Il duro colpo che si è abbattuto sulla città di Sezze, causato dalle dolorose e inaudite vicende del Cimitero, ha provocato sgomento e sdegno e ferito profondamente la memoria dei nostri cari defunti. Il guscio della moralità che come sezzesi indossavamo come una corazza e che ci faceva orgogliosamente considerare inattaccabili e diversi dagli altri ha subìto una grave ferita. Si sta diffondendo tra la gente un sentimento di scoramento e di delegittimazione. Un malessere e una sfiducia di cui da diverso tempo si avvertivano i sintomi. Adesso si parla apertamente di tradimento della tradizione e delle storie del paese. In questo clima torbido si potrebbe logorare e spezzare ulteriormente il rapporto di fiducia e di stima reciproca tra le istituzioni e la cittadinanza. A vantaggio dei garantisti a fasi alterne e degli opportunisti disfattisti che finalmente possono sguazzare nel loro brodo, ovviamente completamente ignari della triste vicenda! La ferita, in verità, ancora sanguina e ci vorrà del tempo per rimarginarla. Bisogna, però, reagire! I cittadini democratici e perbene devono mobilitarsi. La prima cosa da fare, dopo una attenta riflessione sui fatti, è informare l’opinione pubblica, nella maniera più chiara, più esauriente e documentata su quanto è accaduto, senza fare come lo struzzo, individuando possibilmente (se ci sono) eventuali responsabilità politiche e morali. Sì, civili e morali, perché a quelle giudiziarie ci pensano i giudici!Tutto quello che si fa come Amministrazione pubblica appartiene anche agli altri. “Noi siamo inevitabilmente ed esistenzialmente esseri morali”, afferma Z. Bauman. L’etica pubblica tradizionale obbligava ad obbedire alle regole scritte; oggi, in più, si richiede ad ognuno di assumersi la responsabilità che deriva non solo dalle norme ma anche e soprattutto dal proprio comportamento e dalla propria coscienza. Si può anche sbagliare non ascoltando la propria coscienza, ma ciò non vuol dire necessariamente essere correi e complici. Con la drammatica vicenda del cimitero, si è toccato con mano l’insufficienza di una concezione minimalista di un vecchio modo di amministrare a fronte delle novità sconvolgenti nei comportamenti e nelle abitudini della gente. Occorre fare un passo in più, allora, e chiedersi se sono ancora sufficienti i comportamenti e i fondamenti etici sui quali si è retta fino ad ora la buona amministrazione. Occorre elaborare un nuovo codice di etica pubblica e di prassi amministrativa per poter continuare ad essere all’altezza della situazione. La parentesi del Commissariamento prefettizio ci deve spingere a fornire la massima collaborazione, a rielaborare il lutto e a fornire alla città un progetto, una nuova prospettiva di crescita e di sviluppo. Senza rinnegare il passato ma adeguandolo alla situazione presente. Nel merito ciò vuol dire che non serve più affidarsi alle buone intenzioni degli uni e degli altri; che non servono più le paccate confidenziali sulle spalle; che non si può più lasciar correre qualunque irregolarità, anche la più piccola; che si deve promuovere solo il merito e non la clientela; che occorre avere sempre gli occhi aperti. Oggi è difficile amministrare una comunità perché occorre equilibrio, duttilità e saggezza. Ma la questione morale deve costituire un atto fondativo intorno al quale realizzare un’alleanza di forze e di movimenti democratici e di sinistra, ambientalisti e riformisti, affidando alle giovani generazioni il compito di governare la città.