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Il nostro è uno Stato laico, non è uno Stato confessionale. Quindi il Parlamento è certamente libero di discutere – ovviamente, sono considerazioni ovvie – e di legiferare. Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il concordato con la Chiesa” (Mario Draghi).

Le parole del Presidente del Consiglio Mario Draghi, pronunciate nell’aula del Senato, pacate nei toni e ferme nella sostanza, costituiscono la riaffermazione solenne della laicità delle istituzioni e della sovranità del Parlamento, cuore della nostra democrazia, politicamente e costituzionalmente legittimato a legiferare senza limiti e condizionamenti di sorta in qualsiasi ambito e chiamato a rappresentare i cittadini, a perseguire gli interessi generali del paese, il bene comune, così come declinabile nel particolare momento storico. Si può essere o meno d’accordo con il suo contenuto ma il disegno di legge Zan, approdato in Senato dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, non viola affatto il Concordato tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica e la Nota Verbale della Segreteria di Stato è un grave errore sotto il profilo diplomatico, una indebita ingerenza nel processo formativo di una legge da parte di un soggetto estraneo alle istituzioni repubblicane, anzi propriamente di un altro ordinamento giuridico statuale. In Italia le leggi le scrivono i parlamentari, eletti democraticamente dai cittadini, i quali rappresentano la nazione tutta intera. Senza contare poi che questa entrata a piedi uniti nel dibattito politico, oltre a ridare voce allo scontro fuori tempo tra clericalisti e anticlericalisti, di cui davvero non si sentiva l’esigenza, finisce per collocare la Chiesa al fianco di uno schieramento partitico, per avvallare le posizioni politiche di quanti ne sposano argomenti e valori non per adesione a suoi insegnamenti ma per lucrarne vantaggi in termini di visibilità e di consensi elettorali. 

La posta in gioco non è la libertà di culto o di pensiero della Chiesa, diritti tutelati e garantiti dalla Costituzione a tutti i cittadini e a tutte le organizzazioni sociali, ma la laicità dello Stato e la sua indipendenza da ingerenze esterne. Laicità non significa costruire uno spazio svuotato dal religioso, ma offrirne uno in cui tutti, credenti e non, possono trattare di ciò che è accettabile e di ciò che non lo è. Peraltro la Chiesa ha agito non sul piano del dibattito culturale e politico interno alla società italiana, come sua parte integrante e rilevante, ma si è mossa nell’ambito delle relazioni internazionali tra stati sovrani. La Costituzione, recependo con l’art. 7 i Patti Lateranensi, unica sopravvivenza del fascismo transitata nella nostra democrazia antifascista, parzialmente modificati a metà degli anni ottanta del secolo scorso, riconosce la Chiesa Cattolica non semplicemente come un soggetto sociale, operante all’interno dell’ordinamento italiano al pari di tutti gli altri corpi intermedi, ma come stato sovrano, da cui discende la titolarità di poteri, uno status specifico e una posizione di pari dignità e potestà con gli altri stati, anche all’interno delle organizzazioni sopranazionali come l’ONU, a cui dovrebbero accompagnarsi una serie di limiti e vincoli, che in questa vicenda invece sono stati totalmente ignorati e disattesi. L’art. 7 della Costituzione esordisce con una affermazione perentoria: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. La norma pone un limite invalicabile nel momento in cui regola i rapporti tra Stato e Chiesa. Indipendenza e sovranità stanno a significare che Stato e Chiesa non hanno competenza a pronunciarsi sui rispettivi ordinamenti, è esclusa cioè ogni interferenza e condizionamento ed ogni limitazione reciproca di sovranità. I cattolici, le loro organizzazioni, la stessa gerarchia ecclesiastica hanno il diritto ed anche il dovere di far sentire la propria voce, di criticare e dissentire rispetto a proposte legislative e atti politici, facendo appello alla coscienza di tutti i cittadini, ma non lo può fare la Chiesa intesa come stato sovrano. L’elemento caratterizzante questa improvvida presa di posizione è proprio la messa in discussione da parte di una entità sovrana nel dialogo ufficiale con una sua pari, dell’autonomia e dell’indipendenza del processo democratico incardinato nella sovranità del Parlamento italiano. In uno stato democratico non esiste e non può esistere una titolarità di verità affidata a soggetti, fosse anche la Chiesa, sovraordinati e superiori al libero gioco democratico, una sorta di riserva intangibile di temi e principi su cui è escluso l’intervento del Parlamento. La democrazia poi è di per sé relativa, porta all’affermazione di visioni parziali e per essere autentica deve tutelare la diversità, le minoranze e il pluralismo, che non possono essere negati o cancellati dalla maggioranza, pena la sua stessa autodistruzione. Tale assunto traduce concretamente il principio di laicità ed esclude qualsivoglia confusione tra potere temporale e spirituale.

