Il Re è stato detronizzato e per la sua uscita di scena, con cui parrebbe voler salutare la sua creatura politica, cita il film "The Truman Show": “Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”.
Beppe Grillo, fondatore con Gianroberto Casaleggio del Movimento 5 Stelle, sperava che il quorum della metà più uno degli iscritti, nella seconda votazione da lui richiesta, non sarebbe stato raggiunto, così da annullare le modifiche statutarie approvate dalla base pentastellata, compresa l’abolizione del Garante, ruolo ricoperto proprio dall’ex comico genovese.
“Andate a votare se avete voglia se no andate per funghi, cercate di prendere una bella decisione, io non mi offendo, non vi conosco neanche più”. L’invito di Beppe Grillo non solo non è stato raccolto, ma rispetto alla volta precedente sono aumentati i partecipanti al voto ed i consensi alle modifiche statutarie.
Il risultato è l’inequivocabile dimostrazione dell’intervenuta disconnessione politica e sentimentale tra la base del M5s e il suo fondatore. Peraltro l’indicazione astensionistica era apertamente in contraddizione con le storiche battaglie che Beppe Grillo aveva condotto in passato e non ultimo con quanto da lui stesso scritto in un post del 2021: “Il quorum è un furto di democrazia. Un modo costituzionale per fottere il cittadino. Le porte del Palazzo devono rimanere chiuse. È inammissibile che chi ricopre una carica pubblica inviti la gente a non andare a votare, andrebbe denunciato”. I principi e le regole devono valere sempre e per tutti, anche quando ad essere messo in discussione è il proprio ruolo e il proprio potere personale.
Difficile ipotizzare come andrà a finire, se la calma piatta seguita al responso del voto online è solo apparente e se ci sarà una battaglia a suon di carte bollate e avvocati, con il fondatore che potrebbe passare al contrattacco su titolarità e uso del simbolo del M5s. Ad ogni buon conto quanto accaduto è sicuramente un punto di svolta o forse meglio la presa d’atto dell’intervenuta istituzionalizzazione del movimento con l’abbandono di quelle peculiarità che lo avevano contraddistinto alla nascita. Basta passare in rassegna i proclami originari che gli avevano consentito di diventare la prima forza del paese per averne la conferma: la trasparenza via streaming, il divieto di alleanze in nome del né di destra né di sinistra, gli stipendi francescani, la centralità del feticcio digitale e della piattaforma Rousseau per prendere le decisioni, il limite dei due mandati, l’assoluto divieto di accedere ai finanziamenti pubblici…. Il movimento così come lo abbiamo conosciuto è finito e invero il colpo di grazia gliel’ha assestato proprio Beppe Grillo, quando ha imposto alla sua creatura politica l’entrata nel governo Draghi in cambio dell’istituzione del cruciale ministero della transizione ecologica, affidato a Roberto Cingolani, su sua espressa indicazione.
La contesa tra Giuseppe Conte e l’ex comico genovese ha riguardato questioni di natura regolamentare, solo apparentemente formali ma in realtà essenziali: il metodo serve ad arrivare al merito, a perseguire i risultati. Inoltre in discussione non era la presunta radicalità primigenia da ritrovare, in alternativa alla politica tradizionale, ma l’impostazione di fondo del progetto politico da proporre ai cittadini. Il M5S delle origini si era appropriato di alcune proteste e temi sociali, dal reddito di cittadinanza al giustizialismo passando per l’anti-Casta. Il suo fine però non era organizzare lotte, diffondere i conflitti e costruire presidi sociali per la conquista di nuovi diritti. La premiata ditta Grillo – Casaleggio era interessata a vendere soluzioni, per lo più tecniche, se non propriamente tecnologiche, “né di destra né di sinistra”. La piattaforma Rousseau non prevedeva un’azione orizzontale e una reale partecipazione, era funzionale soltanto a costruire un flusso di comunicazione verticale, dalla base verso gli eletti, una legittimazione unidirezionale distante dall’idea di vera democrazia. La classe dirigente grillina è arrivata al governo pronta ad applicare le formule post-ideologiche del soluzionismo, secondo la definizione dell’analista critico della sfera digitale Evgeny Morozov e per questo motivo ha potuto allearsi indifferentemente con quasi ogni forza dello spettro politico. L’’idea era che bastava trovare la linea giusta, dosando pragmatismo e scaltrezza comunicativa.
Questa impostazione ha mostrato ben presto i suoi limiti, anche in termini di calo vistoso di consensi. Giuseppe Conte, preso atto delle criticità, ha ritenuto che il movimento per sopravvivere e svolgere in futuro un ruolo politico significativo e non residuale, aveva bisogno di un cambio radicale. Da qui l’idea della costituente e la scelta di mettere l’accento sul meccanismo partecipativo. Insomma il partito che chiedeva voti in cambio di risposte nette e preconfezionate, ha preso coscienza di aver bisogno di sostenitori non semplicemente disposti a firmare deleghe in bianco e che la politica, nonostante la crisi delle modalità organizzative tradizionali dei partiti e il prevalere del modello aziendalistico, è organizzazione del consenso e non può fare a meno della discussione decentrata, del radicamento sociale e della formazione dei quadri. Aspetti questi che, al di là della retorica sulla democrazia diretta, erano estranei al modello originario del M5s.
Sicuramente apprezzabili sono la scelta identitaria progressista e indipendente data da Giuseppe Conte e l’impegno a recuperare i consensi perduti nelle aree del paese abbandonate dalla politica in nome di una maggiore giustizia sociale, ma il nuovo M5S deve riempire di contenuti politici il declamato progressismo. Si tratta di una sfida essenziale che avrà inevitabili riflessi e ricadute sull’intero centrosinistra e soprattutto sulla concreta possibilità di costruire un progetto politico alternativo alle destre che oggi governano il nostro Paese.