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8 marzo: parità, no mimose

Mar 07, 2021 Scritto da 

 

 

 

“Il consenso globale emerso è che, nonostante alcuni progressi, il vero cambiamento sia stato dolorosamente lento per la maggior parte delle donne e delle ragazze del mondo. A oggi, nessun Paese può affermare di aver raggiunto la parità di genere. Multipli ostacoli rimangono invariati nella legislazione e nella cultura. Le donne e le ragazze continuano a essere sottovalutate; lavorano di più e guadagnano di meno e hanno meno scelte; e sperimentano molteplici forme di violenza a casa e negli spazi pubblici. Inoltre, esiste una significativa minaccia di regressione delle conquiste femministe duramente guadagnate”. (Rapporto ONU 2019)

L’obiettivo di realizzare una piena e sostanziale parità di genere, cancellando diseguaglianze e discriminazioni, non è la rivendicazione di una parte, non appartiene solo alle donne ma deve essere un impegno concreto e quotidiano di tutti e di ciascuno. In gioco non ci sono interessi contrapposti, la sottrazione e la conquista di spazi da parte delle donne a scapito degli uomini secondo una logica sostituzionistica o la negazione dell’irrinunciabile ricchezza della diversità, come qualcuno scorrettamente sostiene per coprire la propria subcultura retrograda, ma l’irrinunciabile necessità di affermare e realizzare in modo sostanziale i diritti civili e le libertà sancite nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e nella nostra Carta Costituzionale, nella consapevole certezza che ovunque essi subiscano limitazioni o vengano negati è vilipesa l’essenza stessa della nostra umanità.

L’8 marzo non è banalmente una ricorrenza, una festa consumistica o l’occasione per ostentare un effimero e vuoto orgoglio femminile, quanto piuttosto un giorno in cui ricordare il cammino compiuto grazie alla fierezza dei valori professati, alla forza e al coraggio di tante donne, in cui fare il punto delle conquiste sociali, economiche e politiche ottenute attraverso le lotte e i sacrifici personali, anche con il supporto di tanti uomini che non le hanno lasciate sole, e soprattutto l’occasione per denunciare soprusi, discriminazioni e violenze di cui sono ancora oggetto in tanti paesi del mondo e anche in Italia. Personalmente, se fossi donna, mi sentirei offeso nel vedermi offrire in questo giorno mimose e omaggi floreali, nell’essere destinatario di auguri elargiti con superficialità, dato che tali attenzioni e gesti assai spesso sono pura ipocrisia, non esprimono un sentire autentico, non si accompagnano alla rinuncia delle consolidate posizioni di vantaggio, ad un impegno efficace nell’abbattere barriere e rimuovere ostacoli antistorici e insopportabili e sono un gesto di maniera, una ostentazione di sensibilità apparente, utile solo a celare la scarsa considerazione per le donne e il deficit valoriale che si esplicita in tante scelte compiute ordinariamente, antitetiche all’obiettivo di conseguire una piena parità di genere. 

Indubbiamente in questi anni sono stati compiuti passi in avanti significativi sulla strada della parità, grazie anche alla spinta delle cosiddette “quote rosa” stabilite dalla legge, ma ciò nonostante la nostra società continua a nascondere sotto la patina superficiale una cultura patriarcale nella quale prevalgono gli stereotipi sessisti più beceri e un maschilismo mascherato che persevera nel considerare le donne all’altezza di compiti e ruoli al massimo di contorno e non di diretta responsabilità, fino ad arrivare ad alcune frange estreme e retrive, neppure tanto marginali, che le considerano alla stregua di una proprietà. È evidente che non basta un vincolo normativo, per quanto forte e stringente, per superare mentalità consolidate e prassi incancrenite, ancor più poi che tante volte il suo rispetto è solo apparente e non sostanziale. Le donne continuano ad essere poche ai vertici dell’economia, della finanza, della politica, nei luoghi decisionali in genere o comunque hanno ruoli marginali e soprattutto latitano nei livelli sociali meno prestigiosi. Il numero delle donne che lavorano è inammissibilmente basso, soprattutto in Italia, e sono mediamente peggio retribuite. Se la pandemia sta mettendo a rischio il lavoro di milioni di persone, le donne sono quelle che ne pagano e ne pagheranno in maggior misura nel prossimo futuro le conseguenze. Pertanto è indispensabile intervenire con politiche radicali e innovative dirette a colmare questo gap, ripensare lo stato sociale mediante un aumento quantitativo e qualitativo dei servizi affinché sia garantito alle donne di poter dedicare alla propria carriera le stesse energie dei colleghi uomini e contestualmente a questi ultimi la possibilità di usufruire di una maggiore presenza nella cura della famiglia. Conciliare lavoro e famiglia non esaurisce il problema ed è solo uno degli aspetti di una questione di ben più ampia portata sociale e culturale.

Un pensiero particolare, insieme alla mia personale vicinanza e solidarietà, va a tutte le donne che specialmente in questo nostro tempo travagliato e conflittuale, si sono assunte l’onere e la dignità di lottare per la democrazia, i diritti civili, le libertà e la dignità dei propri popoli. Storditi e distratti dalla angosciosa tempesta del Covid-19, non abbiamo prestato sufficiente attenzione a quanto sta avvenendo nel mondo e perfino nel cuore della nostra civilissima Europa, che vanta o forse dovrebbe vantare standard elevati di democrazia. In Bielorussia le donne hanno assunto la guida della protesta contro il regime liberticida e dittatoriale di Lukashenko, che soltanto gli ipocriti hanno il coraggio di definire democrazia. In Polonia sono scese in strada per protestare contro la legge votata dal Parlamento, controllato dall’estrema destra xenofoba e razzista, che ha cancellato la libertà di scelta riguardo la maternità. In Ungheria hanno cercato di resistere in tutti i modi al tentativo purtroppo riuscito del regime di Orban e dei partiti che lo sostengono, di non far ratificare dal Parlamento la Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne e i femminicidi. In Arabia Saudita, finalmente dopo quasi tre anni è stata liberata ed è tornata a casa Loujain al-Hathloul, nota attivista per i diritti delle donne e per questo motivo condannata a cinque anni di carcere. Durante la lunga e ingiusta detenzione è stata torturata e fatto oggetto di abusi sessuali.  

Schierarsi al fianco delle donne, condividere la loro battaglia per la piena parità di genere in ogni campo, in ogni contesto sociale e lavorativo è un dovere etico e morale per ogni autentico democratico e non può esserci spazio per distinguo, freddezze o indifferenze: tutti, in prima persona e in pari misura, dobbiamo sentirci investiti irrinunciabilmente da tale impegno, a prescindere se uomini o donne, un dettaglio questo a ben vedere veramente irrilevante rispetto al dato sostanziale dell’affermazione dei diritti umani.

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