Le dichiarazioni del Cardinale Parolin volte ad abbassare i toni, il suo riconoscimento del principio della laicità dello stato e la precisazione che non è volontà della Chiesa bloccare l’approvazione del disegno di legge Zan ma sollecitarne una rimodulazione in alcuni passaggi, sono elementi significativi, anche se la sua affermazione che la Nota a Verbale doveva essere un passo diplomatico destinato a restare riservato suscita molte perplessità, sia perché dimostra che qualche mano infedele l’ha rivelata appositamente per alimentare lo scontro politico, ostacolare la libera scelta del Parlamento, per far emergere i contrasti esistenti all’interno della Curia e una certa ostilità nei confronti di Papa Francesco, sia soprattutto perché sono sempre preferibili trasparenza e chiarezza anche nelle relazioni internazionali.

A proposito i sovranisti nostrani, cantori dell’italianità hanno applaudito l’ingerenza, coerentemente..…. 

 

P.S.: Sono un cattolico praticante, non un anticlericale ma difendo la laicità dello Stato, unica garanzia per la libertà e l’autonomia di noi tutti e della stessa Chiesa.

 

 

Sergio Di Raimo, ex sindaco di Sezze, ha inviato una pec al direttore al Direttore Generale della Asl di Latina Silvia Cavalli per chiedere una riapertura h 24 del Pat di Sezze. Ecco la lettera inviata da Di Raimo.

 “In qualità di cittadino del comune di Sezze, ed ex Sindaco, VI chiedo di dare seguito a quanto i vostri predecessori indicarono come percorso inerente l’apertura del Presidio. A seguito della decisione della Direzione Generale di questa Asl di chiudere parzialmente il PAT e prevederne l’apertura dalle 8 fino alle 20, anziché H24 , l’amministrazione comunale ebbe modo di fare diverse richieste finalizzate al ripristino dei normali orari di apertura; ci fu detto che l’emergenza epidemiologica e la necessità di utilizzare le risorse umane per contrastare il Virus, come anche il contenuto numero medio giornaliero e mensile di accessi al PAT di Sezze , imponevano la scelta di una riduzione dell’orario di apertura, scelta dalla quale ci si poteva scostare solo se si fosse riusciti ad assumere altro personale o ci fosse una importante flessione dei contagi e dell’emergenza in generale. Ci pare che oggi ci siano le condizioni per una riapertura H24 e quindi VI chiedo di adoperarvi in tal senso perché ne vale della salute dei cittadini. Ringrazio per l’attenzione e aspetto notizie in merito confidando in una soluzione positiva del problema”.

 

 

 

Il presidente della SPL Sezze, Gian Battista Rosella, comunica alla città l’ampliamento del servizio raccolta porta a porta in nuove località del paese. Interessati del servizio, infatti, saranno i residenti di via Bassiano, via Cerreta, via Croce Moschitto, via Fontana del Sordo, via Sagliuta e località Certosa. Gli operatori della municipalizzata di Sezze in questi giorni stanno distribuendo ai nuclei famigliari tutto il kit necessario. L’avvocato Rosella avvisa quindi che nelle zone interessate a breve verranno eliminati i tradizionali cassonetti. “Tale ampliamento del sevizio – afferma Rosella – è il risultato degli sforzi organizzativi e gestionali della società e delle risorse finanziarie ottenute con un contributo erogato dalla Provincia di Latina per un importo di oltre 530 mila euro su un progetto presentato dal Comune di Sezze”. In merito interviene anche l’ex sindaco di Sezze Sergio Di Raimo, esprimendo soddisfazione per quanto raggiunto: “Questo è un altro importante passo verso l'incremento della percentuale di differenziata che dal 35% circa degli ultimi mesi del 2020 passerà sicuramente ad una percentuale maggiore del 40%. (ricordiamo che qualche anno fa la percentuale era appena del 18% circa ) È chiaro  - prosegue Di Raimo - che l'obiettivo da raggiungere è l'applicazione della tariffa puntuale con la collaborazione della cittadinanza ,si potrà presto arrivare a pagare una tariffa più bassa e rispondente all'effettiva produzione di rifiuti”.

