Penso, dove eravamo rimasti prima che scoppiasse tutto questo finimondo?
A febbraio del 2020, il 20 per la precisione! Era un giovedì grasso e avevo preso un giorno di ferie per gustarmi la tradizionale sfilata nel centro storico del corteo per il matrimonio di Peppalacchio, avrei voluto scattare belle foto con la mia nuova Nikon.
Fu una bellissima mattinata di sole a Piazza De Magistris, con i bambini delle scuole mascherati da carnevale - numerosi, elettrici e vocianti - ed Umberto “Farza” sul palco a intrattenerli con il rito/mito del matrimonio più pazzo che c’è, quello che a Sezze dura appena 6 giorni, fino al rogo del Martedì grasso.
Dalla Cina arrivavano intanto notizie di un virus misterioso (chissà perché le brutte malattie contagiose sono partite sempre da quelle parti) e immagini televisive incredibili di ospedali da campo allestiti in fretta e furia a Wuhan, città praticamente deserta e in quarantena nonostante i suoi 11 milioni di abitanti. Ma la Cina è lontana, dall’altra parte della luna, non arriverà certo in Italia…
E poi? Poi c’era un evento che stavo aspettando con una certa curiosità: la prima all’Auditorium Costa del nuovo lavoro teatrale allestito dalla Compagnia teatrale Le Colonne e programmata per la sera del 29 febbraio (bisesto), di sabato. Eh sì, diversi mesi prima Giancarlo Loffarelli mi aveva permesso di leggere in anteprima le bozze del suo ultimo originale lavoro di scrittura per teatro, Caravaggio perduto, dedicato al grande pittore del seicento italiano.
“In questo testo, Caravaggio è contumace, come lo fu nella vita. Contumaci sono anche i suoi dipinti. Né l’uno né gli altri sono mai in scena. Dell’uno e degli altri si parla. Essi cadono fuori dalla scena. Ciò che in scena ac-cade è la macchina del teatro, che fu sintesi di ogni arte barocca. E la macchina teatrale non viene nascosta, bensì mostrata” (Dalle note per la messinscena).
Da vedere assolutamente come avrebbero reso in pratica quel testo.
Con l’amico Giancarlo, regista e attore con suoi fedelissimi storici compagni di palco della Compagnia teatrale Le Colonne, era capitato più volte di parlare di Caravaggio e delle sue inconfondibili opere pittoriche, tra le quali quelle più riuscite e rinomate di scene sacre rivisitate, sempre sospese tra vita reale della Roma del seicento e la scenografia innovativa, quasi un allestimento teatrale ante litteram nei quadri realizzati per essere ospitati nelle cappelle private di nobili e porporati della Curia. Con al centro la questione delle luci e del buio, del suo marchio di fabbrica direi, del focus originale di Caravaggio che prima di dipingere anneriva completamente la tela per poi tirar fuori i personaggi, illuminati sapientemente secondo la scena rappresentata.
E prima dell’esordio, la mia raccomandazione a non sbagliare i dettagli, soprattutto le luci di scena - per me quasi più importanti delle parole recitate in questo caso - con le giuste prospettive laterali, senza mai illuminare a giorno e frontalmente gli attori in scena. E le sue rassicurazioni certe, aveva già studiato per bene ogni dettaglio con i suoi collaboratori tecnici e lo scenografo, attenzione ai costumi e alle musiche (originali); ci sarebbe stata una rappresentazione in matinée per gli alunni delle scuole superiori, un po’ anche per testare e ottimizzare il tutto prima della première del sabato serale. Un perfetto gioco di squadra, una macchina organizzativa in piena attività, tutti pronti alla sfida del palco e del pubblico reale, ben disposti all’eterno gioco del vero ma falso.
Io mi ero proposto per scattare le fotografie, rigorosamente senza flash e posizionando la camera lateralmente alla scena, per cogliere al meglio l’effetto delle luci a cristallizzare i volti degli attori, contrapposti con gli oggetti e gli abiti di scena, tra ombre e luci.
Siamo rimasti lì, la Compagnia Le Colonne a rinviare gli spettacoli per le intervenute disposizioni di salute pubblica, a interrompere un lavoro di mesi e una programmazione accurata, io ancora alle prese con il dove posizionarmi, a quale impostazione dare alla Nikon, quali ISO scegliere e se privilegiare le priorità di diaframma o di tempo, per non sbagliare nulla e regalare qualche bella foto ricordo per l’occasione.
Poi sappiamo com’è andata, per gli spettacoli. Quasi esclusivamente solo eventi online, vecchie registrazioni riproposte e qualche diretta streaming per provare a movimentare le nostre sere di clausura casalinga, senza mai regalarci però il sapore del teatro o dei concerti veri, on stage.
Ora siamo tornati a febbraio, ma del 2021. È passato un anno che ci ha resi tutti più deboli e impauriti dalla pandemia; sappiamo che il virus non ha regalato una semplice influenza ma tanta sofferenza, giornate d’ospedale, tamponi, paure e tanta morte, anche di persone a noi care, oltre ad una crisi sociale ed economica in cui siamo ancora immersi. E non è ancora finita, nonostante i vaccini che iniziano a difenderci.
Non vedo l’ora di ripartire da lì, dal Costa, finalmente con Caravaggio e gli attori delle Colonne in scena, il pubblico numeroso in sala, magari tutti ancora con la mascherina per precauzione, ma finalmente liberati dall’angoscia da Covid19. Tre, due, uno…via!
Non vedo l’ora di scattare finalmente quelle foto, anche a costo di sbagliarle, e di regalarne almeno una poi orgogliosamente a Giancarlo, come segno di ripartenza da quel momento interrotto, non per dimenticare quello che è stato ma per riattivarci e ripartire pian piano con le nostre passioni più care.
Quando tutto questo potrà mai succedere? Chi può mai saperlo…
Che quel momento, simbolicamente, dopo la lunga notte attraversata, possa essere un momento di ripartenza e di luce per tutta Sezze, con l’auspicio che la rinascita possa essere per tutti, individuale e collettiva, umana e culturale.
Lo spero vivamente, che possa succedere al più presto.