Un terreno di scorribande, pasticci e accordi raccogliticci è la giustizia in questo nostro povero paese.
Sul campo di battaglia della politica, dove si ergono gli stendardi di contendenti interessati a guadagnare un rimasuglio di visibilità, indifferenti ad approntare norme giuste e patrocinatori di mediazioni improbabili e indigeribili, si leva titanico il ministro Alfonso Bonafede a far scudo con il suo corpo e la sua raffinata scienza agli assalti portati dalle bande di giuristi osservanti la Costituzione, da cani sciolti di una giustizia senza aggettivazioni e da resistenti vetero – illuministi, seguaci del tal Cesare Beccaria, un vecchio arnese ormai in disarmo.
Giunti gli anni venti del nuovo millennio il mondo vecchio è tramontato con le sue stanche liturgie e le sue stantie parole. È tempo di liberarsi dell’anticaglia accumulata, troppo a lungo ritenuta imperativa e vincolante ed ora, grazie alla furia iconoclasta dei novelli riformatori, stimata solo inutile ciarpame. La politica persa nel labirinto delle identità perdute, dove valori e cultura sono concetti insignificanti, le persone di pensiero tediose e disturbanti e a prevalere è il fare semplicistico e facilone, vocaboli come riforme e cambiamento sono divenute un mantra, squilli di trombe del nuovo che avanza, giuramento delle magnifiche sorti che verranno, esaltazione di un progresso inesistente. Le sapienze sedimentate, le esperienze e le riflessioni degli illustri giuristi sono valutate alla stregua di arredi da museo. I principi liberali e democratici, i diritti inviolabili delle persone, la tutela della legalità, le garanzie per l’imputato e da ultimo la prescrizione sono vecchi marchingegni, intralci di parrucconi azzeccagarbugli, preordinati ad impedire lo svolgimento lineare della giustizia, consuetudini di principi e principini del foro finalizzati a tutelare la vituperata casta, a garantirle impunità, privilegi e lunga vita. Finalmente la grande illuminazione! Le tenebre che a lungo hanno avvolto e tenuto prigioniere menti e cuori si sono diradate, ora splende il sole abbagliante di una legalità tutta nuova in cui diritti e libertà sono un accessorio, una gentile concessione su ridotta scala dei sapienti governanti, unti, così sostengono, con il consenso del popolo sovrano e il più possibile abbindolato e inconsapevole.
Il garantismo è il più grande imbroglio che sia mai stato concepito dai cultori del vetero diritto. Gli innocenti non vanno in carcere, non si trovano a dover fare i conti con il tritacarne dei processi, ma unicamente i delinquenti avvezzi a trasgredire leggi e norme. Faccia un passo avanti chi ha mai incontrato in vita sua una persona irreprensibile condannata o che ha subito torti in qualsivoglia aula di tribunale! Parola di Ministro di Grazia e Giustizia, novello Alice nel paese delle meraviglie.
Certo al magistrato Piercamillo Davigo, strenuo sostenitore dell’abolizione della prescrizione, qualche volta capita di esagerare, come quando ebbe a dichiarare che, a suo modesto avviso, gli innocenti non esistono, che tali sono da considerare solo coloro che ancora non sono stati presi a trasgredire, colti con le mani nel barattolo della marmellata. Il suo è paradosso o forse convinzione? Avendo cognizione delle sue infaticabili esternazioni, i dubbi si tramutano agevolmente in rabbrividenti certezze.
Abolita la prescrizione, il tempo sarà un velo lievissimo e sopportabile di terra che coprirà il sacello del defunto diritto e con esso verranno sepolti la dignità delle persone, la presunzione di innocenza, il principio della ragionevole durata dei processi, la funzione rieducativa della pena, inutili fronzoli scolpiti nella nostra Costituzione Repubblicana. D’altra parte perché porre limiti temporali alla possibilità di celebrare i processi, se possiamo consegnarli all’eternità?
“Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”
(Dante Alighieri – Inferno – Canto II).
Sebbene da ogni dove si levino voci ammonitrici e dissenzienti, che invocano la cancellazione di questo obbrobrio di legge, manifestamente contrastante con la Costituzione, nulla sembra scalfire il fortino delle certezze del ministro della Giustizia e dei suoi accoliti plaudenti, incrollabili nella convinzione della bontà della riforma, di una prescrizione cancellata, di una giustizia che ti trasforma in prigioniero eterno del sistema giudiziario, ti accompagna fino al momento estremo di partire da questo mondo e ti lascia come unica speranza l’evento liberante dell’apocalisse celeste, quando i giusti risorgeranno a nuova vita e i malvagi saranno scaraventati nell’inferno. Nel frattempo chi invoca giustizia aspetterà a tempo indefinito, chi è stato denunciato ingiustamente e da innocente inseguirà i suoi avvocati chiedendo quando finirà il calvario, il colpevole avrà sempre l’arma dell’appello nella consapevolezza che nel nostro paese non c’è nulla di più definitivo di ciò che è provvisorio.