 

 

 

Folle velocità nel centro storico di Sezze ma nessuno fa nulla nonostante le richieste già protocollate presso il Comune di Sezze. Nella notte di sabato e domenica mattina due incidenti si sono verificati nel quartiere Santa Maria a Sezze causati dall’alta velocità. Due automobili in tempi diversi sono andate a finire contro le pareti di due abitazioni private, per fortuna senza conseguenze per nessuno. Ma resta la paura ed il pericolo su via Corradini e su altre strade nei pressi dell’istituto Corradini e nelle vicinanze della Cattedrale di Sezze. I residenti hanno già scritto al commissario Prefettizio Raffaele Bonanno, parlando del problema, chiedendo controlli,  dossi artificiali e segnaletica quali deterrente contro alta velocità. Al momento però solo impegni presi sulla parola e non nei fatti. Cosa bisogna attendere? Eppure in passato dossi artificiali li abbiamo visti ovunque, in ogni dove di Sezze, tranne dove servivano e servono veramente. Si spera che a breve venga preso qualche provvedimento, soprattutto perché in questi quartieri del centro storico i bambini giocano per strada e nelle piazze.

 

 

 

 

 

 

Lara Lugli, classe 1980, vive a Carpi e ha militato nelle categorie dilettantistiche della pallavolo. Schiacciatrice, senza la longevità di Francesca Piccinini o il talento di Paola Egonu, autentiche stelle del campionato italiano, è stata protagonista, suo malgrado, di una storia emblematica che merita di essere raccontata. Due anni fa giocava con l’ASD Volley Pordenone. Il contratto, concluso qualche anno prima, le riconosceva un valore anche retributivo conforme alla sua importanza di atleta di un campionato di serie B1. Nel marzo 2019, a 38 anni, rimane incinta e lo comunica immediatamente alla società. Le clausole sottoscritte prevedevano in questo caso la rescissione del contratto. Si tratta di una regola da tutti conosciuta e accettata nel settore dello sport femminile, sia cioè dalle società che dalle atlete. Dopo un mese Lara Lugli perde il bambino per un aborto spontaneo. L’ex pallavolista chiede ripetutamente e giustamente alla società di versarle l’ultimo stipendio dovutole e relativo al mese di febbraio 2019. Di fronte al ripetuto rifiuto dell’ASD Volley Pordenone, decide di rivolgersi, tramite il proprio avvocato, all’Autorità Giudiziaria ed ottiene un Decreto Ingiuntivo. La società sportiva propone opposizione al decreto ingiuntivo ed avanza domanda di risarcimento nei confronti dell’atleta per non aver onorato il contratto sottoscritto. L’atto di citazione in opposizione contiene affermazioni inverosimili e decisamente sgradevoli. Innanzitutto viene contestato l’ammontare dell’ingaggio, giudicato troppo elevato rispetto alle sue qualità tecniche. Orbene ammesso e non concesso che il procuratore di Lara Lugli avesse costretto con la forza i vertici societari a stipulare il contratto e ad accordarle condizioni economiche così favorevoli, è difficile comprendere come questo si concili poi con l’affermazione che in seguito e in conseguenza della rescissione del rapporto contrattuale la posizione in classifica della squadra sia precipitata e gli sponsor non abbiano più onorato i loro impegni. Delle due una, evidentemente. Tuttavia l’accusa decisamente più scandalosa è che alla stipula del contratto, avendo ormai 38 anni (una vecchia signora quindi!) Lara Lugli avrebbe taciuto l’intenzione di avere un figlio e comunque non avrebbe informato la società di questo suo eventuale desiderio. Una donna a 38 anni o dopo una certa età, stabilita invero non si sa bene da chi e secondo quale criterio, dovrebbe abbandonare il desiderio di diventare madre. Inoltre la maternità sembra essere un problema, un intralcio, una inutile velleità e non un diritto intangibile di ogni donna.

Ad ogni buon conto qualche settimana fa l’ASD Volley Pordenone ha rinunciato alla domanda giudiziale avanzata ed ha ottemperato a tutti gli obblighi nei confronti di Lara Lugli, la quale ha così commentato l’epilogo della vicenda: “È una grande vittoria per tutti ed era molto importante che questa causa non entrasse nemmeno in un tribunale a dimostrazione della sua infondatezza. È un forte segnale per tutte le donne non solo atlete che si trovano a dover affrontare queste situazioni assurde”. 

