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I cuori chiusi non aiutano a vivere

Dic 28, 2024 Scritto da 

 

 

Un carcere è divenuto Basilica, luogo di misericordia e di speranza per una umanità di scarto, disprezzata e dimenticata.
 
L’apertura della Porta Santa del Giubileo all’interno di Rebibbia, il più grande istituto di pena di Roma, definito da Papa Francesco “Cattedrale di dolore”, è un segno profetico che passerà alla storia, un’icona universale della vicinanza della Chiesa ai detenuti, un grido di speranza per i carcerati del mondo intero e un monito forte per tutti i governi, in primis per quello italiano, affinché intervenga sul sistema carcerario che tra sovraffollamento e suicidi in cella rappresenta un vulnus terribile alla civiltà, un luogo dove la dignità umana è spesso lesa e dove gli obiettivi perseguiti sono ben lungi da quelli fissati dall’art. 27 della Costituzione della Repubblica.   
 
Ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui, in un carcere. Ho voluto che ognuno di noi, che siamo qui dentro e fuori, avessimo la possibilità di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude, non delude mai. Questo fa la fratellanza. I cuori chiusi non aiutano a vivere. La grazia di un Giubileo è spalancare, aprire. Soprattutto i cuori alla speranza”. Queste parole del Santo Padre sono cariche di emozione e autentica compassione, posseggono una eco potente che risuona ben oltre le sbarre delle carceri e proiettano un raggio di luce nel buio delle vite di tanti esclusi e dimenticati, oltre ad essere uno sprone per ognuno di noi a non perdere mai la fiducia e la speranza e ad impegnarci seriamente nella costruzione di un mondo più giusto e compassionevole.
 
Papa Francesco ha fatto della pietra di scarto, nello specifico i detenuti, una pietra angolare, secondo la logica rivoluzionaria del Vangelo, non preoccupandosi di andare così contro la retorica cattivista di una parte della politica, che si nutre di rancore e punitivismo, che concepisce la giustizia come una vendetta istituzionalizzata, la pena come strumento meramente retributivo e aborrisce la misericordia e l’umana pietà. Non si tratta di sminuire il male, il quale è sempre da respingere e condannare con forza. Tuttavia per quanto enorme ed aberrante possa essere il male compiuto, il responsabile condannato è una persona e come tale va rispettato nella sua dignità e gli va offerta incessantemente l’opportunità del cambiamento e della redenzione..
 
Dobbiamo avere il coraggio di affermare con nettezza che nel nostro Paese il carcere è fuori dalla Costituzione, non ha nulla a che vedere con la rieducazione, il recupero e il reinserimento delle persone ed è soltanto una landa di cemento e disperazione, ha il volto di uno Stato muscolare, che schiaccia e annulla invece di aiutare a rialzarsi, ed è l’emblema perfetto di un sistema che ha smarrito ogni traccia di dialogo e ogni brandello di umanità.
 
Sebbene i dati siano inequivocabili e dimostrino come le pene alternative funzionino, consentendo un reale reinserimento, e la recidiva si combatta con il sostegno e non attraverso le sbarre, viviamo tempi in cui prevale l’approccio viscerale.
 
Il grado di civiltà di una società si misura dal rispetto dei diritti delle persone, non esclusi quanti sono detenuti, e il mostrare i muscoli è prova esclusivamente di una grande cecità e fragilità culturale, di un’incapacità di leggere le dinamiche sociali, di riconoscere le cause delle devianze e di mettere in campo soluzioni in grado di tenere insieme ed integrare, anziché escludere ed emarginare.
 
Il gesto apparentemente semplice di Papa Francesco di aprire una Porta Santa in un carcere ci mostra l’unica via che ha senso percorrere, le cui pietre miliari sono il perdono, la speranza e la dignità.
 
In un mondo incattivito e senza valori forti e riconoscibili, insanguinato da una guerra mondiale a pezzi, stravolto da violenze di ogni sorta, in cui sembra sia stata del tutto smarrita la fiducia nell’uomo, Papa Francesco è rimasto l’ultimo custode del senso di umanità, l’ultima ancora di speranza a cui aggrapparci.
 
Forse non basta, forse è troppo poco e troppo fragile, ma non abbiamo altro.
 
La Porta Santa Giubilare aperta a Rebibbia non è solo un passaggio simbolico, una particolare espressione di fede, ma soprattutto una sollecitazione ad un ripensamento radicale dell’idea della pena, del carcere, della giustizia e più in generale dei principi fondanti la nostra società.
 
Concludo facendo mie queste parole di Papa Francesco: “La speranza è come l'ancora, tocca la terra. Certe volte la corda fa male, ma sempre c'è qualcosa di buono. Quindi la mano alla corda e le finestre e le porte spalancate. Se ci si chiude si diventa duri, ci si dimentica della tenerezza. Spalancate le porte del cuore: ognuno sa come farlo”.
 
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