Atto primo, scena prima: il governo Meloni ha trovato il primo nemico.
In un Paese piegato dalla crisi economica, ambientale ed energetica, in cui le persone faticano a pagare le bollette e l’inflazione galoppante falcidia i salari, il primo atto del governo è l’introduzione di una norma che dovrebbe stroncare finalmente e una volta per tutte i rave party, raduni a base di musica, alcool, droghe e trasgressione, come quello tenutosi a Modena nei giorni scorsi. Il Decreto Legge, licenziato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ha introdotto l’articolo 434 bis nel Codice Penale, che punisce l’invasione arbitraria di terreni o edifici pubblici o privati per raduni pericolosi per l’ordine pubblico, l’incolumità e la salute pubblica, commessa da più di cinquanta persone. La nuova norma sanziona promotori e organizzatori con la reclusione da tre a sei anni e una multa da 1.000 a 10.000 euro e prevede una riduzione delle pene per i semplici partecipanti.
Premessa l’assoluta mancanza dei requisiti di necessità e urgenza, previsti dalla Costituzione, per giustificare il ricorso al decreto legge, dato che i rave party non rappresentano un’emergenza per l’esiguità del fenomeno e perciò doveva intervenire il Parlamento secondo le procedure ordinarie, significativo è il giudizio sulla nuova norma del Prof. Tullio Padovani, docente emerito di Diritto Penale alla Scuola Superiore San’Anna di Pisa: “Si tratta di un testo desolante, perché non corrisponde a nulla di ciò che si chiede a una norma penale….. La norma comincia con una definizione, come fanno i vocabolari. Il testo, però, stabilisce soltanto che il reato sussiste quando c’è l’invasione di un terreno o di un edificio altrui, e quando ci sono almeno 50 persone. Non viene detto nulla di quando si realizza un pericolo per l’ordine pubblico o per l’incolumità pubblica o per la salute pubblica, che restano nozioni vaghe, vaghissime. In altre parole, viene ripetuto l’oggetto da definire, attraverso un meccanismo tautologico. O è una presa in giro o è un caso di assoluto analfabetismo legislativo. Siamo di fronte a concetti che non sono definiti da nessuna parte, a fattispecie che quindi saranno riempiti ex post dall’interprete”. Il giurista poi ricorda che nel Codice Penale esiste già una norma, l’art. 633, che punisce “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”.
Le ragioni che hanno portato all’introduzione della norma e la fretta con cui è stata elaborata hanno prodotto un pasticcio legislativo, il cui fine non è punire i reati, ma mandare un segnale politico al Paese mediante una esibizione muscolare del potere governativo, nel solco di una cultura iniquamente e soverchiamente repressiva, estranea ai principi dello Stato liberale e democratico e alla Costituzione.
Sotto il profilo strettamente giuridico la genericità della formulazione della norma apre le porte all’abuso e all’arbitrio, perché lascia discrezionalità valutativa ai commissari, ai questori, ai prefetti o al Ministro dell’Interno circa l’identificazione di cosa costituisca un pericolo per l’ordine, la sicurezza e la salute pubblica e quindi possa configurare una consumazione del reato.
L’analfabetismo legislativo, rimarcato dal Prof. Tullio Padovani, è indiscutibile. Nel nostro ordinamento vige il principio di tassatività della fattispecie penale e la norma deve individuare gli estremi del fatto-reato in modo da distinguere con precisione ciò che è lecito e ciò che è vietato. La pericolosità non può essere un concetto astratto, deve essere stabilita preventivamente e concretamente, la sua definizione non può essere demandata ad altri poteri dello stato e non può esserci reato se non è chiaro quale sia il bene giuridico tutelato.
Il nuovo reato confligge con la libertà di riunirsi dei cittadini, garantita dall’art. 17 della Costituzione, cui non è opponibile il generico limite dell’ordine pubblico. Tant’è vero che le riunioni in luogo pubblico o aperto al pubblico non richiedono autorizzazioni, ma solo un preavviso all’autorità competente, che può vietarle solo “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Comprovati e non supposti, come viene stabilito dal Decreto Legge.
È opportuno evidenziare che questa nuova norma, rabberciata e incostituzionale, è applicabile non solo ai rave party, ma a qualunque manifestazione di dissenso, agli incontri di gruppi numerosi di persone che contestino le scelte del potere costituito, alle occupazioni di scuole ed università da parte degli studenti e di fabbriche e luoghi di lavoro da parte dei lavoratori. La minaccia del ricorso alla repressione e al carcere rappresenta così un ottimo deterrente nel caso la rabbia per le difficoltà economiche, che ribolle sottotraccia, tenti di organizzarsi ed esplodere nelle strade e nelle piazze.
Nel nostro ordinamento penale non ha precedenti la previsione di reati plurisoggettivi che colpiscano più di cinquanta persone riunite insieme. La scelta del numero è palesemente arbitraria e priva di senso: cinquanta persone non commettono il reato, cinquantuno sì! Inoltre ogni partecipante a raduni non autorizzati con più di cinquanta persone può essere intercettato, fermato e processato. La pena, sia pur differenziata per organizzatori e partecipanti, è poi abnorme, superiore a quella prevista per reati ben più gravi, come il caso dei pubblici funzionari che alterino gare pubbliche, dei responsabili di frodi in pubbliche forniture, che mettono in pericolo vita e salute di un numero imprecisato di cittadini, l’omicidio colposo e tanti altri ancora.
Fa riflettere poi che la stessa solerzia il governo non l’ha avuta per il raduno delle camicie nere che ogni anno e stavolta anche per il centenario della marcia su Roma si sono ritrovate a Predappio, dove è nato e sepolto Benito Mussolini, durante il quale sono stati esibiti saluti romani, simboli e bandiere fasciste e cantate marcette del ventennio. Un rave party a tutti gli effetti, stando alla nuova norma, che configura peraltro il reato di apologia del fascismo, punito dalla Legge Scelba, approvata nel 1952 per dare attuazione alla 12° Disposizione Finale della Costituzione e dalla Legge Mancino che, dal 1993, prevede aggravanti per i reati con finalità razziste e impedisce di esibire bandiere e simboli di organizzazioni violente.
Staremo a vedere infine se il buon Ministro dell’Interno, facendo leva proprio sulla nuova fattispecie di reato introdotta, farà sgomberare la palazzina, di proprietà demaniale, di via Napoleone III a Roma, occupata abusivamente da Casapound da oltre venti anni e la restituirà ai cittadini indigenti di Roma.
C’è da dubitarne. Si sa, legge ed ordine valgono per tutti, eccetto che per i camerati.