Tra le riflessioni che ho scritto in passato sul mio paese, ecco riemergere un articolo che fu pubblicato nell’ormai lontano luglio 2007 nella rubrica “Sezzese” del Portale fotografico setino, sito web gestito da Ignazio Romano.
La ritengo ancora attuale. Cercavo di dire che nel giorno dei Santi Patroni, Sezze, che in passato si fermava – non era permesso neanche impastare e cuocere il pane nei forni molti anni fa, erano chiusi gli uffici pubblici e le attività commerciali, mio padre non andava in campagna e si vestiva elegante – per consentire a tutti di partecipare alle liturgie religiose (si facevano le Prime Comunioni e le Cresime a Santa Maria e c’era la processione con la Statua di San Carlo e il busto argenteo di S. Lidano, accompagnati dalla Banda di Sezze e da tutti i parroci delle altre parrocchie) e alla festa laica, con giochi ed animazione per bambini e musica popolare, anche con cantanti di grido, all’Anfiteatro oltre agli immancabili fuochi d’artificio finali.
Dovremmo tutti fermarci un po’ a riflettere su cos’è diventata oggi la giornata del 2 luglio per noi sezzesi del 2020 e cosa potrebbe essere se noi cittadini fossimo più coesi e com’è in altri paesi, anche vicini al nostro, in cui veramente tutti si fermano un po’ per riunirsi e dare un segnale vivo e vero di comunità.
Perché a Sezze la festa dei Santi Patroni è diventata con gli anni una “festicciola minore”, superata in fasti ed importanza da altri eventi localistici e organizzati da privati? Qualche domanda dovremmo farcela tutti, se davvero siamo ancora, come sembrerebbe, devoti a S. Carlo e a San Lidano, foss’anche solo per ragioni intime che ognuno tiene per sé.
La ripropongo oggi, in occasione della festa dei Santi Patroni di Sezze 2020 in tempo di Coronavirus, che per le note ragioni legate alle esigenze di sanità pubblica sarà ancora di più limitata praticamente a soli eventi per lo più liturgici, con il Vescovo presente alla S. Messa solenne.
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“Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti” – (Cesare Pavese - La luna e i falò).
Il 2 luglio
Durante gli anni in cui ho abitato lontano da Sezze, questi versi di Pavese mi hanno sempre aiutato a sentirmi ancora sezzese, ed a non intaccare in alcun modo quel legame speciale che ognuno di noi ha con il luogo in cui è nato. In questo periodo di migrazioni continue e di precarietà residenziale, oltre che di individualismo esasperato, il valore di sentirsi positivamente e radicalmente incastonato in una ben precisa realtà geografica potrebbe essere percepito come disvalore, come qualcosa di demodée e senza alcuna prospettiva futura. Vivere nello stesso paese è invece, e comunque, una ricchezza per tutti; sia quelli che ci sono nati, sia coloro che vi hanno trovato momentanea residenza.
Non basta questo però per sentirci veramente…una comunità. C’è bisogno di qualcosa di più, un valore aggiunto, per unire di fatto tante e diverse realtà individuali.
A mio parere, oltre al dialetto ed alle tradizioni folkloristico-gastronomiche, quel che unisce veramente le persone di una comunità è la condivisione della memoria storica e la prospettiva di continuare ad essere unita.
Ogni anno ci sono varie ricorrenze che ci riportano a giornate speciali del nostro passato, quelle tipicamente sezzesi: la Sacra Rappresentazione del Venerdì Santo e la Sagra del Carciofo sono da anni imprescindibilmente legate alla storia del nostro paese. Ma sono altre le date che, secondo me, rappresentano il valore aggiunto di Sezze.
Una di queste è il 28 maggio. Non può dirsi sezzese chi non conosce empaticamente Luigi Di Rosa. Appartenere ad una comunità è fondamentalmente sentirsi parte di un tutto, soprattutto con quanti, familiari ed abitanti dell’epoca, hanno sofferto per un’aggressione come quella che ebbe luogo a Sezze il 28 maggio 1976.
L’altra data è il 2 luglio. In questa data, al di là dei propri convincimenti religiosi, i Santi Patroni Lidano e Carlo rappresentano il segno tangibile di una comunità che continua a sentirsi viva. Anche per chi vive il 2 luglio con sensibilità extra-religiosa, i “Due sezzesi” (uno acquisito, l’altro di nascita) sono, e possono continuare ad essere simbolicamente la “bandiera laica” del paese.
Non per niente a Sezze il 2 Luglio è un giorno festivo.
Festa lo è non solo per quelli che, più devotamente, considerando i due Santi il proprio tramite privilegiato verso il Dio cattolico, seguono anche le celebrazioni liturgiche. È festa per tutto il paese. Dovrebbe esser festa per tutta Sezze.
Da qualche anno invece, mancano, a mio avviso, i segni tipici e tangibili di una vera festa, quella fatta di persone, suoni, colori e sapori inconfondibili, quella che dovrebbe riuscire a coinvolgere veramente tutto il paese. Il 2 luglio potrebbe essere l’occasione per far prevalere l’idea di unità e di valore sociale condiviso; il giorno ideale per invogliarci tutti a mettere da parte le diversità individuali, le differenti colorazioni politiche, le storiche conflittualità sociali oltre agli antipatici e mai sopiti personalismi. Sarebbe bello che l’anno prossimo, in occasione dei festeggiamenti dei SS. Patroni, si deponessero finalmente “le armi” - come avveniva nell’antica Grecia durante i giochi Olimpici – e tutta la comunità si ritrovasse unita in una sola festa, della durata di più giorni, in cui, oltre allo spazio per la doverosa memoria religiosa, ci fosse lo spunto per mettere insieme il meglio delle risorse della comunità. La sfida sarebbe quella di provare a regalare ai cittadini qualche giornata serena all’insegna del divertimento e dello spettacolo, per rifondare, visto che ce n’è tanto bisogno, la nostra più sana appartenenza al paese.
Ognuno sarebbe libero di partecipare attivamente e di assistere o no agli eventi. Ma in quei giorni la festa del paese dovrebbe essere una, solo una, seppur diversificata in più eventi.
Non ci dovrebbe essere spazio per fughe individuali. Ci sarebbe bisogno che tutti noi rinunciassimo al nostro orticello privato, solo per un giorno, per fare spazio a tanti altri sezzesi e partecipare tutti, nuovi e vecchi nel nome del paese che ci unisce, alla sfida di condividere almeno qualche giornata di festa vera.
Potrebbe essere un modo originale per re-interpretare il “Setia plena bonis…”