Quanto accaduto a Lara Lugli consente di alzare il velo su un sistema palesemente discriminatorio verso le donne, che va oltre il ristretto ambito sportivo. Il diritto alla maternità della donna che lavora, previsto nel nostro ordinamento e solennemente sancito nella Costituzione, nella prassi dei rapporti di lavoro viene di fatto aggirato e disatteso. Frequentemente capita di leggere di aziende che non assumono giovani donne proprio per evitare il “pericolo” di una gravidanza, di scritture private fatte sottoscrivere alle neoassunte con cui si impegnano a non restare incinta, di lettere di dimissioni dal posto di lavoro sottoscritte in bianco per consentire all’imprenditore di sbarazzarsi facilmente e senza problemi della dipendente. Prassi queste talmente diffuse da rappresentare una sistematica violazione e disapplicazione della legge. La maternità non è così una libera scelta, un diritto della persona, ma un ostacolo al perseguimento degli interessi del datore di lavoro.  

Il mondo dello sport rappresenta per di più una terra di nessuno, in cui le donne sono escluse dal professionismo e nei loro riguardi non si applicano le relative tutele contrattuali. In pratica le atlete sono considerate lavoratrici dipendenti e viene loro impedito di svolgere altri lavori, ma al contempo sono inquadrate come libere professioniste con una completa assenza di tutele. La sottoscrizione delle clausole di maternità porta così, in caso di gravidanza, alla sistematica rescissione dei contratti o a non pagare gli stipendi per mesi. Se ricorrono alla magistratura, rivendicando le stesse tutele previste dalla legge per le altre lavoratrici, pur avendo sottoscritto condizioni manifestamente discriminatorie, queste sono considerate valide ed efficaci e la gravidanza una giusta causa per la rescissione del contratto. L’iniquità è talmente interiorizzata che il contratto si ritiene disciplinabile con clausole palesemente nulle e addirittura le stesse sono coercibili in giudizio. In punto di diritto un contratto può essere risolto in presenza di un’inadempienza grave, ma sostenere che una giusta causa di risoluzione possa essere la gravidanza è aberrante e intollerabile. Tali norme sono incostituzionali ed è inaccettabile che vi siano rapporti di lavoro disciplinati secondo regole contrattuali che prescindono dall’indispensabile rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento.      

La vicenda di Lara Lugli rappresenta un’occasione importante per riflettere su una realtà impantanata in retaggi culturali obsoleti, lontana dal rispetto della parità di genere ed è urgente pensare ad una riforma normativa radicale: è assurdo che una donna sia costretta ancora oggi a scegliere tra lavoro e figli, a rinunciare alla maternità per non perdere il lavoro. La rinascita del nostro paese, la modernizzazione delle nostre strutture sociali e produttive devono essere accompagnate da una nuova stagione dei diritti e delle opportunità uguali per tutti, in ogni ambito e senza distinzioni di genere.

 

 

 La “Via Setina“, così detta perché da Roma conduceva a Setia, è un tesoro inestimabile,  inserita in un contesto unico, che necessita di interventi urgenti di riqualificazione e  valorizzazione. Ignazio Romano, presidente del Circolo Culturale Setina Civitas, dedica due appuntamenti allo  storico tracciato: il primo è un intervento di pulizia in programma domenica 20 giugno, il  secondo è una visita guidata nella giornata di domenica 27 giugno. Due momenti di  promozione dello storico percorso della via di accesso al paese di epoca romana, in uso fino  alla fine dell’ottocento. 

Il progetto di “Riqualificazione della Via Setina”, sul quale Setina Civitas lavora dal 2004, è  stato elaborato dell’architetto Giuseppe Bondì e dall’archeologa Elisabeth Bruckner, presentato  al Comune di Sezze più di una volta e costituito da uno studio di riqualificazione del sito dal  punto di vista storico, naturalistico e paesaggistico, senza tralasciare la messa in sicurezza dei  luoghi. 

