I casi di cronaca di queste ultime settimane raccontano una crescita preoccupante del disagio sociale e della violenza tra i ragazzi e i giovani. La risposta del governo Meloni è stata improntata unicamente alla repressione e al carcere, con una serie di misure di discutibile applicabilità ed efficacia, presentate in pompa magna, ottime per tranquillizzare i cittadini preoccupati e dare una parvenza di contenuto alla passerella propagandistica, tra claque di partito organizzate e dichiarazioni a favore di telecamera della Presidente del Consiglio. Spenti i riflettori e calata l’attenzione di media e opinione pubblica i problemi resteranno irrisolti, con buona pace di chi li subisce quotidianamente sulla propria pelle.
Sconcerta non poco che nel 2023 per i minori più fragili, per le ragazze e i ragazzi abbandonati nei quartieri degradati, nei ghetti delle nostre città, l’unica soluzione pensata dallo Stato sia il ricorso al carcere facile e alla repressione. Quanti si occupano di giustizia e di educazione nelle scuole e nel volontariato, ascoltando i ministri presentare i provvedimenti del cosiddetto Decreto Caivano, non possono che aver pensato che questi signori, amanti del pugno duro e propugnatori del motto legge ed ordine, vivono in uno stato di dissociazione totale dalla realtà.
Gli esponenti del Governo, soprattutto il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, sono davvero convinti che per combattere per esempio il problema dell’abbandono scolastico bisogna incarcerare i genitori? Si sono posti il problema che spesso quei genitori che mandano i figli a lavorare anziché a scuola o peggio li abbandonano in mezzo alla strada o a loro volta a quell’età hanno subito identica sorte o vivono in condizioni di grande povertà economica e culturale? Siamo sicuri che una misura coercitiva possa indurre all’assunzione della responsabilità genitoriale in territori sfibrati e brodo di coltura di ogni specie di marginalità e devianze? Per affrontare in modo corretto queste situazioni occorre spezzare il circolo vizioso, rimuoverne alla radice le cause e non proporre soluzioni tanto spettacolari quanto assurde: ai minori in condizioni di disagio economico, educativo e non raramente privi di adeguate relazioni familiari e affettive, si sottraggono del tutto quelle figure parentali che esercitano un minimo di funzione di riferimento. Poco importa poi se i problemi aumenteranno e i ragazzi subiranno un ulteriore abbandono.
Ovviamente non tutte le misure proposte dal governo sono sbagliate, alcune sono ragionevoli, altre inevitabili ma è nell’insieme che sono assolutamente insufficienti. La serietà e l’attenzione ai problemi dei cittadini avrebbe dovuto portare a mettere a punto un piano di riscossa che combinasse l’inasprimento delle pene e le misure per la sicurezza con investimenti per promuovere la legalità, l’integrazione e l’inclusione sociale, nella consapevolezza di avere a che fare con pezzi di generazioni che rischiano di perdersi, se non sono già persi, e non certamente per colpa di un destino inevitabile o di una maledizione divina, ma perché le istituzioni non hanno offerto finora percorsi educativi e di socializzazione alternativi alla strada. In intere zone l’altissima dispersione scolastica è conseguenza diretta dell’abominevole modello di disvalori, primo tra tutti quello proposto dalla criminalità organizzata, rispetto al quale la gran parte delle misure previste, come ad esempio l’ammonimento del questore ai 12enni non serviranno praticamente a nulla. Dove domina la subcultura della devianza e dell’illegalità, il carcere e le misure di sicurezza rappresentano un titolo di merito nella carriera delinquenziale. Trincerarsi dietro la minaccia del carcere è poi solo una scorciatoia inutile, considerato che in Italia la certezza della pena è un miraggio.
In definitiva è la cultura sottesa al Decreto Caivano a non andare nella giusta direzione, nulla prevedendo riguardo la prevenzione se non dal punto di vista dell’eventuale effetto deterrente dell’inasprimento delle pene, ammesso che funzioni. Certo è più difficile pensare e realizzare progetti educativi globali che richiedono analisi puntuali delle dinamiche sociali e culturali e che, potendo dispiegare gli effetti inevitabilmente solo su tempi medio lunghi, sono poco funzionali ad accaparrarsi consensi immediati da parte di una politica miope. La prevenzione inizia molto prima della pur necessaria repressione delle illegalità e si fa promuovendo i diritti, tessendo un sistema sano di relazioni sociali e soffocando le sacche criminali.
Le periferie e sempre più spesso gli stessi centri urbani sono territori infestati da paure, rabbie, risentimenti, conseguenti a condizioni sociali ed economiche precarie, frutto di politiche sociali assenti o come minimo insufficienti. Il degrado materiale in cui versano trasmette agli abitanti un senso di abbandono e la convinzione di essere “vite di scarto”, senza alcun valore. Sentirsi privi di riferimenti e di senso genera rabbia, che degenera nelle varie forme di violenza e nelle dilaganti dipendenze da stupefacenti ed alcool. Il malessere dei giovani è uno straordinario indicatore della disumanizzazione e mercificazione della vita. Il loro bisogno di considerazione si manifesta anche in forme perverse, violente, che rivelano un vuoto emotivo e morale, la totale mancanza di empatia. Il fatto che gli atti violenti siano ripresi con i cellulari e diffusi sui social, è indice appunto del disperato bisogno di apparire, di gridare al mondo il proprio esserci, a costo anche di uccidere o violentare gli altri.
La politica se vuole farsi davvero strumento al servizio del bene comune, del progresso e della giustizia sociale deve mettere al centro della sua azione la questione sociale, deve capire che accanto al presidio delle forze di polizia c’è bisogno di educatori, assistenti sociali, operatori culturali, centri sportivi e polifunzionali, di investire nella scuola, di promuovere la crescita civica, di sostenere le famiglie anche sotto il profilo economico e dell’occupazione, di colmare il vuoto di relazioni attraverso spazi di socializzazione, di rispondere ai sempre più frequenti casi di abusi e violenze carnali con una seria educazione sessuale nelle scuole.
La vera emergenza non sono solo i ragazzi e le ragazze che, loro malgrado, si ritrovano sporchi di illegalità, ma la cultura inquinata che respirano.