La nostra vita è fatta di stagioni nelle quali il caso, il destino o Dio, per coloro che credono, ci riservano l’opportunità di esercitare responsabilità, funzioni e compiti. Il campo dove operare è essenzialmente la nostra vita e al più quello delle persone con cui condividiamo la quotidianità. Accade però che alcuni sono chiamati a farsi carico di ambiti più ampi, a governare gruppi, comunità e anche l’intera collettività. Misurarsi con la complessità richiede saggezza, coscienza dei propri mezzi e limiti e non ultimo essere animati da idealità e coraggio.
Il Cardinale Camillo Ruini, persona eminente, di intelligenza acuta e vasta cultura, è stato per oltre tre lustri Vicario della Diocesi di Roma e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, accentrando e concentrando nelle sue mani responsabilità rilevanti ed esercitando notevole influenza anche sulle vicende dell’Italia. L’avanzare dell’età e il dover dismettere gli incarichi possono essere vissuti con serenità oppure malvolentieri, faticando ad accettare di doversi fare da parte. Alcuni giorni fa Sua Eminenza ha rilasciato una improvvida e inopportuna intervista al Corriere della Sera nella quale, con garbo ed erudizione, non ha risparmiato giudizi critici sul recente Sinodo e, sia pur velatamente, anche nei riguardi delle riforme della Chiesa che Papa Francesco ha in cuore di realizzare. Parole e giudizi che, oltre a prestare il fianco a polemiche e strumentalizzazioni, suonano delegittimanti le attuali scelte pastorali della C.E.I. e dello stesso Pontefice. Quanti hanno un minimo di memoria ricordano le sue intemerate, i suoi reiterati richiami alla fedeltà al magistero petrino rivolti soprattutto al laicato. Orbene le sue osservazioni lasciano pensare che la senilità ha portato anche lui a divenire un po’ contestatore, specialmente ora che l’autorità nella Chiesa sono altri ad esercitarla.
Per nulla sorprendente è stata poi l’incursione nel campo della politica, una passione da sempre coltivata, tanto che sovente si è faticato a discernere nei suoi discorsi la linea di demarcazione tra indicazioni pastorali e partigianeria politica. Probabilmente era troppo aspettarsi un’analisi critica della stagione che lo ha visto protagonista, quando ha cimentato intese in nome dei valori non negoziabili con la parte politica allora vincente, sebbene questa li contraddicesse e li negasse con le proprie scelte quotidiane. Contava solo la contropartita e sull’altare di quest’intesa, senza battere ciglio, ha sacrificato la vivacità del laicato cattolico, abituato a dibattere e confrontarsi sia al proprio interno che con le altre istanze culturali del paese e a fare le proprie scelte in maniera libera e adulta; lo ha normalizzato silenziandolo, lo ha clericalizzato, avvalendosi del concorso, direi anzi della complicità, di tanti laici che, ad ogni livello e latitudine, si sono prestati al gioco, contraccambiati da riconoscimenti personali e posizioni importanti dentro e fuori la Chiesa.
Sua Eminenza non me ne vorrà, ma il recente passato lo conosciamo bene. Oggi lamenta la scarsa incisività dei cattolici in politica quando per anni con lucida determinazione ha perseguito lo svilimento e lo svuotamento di una presenza che al nostro paese ha offerto figure di assoluto valore morale e civico come Moro, Dossetti, La Pira e tanti altri. Le migliori realtà associative del laicato cattolico sono state demolite sotto il maglio delle sue imposizioni, della negazione di ogni libertà di pensiero nel nome dell’acriticità e del cieco conformismo.
Le chiese vuote sono conseguenza dell’abbassamento del livello catechetico e formativo all’interno delle nostre comunità cristiane, dell’incapacità di trasmettere i fondamenti della fede non in modo puramente nozionistico, di aiutare ragazzi e giovani a scoprire la bellezza dell’incontro con una persona, Gesù Cristo, capace di dare un senso altro ed ulteriore alla nostra vita. La società in cui viviamo è cambiata profondamente, ma le trasformazioni non assumono mai direttrici inevitabili, potendo essere influenzate e indirizzate da presenza e capacità propositiva dei soggetti operanti nel tessuto sociale. Stiamo oggi raccogliendo quanto seminato in quegli anni, stiamo scontando gli effetti dell’assenza di un progetto pastorale e il risultato è la desertificazione, l’afonia totale sui temi di interesse generale, l’assenza di un laicato culturalmente preparato in grado di offrire proposte e risposte alle criticità.
La ricetta che Mons. Ruini avanza è la riproposizione di soluzioni già sperimentate e fallimentari, che hanno determinato la dispersione del pensiero e della presenza dei cattolici nella società e nella politica, un nuovo collateralismo con chi ostenta la simbologia religiosa per pura convenienza elettorale, come se la dottrina sociale della Chiesa possa ridursi all’appoggio a forze politiche che solo in apparenza si rendono permeabili a certi temi e in realtà si collocano agli antipodi del cristianesimo. Ancora una volta prevale l’apparenza sulla sostanza, conta la contropartita, il raggiungimento di determinati fini, sempre in nome dei valori non negoziabili si intende.
Lo spirito censorio mi è estraneo come forma mentis e non mi disturbano affatto le esternazioni di Sua Eminenza, ma da cristiano, assiduo alla frequentazione della propria comunità e ai sacramenti, preferirei si dedicasse alla riflessione, alla preghiera e a fare un po’ di autocritica, anche perché certi discorsi sono un po’ paradossali se provengono da chi come lui determinati ruoli li ha ricoperti e porta la responsabilità degli effetti di certe scelte.