Il tracciato, lungo circa due chilometri, parte dalla Madonna della Pace e sfiora la sottostante  cava di calcare per giungere poco distante dalle orme dei dinosauri. Insieme al Riparo Roberto,  sito preistorico con i suoi graffiti a carboncino, e alle orme dei dinosauri scoperte nel 2003, la  Via Setina con i suoi ruderi di epoca romana, le torri di difesa, i paracarri, il basolato e i muri di  sostruzione, rappresenta il tesoro del Monumento Naturale Fosso Brivolco, che è stato istituito  dalla Regione Lazio nel 2018 a cura del geologo Diego Mantero

Con il sostegno del commissario prefettizio del Comune di Sezze, Dr. Raffaele Bonanno, è  stato possibile eseguire alcune opere di pulizia che hanno reso percorribile la strada, grazie a  una squadra di infaticabili volontari che hanno lavorato per molti giorni sul tracciato. Volontari  che vale la pena nominare uno per uno: Diego FicaccioLuigi VallerianiSergio Piccaro,  Luciano CorbiGiancarlo PallonariRiccardo MolinariEnrico CeccanoAlessandro Luccone. Tutti insieme hanno dato nuova linfa e forza al gruppo “In Difesa dei Beni Archeologici”  impegnato dal 2004 a far conoscere e frequentare le tante risorse culturali sparse sul territorio  di Sezze. 

A questi volontari si sono aggiunti i ragazzi del gruppo Agesci Scout di Sezze guidati da  Augusto Carlesimo e Massimo Marchetti, ed il gruppo Plastic Free di Sezze guidati da Annalisa  Savelli ed Enrica Marchionne che con la collaborazione della SPL e del suo presidente,  Giovanni Rosella, hanno il compito di ridare alla Via Setina il decoro che merita. Tutti, coordinati  dal Circolo Culturale Setina Civitas, domenica 20 giugno alle ore 8,30 con appuntamento in via  Bassiano, nei pressi della Madonna della Pace, sono pronti a scendere lungo lo storico  tracciato ed effettuare la raccolta dei rifiuti urbani gettati abusivamente. 

Mentre, per permettere a tutti di godere delle bellezze del sito archeologico, l’appuntamento è  per domenica 27 giugno, sempre alle ore 8,30 alla Madonna della Pace, con la visita guidata.  Articolata in modo da tornare indietro nel tempo fino all’epoca dei dinosauri, la visita è curata  dal professore Luigi Zaccheo, dall’archeologa Carla Mattei, dall’archeologo Michelangelo La  Rosa, dal geologo Vittorio Faustinella e dal geologo Daniele Raponi, scopritore delle orme dei  dinosauri. Disposti in punti strategici del tracciato, le guide illustreranno i diversi aspetti nelle  diverse epoche che questi luoghi hanno conosciuto. 

Alla manifestazione, aperta a tutti, sono stati invitati: il Commissario prefettizio del Comune di  Sezze, Raffaele Bonanno, il Consigliere regionale, La Penna Salvatore, l’Assessore regionale,  Onorati Enrica, il Funzionario archeologo della Soprintendenza archeologia, belle arti e  paesaggio del Lazio per le Province di Frosinone e Latina, Di Mario Francesco, il Dirigente della  regione Lazio, Mantero Diego.

 

 

 

Un incontro sicuramente positivo quello avvenuto nel pomeriggio di oggi tra una delegazione del Comitato Santa Maria – Vaccareccia – Aringo ed il commissario prefettizio Raffaele Bonanno.  I residenti del centro storico sono stati ricevuti in municipio e hanno esposto delle priorità al commissario e delle richieste per rendere più vivibile uno dei quartieri che fortunatamente si sta ripopolando di giovani coppie. La delegazione ha parlato dei problemi esistenti e di alcune richieste indifferibili. Chiesta a Bonanno maggiore attenzione da parte dell’Ente comunale su alcune questioni che dovrebbero essere di ordinaria amministrazione. Tra i punti affrontati il ripristino completo dello stato dei luoghi del belvedere di Santa Maria, con l’installazione dei paletti per delimitare la piazzetta e delle panchine sparite dopo i lavori per la statua di San Lidano. Affrontato anche il problema della cura del verde e della pulizia dello spazio sottostante dell’affaccio al muro della tèra. Sollecitata anche l’installazione dei dossi artificiali e della cartellonistica stradale come deterrente contro l’alta velocità in prossimità della scuola in via Corradini. Tra i punti presentati anche l’illuminazione della piazza, la derattizzazione, il controllo della raccolta differenziata. Il comitato ha sollevato anche il problema dei parcheggi selvaggi e proposto al commissario di chiudere la piazza nei giorni del fine settimana per delle iniziative culturali che si impegna a promuovere con le associazioni locali.  Il Dott. Bonanno si è mostrato sensibile alle istanze e si è impegnato a breve nell’affrontare le priorità condivise con la delegazione. Il Comitato crede che un impegno civico simile possa essere preso come modello da altri quartieri di Sezze, suscitando così interesse e partecipazione attiva della comunità.

