"Niente sarà più come prima": è la frase più ricorrente sui giornali, in TV, per strada. La ripetono gli scienziati, i politici, i laici e i sacerdoti. Questa lunga quarantena, che non ci ha risparmiato neanche la Pasqua, ci obbliga a ripensare il nostro modo di vivere e a riflettere sulla fragilità di tutti gli uomini. Mentre si spera che finisca la fase 1 e si passi rapidamente alla fase 2 e 3, al fine di non dimenticarci (come spesso ci capita!) le sofferenze passate, mi pare doveroso annotare un elenco di semplici e buone riflessioni che ci possono fare compagnia.
- inquinare e sprecare l'aria, l'acqua, la terra (elementi essenziali alla nostra sopravvivenza): non ce lo possiamo più permettere
- è necessario lasciare stare gli animali, gli uccelli, i pipistrelli nei loro siti naturali per evitare le contaminazioni di specie;
- avvilirsi per la mancanza di beni superflui e voluttuari, non vale la pena, perché possiamo benissimo farne a meno;
- le cose più semplici, come la libertà di muoversi, di uscire di casa, di incontrare gli amici, ritenute scontate e ovvie, rappresentano la base del nostro vivere e, se mancano, si rischia la depressione e l'impazzimento;
- se poi non vediamo e non sentiamo più i nipotini e i figli, allora ci accorgiamo che la vita non ha senso;
- la solidarietà verso i più deboli ci riempie di una gioia intima ma indefinibile;
- la peste ci ha scoperti indistintamente tutti fragili e impotenti, senza differenza di censo, di sesso, di colore;
- non è dignitoso sperare nelle preghiere di Papa Francesco se non capiamo che Dio non si cerca ma si accoglie facendo del bene al prossimo;
- in casi di emergenza non si deve andare in ordine sparso, tanto per far vedere di essere i primi della classe: serve una cabina di regia livello nazionale, europeo e internazionale: la peste non conosce muri, steccati e barriere;
- e infine: si dice giustamente che un vero amico si riconosce nel momento del bisogno. Ebbene: il virus che sta infestando l'intero pianeta dimostra che l'intervento pubblico degli Stati nazionali e internazionali resta fondamentale per la tutela della salute, per il rilancio dell'economia, per la protezione della popolazione, per la ricerca dei farmaci e dei vaccini. Chi ha osannato selvaggiamente al libero mercato che avrebbe creato ricchezza e benessere per tutti, che la sola impresa privata avrebbe dovuto sostituire quella pubblica, che il privato avrebbe assicurato " le magnifiche sorti e progressive" (Leopardi), dovrebbe riflettere un po’. La crisi mondiale dell'economia sta dimostrando platealmente che non è così e che lo Stato non può essere considerata un ferro vecchio e arrugginito. In questa drammatica emergenza, infatti, tutti invocano l'intervento massiccio dello Stato. Persino Trump, il campione del liberismo, ha fatto retromarcia di fronte al dilagare della peste nel suo Paese contribuendo con un massiccio intervento finanziario; altrettanto la Merkel, per non parlare della Cina, immenso Paese dove ancora vige un regime comunista. Il coronavirus ci fa capire che le idee di democrazia, di uguaglianza e di giustizia non sono affatto estinte e che, soprattutto, è lo Stato che deve governare l'economia e la società e non viceversa.