’indifferenza.
 
Auschwitz è stato un crimine perpetrato con la partecipazione non solo di assassini ed esecutori diretti, ma anche di tanti persecutori e carnefici che non si opposero e anzi si resero complici, collaborando direttamente e indirettamente, con diversi livelli di responsabilità, alla deportazione di centinaia di migliaia di cittadini europei nei lager nazisti, del massacro di interi gruppi umani e del genocidio di sei milioni di ebrei. Giuristi, demografi, scienziati, intellettuali, uomini politici, insegnanti, impiegati dello Stato, industriali, uomini e donne comuni, né sadici né deviati moralmente, né instabili mentalmente né fanatici antisemiti, in gran parte non presero posizione, non fecero nulla per impedire o almeno contrastare le persecuzioni o non trovarono le motivazioni sufficienti o il coraggio per farlo. Soltanto una minoranza combatté il nazifascismo, si oppose alla deriva disumana delle leggi razziali e dei lager, mise a rischio la propria vita per salvare quella di altri esseri umani, riconoscendoli persone, titolari degli stessi diritti inalienabili.
 
Tuttavia non basta semplicemente ricordare, tanto più che tanti criminali di allora se ne sono andati senza saldare i conti con la giustizia, molte vittime ci hanno lasciato, alcune sconvolte dal loro trauma dopo averci aiutato a immaginare l’inimmaginabile, testimoni del buio che ha fagocitato le loro vite. Non basta semplicemente ricordare dato che altri genocidi ancora si consumano sotto i nostri occhi e la nostra attuale sordità e cecità è identica a quella che allora spianò la strada al nazifascismo. Lager, massacri, pulizia etnica ci ricordano che Auschwitz è vicino a noi, dentro di noi e non sempre la storia insegna a evitare il ripetersi di quanto è stato.
 
La Shoah sta lì a dimostrare che la storia siamo noi, che è necessario ricordare ma soprattutto fare, non solo informarci ma conoscere, vedere, lasciarci interpellare da una raffica di domande raccapriccianti, provare vergogna per una realtà che ci appartiene e dalla quale non siamo affatto immunizzati.
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