La cauzione sui migranti, introdotta da una norma a dir poco surreale e da più parti definita pizzo di stato, certifica il fallimento delle politiche di accoglienza del governo. Il burocratese dell’era Matteo Piantedosi, Ministro dell’Interno, la definisce garanzia finanziaria, ma la sostanza non cambia.
Nella visione politica che ispira Giorgia Meloni e i suoi ministri la libertà ha un prezzo, può essere monetizzata. Se si è migranti, arrivati in Italia con i barconi o via terra lungo la rotta balcanica da paesi considerati sicuri, e non si vuol finire nei centri di trattenimento fino a 18 mesi, in attesa di conoscere l’esito della domanda di protezione, basta sborsare 5 mila euro e il gioco è fatto. Il pagamento è a carico del richiedente, deve avvenire in un’unica soluzione e non può essere fatto per lui né da parenti e amici che sono già in Italia né che vivono nel paese d’origine. La fidejussione bancaria o assicurativa deve essere fornita entro il termine di conclusione della procedura di fotosegnalazione, fissata dalle norme europee in 72 ore dall’arrivo. Pensare che i migranti possano precostituirsi la fidejussione prima di partire o ottenerla in così poche ore è inverosimile. A meno che non vengano aperti appositi sportelli sui moli dove sbarcano, le persone soccorse dispongano di documenti validi, forniscano le garanzie necessarie per concludere un contratto bancario o assicurativo e siano in grado di capire cosa stiano facendo, è evidente che si tratta di una eventualità irrealizzabile, frutto di un approccio ideologicamente ostile, della volontà di continuare a negare la realtà, che contrasta con i più elementari principi del diritto internazionale, odiosa per il fatto di chiedere soldi a chi fugge da discriminazioni, guerre e torture e che rivela lo spessore o meglio la pochezza logica, ancor prima che intellettuale e morale, di molti esponenti del governo. Concedere la libertà a chi paga, sapendo che la richiesta di asilo sarà probabilmente respinta, poi significa solo fare cassa sulla pelle dei poveracci, ancor più che già nel corso della procedura o una volta conosciuto l’esito negativo i migranti faranno perdere le loro tracce e andranno ad accrescere l’esercito degli irregolari. E così invece di garantire un esame delle richieste celere e imparziale e nel frattempo un’accoglienza dignitosa, lo Stato si prenderà i soldi versati e sarà un problema di banche e assicurazioni recuperarli, aggredendo le eventuali garanzie fornite. Innegabilmente si tratta di una opzione più semplice e comoda piuttosto che gestire il fenomeno, garantire i diritti, tagliare i tempi della burocrazia, battersi in Europa per rivedere il sistema di accoglienza.
Il riferimento alla direttiva europea, che riprenderebbe misure simili previste in molti paesi per il trasferimento ordinario dei cittadini provenienti da altre nazioni, chiamati a dimostrare di potersi sostenere da soli, è inverosimile. Quelle sono norme valide in periodi ordinari, non per gestire migrazioni di massa. L’idea di applicarle in contesti totalmente diversi si fonda su una figura immaginaria di migrante, esistente solo nella testa dei nostri governanti, abituati a considerare i loro ricchi stipendi e non le condizioni concrete in cui si svolgono certi fenomeni, su un approccio ideologico retrivo, incapace di affrontare l’immigrazione con una strategia di lungo respiro e non con provvedimenti estemporanei.
Il tema della cauzione va valutato poi sotto un profilo giuridico e costituzionale. La sua introduzione costituisce un ostacolo in danno a quanti intendono far valere i propri diritti, che devono essere riconosciuti in seguito ad un accertamento della loro fondatezza e non sulla possibilità o meno di offrire una garanzia economica. L’asilo è un diritto codificato dall’articolo 10 della Costituzione e, come tutti i diritti, non può essere subordinato al versamento di una somma di denaro. Sotto questo profilo il Decreto Cutro si appalesa incostituzionale, fermo restando che tale dichiarazione non spetta ai giudici di merito, in quanto nel nostro Paese il sindacato di costituzionalità è affidato unicamente alla Consulta. Le disposizioni in questione confliggono anche con la normativa europea e con la sentenza della Corte UE contro l’Ungheria del 2020, Paese che aveva adottato una misura simile. In caso di contrasto con le norme comunitarie il giudice può legittimamente disapplicare le leggi nazionali. Se si tratta di un Regolamento Comunitario è più semplice, essendo immediatamente applicabile negli ordinamenti dei paesi membri, se si tratta di una Direttiva, come nel caso di specie, è più macchinoso essendo necessaria una norma interna che la recepisca, anche se è possibile e pienamente legittimo disattenderla.
Pertanto la decisione della giudice di Catania, Iolanda Apostolico, di disapplicare la norma interna a favore di quella comunitaria rientra pienamente nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale. Se la decisione della giudice non è condivisa può essere impugnata innanzi agli organi giurisdizionali superiori e lì far valere le proprie ragioni. È legittimo che il governo, autore della legge censurata, e la maggioranza che lo sostiene ritengano la decisione sbagliata e la critichino, ma è inaccettabile ricorrere ad argomenti privi di qualsiasi attinenza tecnico-giuridica sostanziale e cercare di screditare la giudice sul piano personale, per le sue opinioni politiche. Le istituzioni vanno tenute indenni dalla polemica politica, soprattutto quando sono in gioco le regole fondamentali dello Stato di diritto, l’autonomia e la soggezione dei magistrati solo alla legge, il principio della separazione dei poteri e della leale collaborazione tra gli stessi. Sfugge alla Presidente del Consiglio, ai suoi ministri e alla maggioranza che nel nostro ordinamento i magistrati devono applicare la legge, sempre che non contrasti con la Costituzione o le norme europee, e non essere accondiscendenti con la volontà del governo e funzionali a perseguirne gli obiettivi politici.
In attesa di una pronuncia formale della Corte Costituzionale, non può essere taciuto poi il vizio di fondo del Decreto Legge Cutro e dei due successivi, approvati dal governo per fronteggiare il boom di sbarchi a Lampedusa, e precisamente l’illegittimità dell’automatismo per cui chiunque entra in Italia illegalmente deve essere trattenuto. Al di là del fatto che si tratta di una impostazione politicamente sbagliata, è innegabile che contrasti con la Costituzione, la giurisprudenza della Corte Costituzionale, le norme dell’ordinamento internazionale e le pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che riconoscono e tutelano il diritto delle persone a migrare. A ciò si deve aggiungere che la Consulta ha affermato in numerose pronunce che il trattenimento amministrativo va considerato non una modalità ordinaria di trattare i cittadini stranieri, ma una misura eccezionale in ossequio all’articolo 13 della Carta: “Non è ammessa forma alcuna di detenzione se non per atto motivato dell’Autorità Giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.