La sedia negata alla Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, costretta a rimanere in piedi e poi ad accomodarsi su un divano laterale, mentre il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, senza alcuna remora, va a sedersi accanto a Recep Tayyip Erdoğan, racconta molte cose poco piacevoli non solo sulla Turchia e sull’autocrate che la governa, ma anche sulla debolezza e la scarsa credibilità dell’Unione Europea a livello internazionale e non ultimo sulla qualità umana e politica di certi personaggi che la rappresentano e ci rappresentano. Sarebbe sbagliato considerare quanto accaduto nel palazzo presidenziale turco semplicemente uno sgarbo del sultano di Ankara o ridurlo ad una questione di protocollo diplomatico. Si badi bene, non che tali aspetti siano secondari o irrilevanti, ma dobbiamo evitare che finiscano per farci perdere di vista temi decisamente più importanti e sostanziali. Innanzitutto la decisione di Erdoğan di far disporre una sedia accanto alla sua solo per Charles Michel, relegando in un angolo Ursula Von der Leyen ha un significato simbolico evidente, è l’affermazione di una idea maschilista e padronale del potere. Il presidente turco è persona riprovevole, le sue tendenze autoritarie, il suo disprezzo per la democrazia e i diritti delle persone, le persecuzioni contro le minoranze, la negazione dei diritti delle donne, l’uso strumentale delle istituzioni, il perseguimento esclusivo dei più biechi interessi personali e al più del proprio clan rappresentano il tratto distintivo della sua azione politica. Tuttavia, come tutti i sovranisti d’ogni latitudine ed espressione, è molto attento alle immagini e ai gesti simbolici che possono produrre effetti sui sostenitori, solleticarne gli istinti più bassi e la mediocrità, indirizzare il consenso più di mille discorsi e slogan, soprattutto quando i contenuti scarseggiano e i risultati nella gestione della cosa pubblica sono a dir poco deludenti.Il fatto che la scelta del presidente turco sia stata rivolta contro Ursula Von der Leyen in quanto donna non lascia poi spazio a dubbi, anche alla luce di alcune dichiarazioni di membri di primissimo piano del suo governo a commento dell’accaduto. D’altra parte Erdoğan si è sempre contraddistinto per le ripetute affermazioni chiaramente discriminatore e offensive verso le donne, non ultimo quando ha sostenuto che esse devono considerarsi “prima di tutto delle madri”, funzionali a suo giudizio solo alla riproduzione della specie evidentemente. Il problema è che non si è limitato solo a strizzare l’occhio ai settori più tradizionalisti e retrivi della società turca allo scopo di raggranellare consensi, ma è passato direttamente all’azione. Infatti risale ad appena qualche mese fa la decisione del governo turco di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. E questo in un paese che ha una media di due femminicidi al giorno e in cui la pandemia ha sancito in maniera ancor più netta l’esclusione delle donne dal mondo del lavoro e dalla partecipazione attiva alla vita politica.
Deprecabile però è stato anche e soprattutto l’atteggiamento di Charles Michel. Se da Erdoğan non c’era da aspettarsi nulla di diverso, un rappresentante delle istituzioni europee avrebbe dovuto dimostrare ben altro spessore politico e sensibilità umana. È invece rimasto indifferente dinanzi allo sfregio compiuto nei confronti della Von der Leyen, non ha ritenuto di compiere nemmeno un gesto di galateo cedendole il proprio posto, che sarebbe stato un messaggio fortissimo contro il machismo del Presidente turco, e tantomeno si è sentito in dovere di esprimere il proprio disappunto. A sua aggravante c’è inoltre che, stando a quanto si è venuto a sapere, il suo staff pare abbia eseguito un sopralluogo prima dell’incontro e non abbia avuto nulla da ridire circa la scelta del cerimoniale diplomatico turco. Evidentemente certo maschilismo retrivo non è malattia esclusiva di Erdoğan e Charles Michel ha colto l’opportunità importante di dar sfogo alla propria ambizione, al proprio egocentrismo, di far valere la più volte rivendicata sua primazia rispetto alla Presidente della Commissione Europea. E poi vuoi mettere la soddisfazione di avere una donna in posizione ancillare rispetto ai maschi che contano e discutono di argomenti importanti!
Ursula Von der Leyen ha invece fatto la scelta giusta accettando di sedersi sul divano dei “numeri due”. Sotto il profilo politico e diplomatico sarebbe stato un errore andarsene polemicamente e, proprio perché donna, avrebbe prestato il fianco a facili polemiche e perfino ad accuse sessiste.
Ad ogni buon conto ad essere sempre più inquietanti sono i rapporti tra Unione Europea e Turchia. I politici europei si tengono stretto Erdoğan, un dittatore criminale, verso il quale si mostrano accondiscendenti, subalterni e proni, regalando al suo regime sei miliardi l’anno per permettergli di compiere ingerenze militari nei paesi vicini, per assolvere al lavoro sporco che gli hanno appaltato nei diversi teatri di guerra del Mediterraneo, per contenere l’arrivo dei migranti, ricorrendo alla violenza e tenendoli prigionieri in condizioni disumane nei vari campi a cielo aperto lungo la sua frontiera e per ragioni economiche e commerciali. Un conto però è l’inevitabile realismo di dover fare i conti anche con regimi autoritari nelle relazioni tra stati, un conto è aver fatto della Turchia il sicario dell’Europa.
Bene ha fatto il Presidente del Consiglio Italiano Mario Draghi a definire Erdoğan un dittatore, provocando le proteste del regime turco, ma francamente è davvero ancora troppo poco, soprattutto se poi queste parole servono solo a gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica e a non modificare nulla. È invece indispensabile un cambio di passo radicale dell’Italia e dell’intera Europa: basta cedere incondizionatamente ai capricci e ai deliri del sultano turco nel proprio paese e nel Mediterraneo.
Lo dico da incrollabile europeista, questa Unione Europea dei tatticismi esasperati, della diplomazia miope ed attenta esclusivamente agli interessi economici, non è quella in cui possono riconoscersi quanti credono nella democrazia, nei diritti umani e nella libertà.