 

 

Il gruppo Biancoleone rappresenta che ad oggi la deliberazione n. 56/2021 non è stata ancora pubblicata dal Comune di Sezze sul sito istituzionale dell’amministrazione ai sensi dell’art. 31 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Serafino Di Palma e Paride Martella già in passato sono dovuti intervenire per far pubblicare sul sito la deliberazione della Corte dei Conti n. 142/2020 che riguardava gli esercizi finanziari dal 2015 al 2018, dove sono state riscontrate nella contabilità del Comune di Sezze diverse criticità. “Sulla quasi totalità dei punti oggetto di verifica – affermano -  il Comune di Sezze non è stato in grado di fornire un appropriato riscontro, rinviando ad una “futura risposta” i chiarimenti richiesti, “ nonostante l’istruttoria si riferisca alle annualità dal 2015 al 2018 (con alcuni aggiornamenti al 2019) e, dunque, ad esercizi finanziari i cui dati dovrebbero essere ormai ben noti e sedimentati, nonché certi, attendibili e trasparenti…”. Dalla deliberazione n. 56/2021 si evince che i Revisori dei Conti non hanno trasmesso entro i tempi dovuti alla Corte dei Conti la relazione concernente il rendiconto dell’esercizio 2019 e il bilancio di previsione 2020-2022. 2 L’Organo di revisione del Comune di Sezze avrebbe dovuto inoltrare alla Sezione le relazioni in parola entro la fine del mese di febbraio 2021 e, nonostante le comunicazioni e i solleciti inviati, ad oggi non è dato sapere se le stesse risultano trasmesse. Fermo restando, pertanto, che il Comune di Sezze è tenuto a fornire riscontro in merito alle criticità emerse con la deliberazione n. 142/2020/PRSE, nel caso di specie la mancata trasmissione delle relazioni-questionario sul rendiconto 2019 e sul bilancio di previsione 2020-2022 risulta ancora più grave, stante una situazione poco trasparente e lineare della contabilità del Comune, per come emersa nel corso della precedente verifica della Sezione”. Il gruppo Biancoleone evidenzia, che in mancanza di trasmissione delle relazioni il questionario di cui trattasi, la Corte dei Conti non può espletare le funzioni di controllo. “Tale inadempimento  - così nella nota del Biancoleone - potrebbe giustificare la revoca dell’organo di revisione del Comune di Sezze. Questa situazione deve essere attenzionata dalla Prefettura di Latina. Il gruppo Biancoleone sollecita la gestione Commissariale sui seguenti punti: 1) adottare ogni provvedimento organizzativo necessario per la tempestiva compilazione e per l’invio alla Sezione regionale di controllo delle suddette relazioni; 2) pubblicare la medesima deliberazione n. 56/2021 sul sito istituzionale del Comune di Sezze dell’amministrazione ai sensi dell’art. 31 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33; 3) esaminare l’ipotesi di revoca dell’Organo di Revisione. Allegano: delibera n. 56/2021/prse Sezione Controllo Regione Lazio”.

