Fino alla metà circa del secolo scorso, il parto avveniva in casa. Il ginecologo, le ecografie, il parto indolore erano sconosciuti. Il sesso del nascituro si conosceva solo al momento del parto anche se le donne più anziane si cimentavano in pronostici secondo la forma della pancia.
Ci si affidava all’assistenza di una mammana (levatrice o ostetrica) e solo in casi particolarmente difficili si ricorreva al medico condotto, che interveniva sempre in ritardo non conoscendo le fasi della gestazione. Così molto spesso era costretto ad improvvisare vere e proprie operazioni chirurgiche in casa.
La levatrice si avvaleva dell’aiuto di un paio di donne come la madre della partoriente, la suocera, una parente, oppure una vicina. Le donne che assistevano al parto dovevano essere sposate ed avere una certa età avanzata sia per l’esperienza sia per non creare imbarazzo alla partoriente. I bambini venivano mandati fuori da qualche parente o da una vicina perché non fossero di impaccio in casa e soprattutto perché non restassero intimoriti dalle urla della madre partoriente. Alle giovani della famiglia era vietato l’accesso nella stanza della partoriente.
Avvenuto il parto si ripuliva la stanza, si rifaceva il letto con le lenzuola e la sopraccoperta riccamente ricamata, dove su due cuscini veniva adagiata la puerpera, lavata, pettinata cu gli ciuccio beglio arringriccato e con la camicia da notte nuova e ricamata. Accanto a lei il neonato o la neonata avvolto nelle fasce (poveri bambini!) con la camiciola e la bavarola.
Quando tutto era sistemato si apriva la porta e si annunciava la nascita di un pupetto o di una pupetta. Iniziavano così le visite dei parenti o delle vicine a due o tre alla volta e si intrattenevano giusto il tempo per complimentarsi per il nuovo nato e per la bella cèra (colorito) della madre, che distrutta dai dolori del parto avrebbe solo avuto bisogno di riposare. Ma tant’è, la tradizione era questa!
Lo stesso giorno, parenti ed amici portavano in dono una gallina bella grassa per preparare il brodo, che secondo la tradizione favoriva la calata del latte, unitamente ad un buon boccale di vino rosso.
Il numero delle galline era proporzionale alla stima e al rispetto di cui godeva la famiglia del neonato e siccome il congelatore non esisteva, venivano donate vive, così da poterle ammazzare alla bisogna, tranne le prime due o tre che venivano portate già ammazzate e belle che spennate.
I neonati venivano allattati dalla mamma sino all’età di diciotto – venti mesi e quando il bambino imparava a camminare aveva spesso un fratellino o una sorellina. A due anni doveva saper fare tranquillamente tutte le sue cose perché indossava i calzoncini con la spaccazza ‘nculo. Cresceva mangiando di tutto: niente dolci, niente latte, niente carne ma solo patate e fagioli e tanta pizza roscia e paniccia quando c’era.
Occorre ricordare che un tempo si mettevano al mondo molti figli, perché la mortalità infantile era molto elevata sia per le scarse condizioni igieniche, sia per l’insufficiente nutrizione o per mancanza di adeguate cure mediche. Se una coppia non metteva al mondo molti figli rischiava seriamente di rimanere senza prole.
Da ricordare ancora che i figli maschi venivano avviati al lavoro in tenera età (dagli otto ai dieci anni) per cui si augurava alle coppie figli maschi perché aiutavano la famiglia, mentre le femmine costituivano un grande onere in quanto si doveva provvedere a farle sposare con una dote commisurata al benessere della famiglia. Infatti, ogni ragazza doveva portare in dote un raffinato corredo di lenzuola, asciugamani, federe, biancheria intima, tovagliati, fazzoletti che andavano da un minimo di 12 pezzi per singolo articolo, sino a 24 o 36 per le benestanti, Le figlie dei campéri e dei bovari arrivavano addirittura a 48.
Riguardo ai nomi da dare ai nuovi nati era tradizione per il primo maschio rinnovare il nonno paterno e e per la prima femmina la nonna materna. Per i successivi figli si ricorreva a nomi di famiglia e molto spesso i padrini e le madrine avevano facoltà di assegnare un secondo e addirittura un terzo nome.
I figli erano tanti ed esaurita la rosa dei nomi di famiglia, si ricorreva ad altri nomi come Quintino, Sesto, Settimio, Ottavio, secondo il loro ordine di nascita.
I nomi più diffusi erano Lillo (Lidano), Peppo (Giuseppe), Toto (Salvatore), Ndina (Valentina), Ndona (Antonia o Antonietta), Ndruda (Geltrude). Oggi questi nomi nella loro forma dialettale non si usano più; quello del patrono Lidano è addirittura in via di estinzione e credo che al di sotto dei cinquant’anni siano pochissimi quelli che ancora portano questo nome.