Martedì, 15 Giugno 2021 06:17

Le ricette "alla sezzese" di Identità Setina

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Francamente ci si aspettava un po’ di più e di meglio dalla prima uscita pubblica del candidato sindaco del gruppo elettorale di Identità Setina. Invece sulle pagine del quotidiano Latina Oggi del 14 giugno, c'è stato il botto: si parla di ricette gastronomiche sezzesi, cotte e preparate alla sezzese, avvalendosi di una Associazione specializzata in prodotti sezzesi. Bella cosa, per carità, sebbene nel nostro paese non manchino esperienze e tradizioni culinarie in tal senso! Ma per chi aspira, nella prossima tornata elettorale, a governare la città di Sezze per almeno cinque anni, è un po’ troppo poco. È purtroppo vero che in questa fase storica in cui viviamo sono cadute le ideologie e gli steccati, ma in un messaggio elettorale e amministrativo non dovrebbe mancare un riferimento ai valori e ai princìpi che fanno da sfondo alle proposte concrete. Dalle dichiarazioni giornalistiche del candidato di Identità Setina non ci si attende un trattato di filosofia e di politica, seppure sarebbe stato utile agli elettori per capire e orientarsi intorno a quale nucleo e asse culturale ci si sta muovendo. Ma la concretezza e il pragmatismo, che va tanto di moda, sono virtù essenziali solo se riempite di contenuti e di progetti verificabili e attuabili. Non mancano argomenti in questo senso, sulle cose fatte e da fare per restituire nuovo slancio e vigore alla nostra città. Gli elettori hanno il diritto di sapere e di valutare con chi, come, quando, cosa si intende portare avanti, per restituire credibilità e prestigio alle istituzioni che sono state scosse e ferite. Del resto anche la maggioranza consiliare uscente, e soprattutto il PD, devono compiere un bilancio, con la massima trasparenza, rivendicando quanto di buono è stato fatto nonostante le scarse risorse disponibili e quanto non è stato portato a termine o per incapacità o per altre ragioni. Amministrare oggi è diventato un lavoro complesso che richiede competenza, conoscenza, passione civile e impegno. Non ci si può affidare sconsideratamente a chi si improvvisa.  C'è bisogno di giovani, ragazze e ragazzi, che abbiano maturato esperienza attraverso un lungo e faticoso tirocinio di militanza politica e amministrativa. Perché altrimenti si affida la città ai padroni di turno, che non conoscono e non hanno la minima percezione dei bisogni reali delle nostre contrade. In questa società sempre più fluida e liquida, occorre rinnovare il modo di fare politica ma senza smarrire le coordinate ideali e valoriali sancite nella nostra Costituzione. Per cui partire dalle ricette gastronomiche e culinarie, appare molto riduttivo e banale. La sfida elettorale è ormai alle porte. Non basta dichiararsi alternativi a un modo di governare perché si tratta di abbozzare, quanto meno, la scala delle priorità e degli interventi possibili che si vogliono mettere in cantiere e realizzare, senza cadere nella facile demagogia e strumentalizzazione. Questo è il punto di partenza sia per chi ha amministrato sia per chi, legittimamente, intende iniziare una nuova esperienza. Solo così i cittadini potranno liberamente e consapevolmente scegliere e decidere il loro futuro. Solo così la città di Sezze potrà rinsaldare e rafforzare la fiducia e la credibilità nelle istituzioni.

 

 

È la rabbia il sentimento predominante e non la pena e la tristezza.

Saman Abbas ha pagato con la vita il suo essere una donna libera e coraggiosa, l’aver rivendicato diritti, dignità e autodeterminazione, il suo ribellarsi al tribalismo oscurantista della famiglia e il suo rifiutarsi di sottostare a un matrimonio combinato con un cugino in Pakistan. Sicuramente è stato un prezzo enorme e inaccettabile, che non può lasciarci insensibili e indifferenti.

La morte di Saman Abbas è un femminicidio, una violazione terribile dei diritti umani, che affonda le sue radici nella cultura patriarcale del suo paese d’origine, il Pakistan, nella convinzione perversa per cui le relazioni personali, particolarmente quelle familiari e più intime, sono improntate alla logica del possesso e non del rispetto dell’alterità e della libertà individuale. La vita di una donna non vale nulla ed è sacrificabile, anche se si tratta della propria figlia, soprattutto se osa rifiutarsi di essere merce di scambio, utilità vantaggiosa non per se stessa ma per la propria famiglia, strumento nelle mani di un padre padrone che ne dispone senza limiti in nome di una tradizione islamica, di una reputazione da mantenere integra e tutelare e di cui ammantarsi all’interno della propria ristretta comunità. 

Parlare di questo crimine associandolo unicamente all’Islam sarebbe un gravissimo errore. Ogni generalizzazione è frutto di superficialità e finisce per etnicizzare il reato e alimentare il pregiudizio, soprattutto poi contro una minoranza come sono i musulmani nel nostro paese. Detto questo però non possiamo nascondere che fatti così orrendi sono anche possibili grazie alle ambiguità persistenti nel mondo islamico su letture e pratiche aberranti, alla protezione accordata troppo spesso a radicali intransigenti, estremisti e letteralisti attraverso innanzitutto omertà e coperture.

Da qualche anno l’Unione delle Comunità Islamiche Italiane ha emesso una fatwa, ovvero una condanna religiosa contro i matrimoni forzati e la pratica delle mutilazioni genitali femminili. Si tratta di una presa di distanza sicuramente rassicurante e positiva rispetto a pratiche aberranti appartenenti alle tradizioni di alcuni paesi, la negazione di una loro legittimazione sotto il profilo religioso, ma che a ben vedere rivela un limite sostanziale importante.  

La fatwa è un atto rivolto all’interno della comunità islamica e ha carattere strettamente interpretativo del diritto religioso. Le comunità islamiche non dovranno più ricorrere alle pratiche dei matrimoni imposti e delle mutilazioni genitali non perché gli iman riconoscono il primato della Costituzione della Repubblica e delle leggi civili dello stato democratico, ma perché il Corano a loro giudizio non deve avere quella interpretazione. In altri termini il femminicidio patriarcale non è condannato in sé, per l’aberrazione che rappresenta, e non vi è alcun richiamo al rispetto dei diritti umani, dell’autodeterminazione di ogni individuo e in particolare delle donne, anzi c’è la riaffermazione del primato della legge religiosa su quella civile, unica ad avere legittimità regolativa dei rapporti tra le persone.  

Il vero problema è che in questi anni c’è stata un’incapacità delle istituzioni del nostro paese a promuovere una seria politica di integrazione, soprattutto verso le popolazioni immigrate provenienti da paesi con tradizioni culturali e religiose assai distanti e diverse dalle nostre, come appunto quelle islamiche, sia perché si è confusa la libertà religiosa e di opinione personale con la tolleranza per il disprezzo dei diritti umani professato da alcune frange integraliste e tradizionaliste, sia perché si è preferito ignorare queste criticità per ragioni di convenienza politica spicciola e di consenso elettorale o puntare semplicisticamente sulla contrapposizione, sul contrasto propagandistico e parolaio del fenomeno migratorio, di fatto rinunciando a mettere in atto una efficace azione politica per governarlo. Il risultato rischia di essere devastante sotto il profilo sociale e le conseguenze saranno ancor più evidenti nei prossimi anni, dal momento che intere fasce di popolazione immigrata sono state spinte verso una dinamica di isolamento e ghettizzazione, che ha finito per accentuare la radicalizzazione delle tradizioni di cui sono portatrici, all’interno delle quali il patriarcato violento ha terreno fertile, e per innescare un processo di sempre maggiore rivendicazione identitaria in antitesi al contesto sociale in cui sono immerse e che considerano estraneo ed ostile. La mano degli assassini di Saman Abbas è stata armata all’interno di un simile quadro segregante ed escludente.

Il multiculturalismo non può ridursi alla tutela giuridica del multiconfessionalismo, per cui alle singole comunità religiose è riconosciuta non solo una libertà regolatoria dei comportamenti degli appartenenti, ma anche la possibilità di separarsi nettamente dagli altri individui appartenenti alla società e non praticanti quella determinata religione. Lo stato deve tutelare e garantire la piena libertà religiosa, componente essenziale dell’identità di ogni persona, ma deve altrettanto chiaramente riaffermare il primato delle regole comuni, che vanno rispettate da tutti ed a prescindere dall’appartenenza religiosa. È non più rinviabile l’attivazione di un percorso che porti rapidamente ed efficacemente al superamento della situazione descritta, altrimenti misogeni, sessisti e radicalismi colpiranno ancora chissà quante volte e i responsabili resteranno per lo più impuniti, grazie a coperture e complicità reciproche all’interno di queste comunità chiuse e autoreferenziali. Se continueremo ad avere uno sguardo etnicizzante, a non riconoscere come parte integrante del nostro paese intere generazioni di bambini, di ragazzi e di giovani, figli di immigrati nati in Italia o comunque arrivati da noi da piccoli, impregnati profondamente della nostra cultura e dei nostri valori, animati dai nostri stessi desideri di libertà e realizzazione, destinati però in tal modo a restare frustrati, determineremo una crescita a dismisura di pericolosissime sacche di emarginati, facili prede di estremisti e gruppi violenti, regaleremo uomini e donne all’illegalità e alla criminalità con ripercussioni gravi e imprevedibili per la tenuta sociale complessiva. L’obiettivo deve essere allora educarci ed educare al valore del pluralismo, raccogliere la sfida fondamentale della diversità e non aver paura della contaminazione reciproca.

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