L’attacco di Hamas contro Israele, la pioggia di missili sulle città israeliane, il massacro di civili inermi nei kibbutz e nei villaggi del sud del paese, il numero abnorme di ostaggi, tra cui ragazze, bambini e anziani sono un atto terroristico di gravità inaudita, inaccettabile e ingiustificabile. Non ci sono parole per esprimere la condanna netta, totale e senza appello di fronte all’annullamento di ogni codice di pietà e di onore e ad una così aberrante disumanità.
Quanto avvenuto non è resistenza all’occupazione, non è un’azione di autodifesa o una lotta di liberazione del popolo Palestinese. Non è resistenza sparare in faccia ai bambini e molti decapitarli, bruciare vive intere famiglie, portare in giro come un trofeo per le strade una ragazza nuda e morta, ammazzata mentre stava ballando a un rave party, festeggiare con ululati e canti in una stanza dove giacciono trucidate tutte le generazioni di una famiglia con il pavimento allagato di sangue. Minacciare di uccidere un ostaggio per ogni bombardamento israeliano non è resistenza. L’azione perpetrata da Hamas è terrorismo jihadista, segue gli stessi metodi dell’Isis, non a caso è sostenuto dall’Iran, un regime sanguinario che tiene ostaggio i suoi stessi cittadini e li fa destinatari di violenze indicibili, e rappresenta una scelta che danneggia gravemente la causa del popolo palestinese, la sua legittima e sacrosanta aspirazione all’emancipazione e al pieno riconoscimento dei suoi diritti fondamentali.
L’esplosione di questa furia primitiva affonda le sue radici nell’odio ereditato da generazioni, nelle sopraffazioni inferte e subite fra i due annosi nemici, ma atterrisce per la sua primitività bestiale. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, quando orde sanguinarie mettevano a ferro e fuoco città, villaggi e campagne, distruggendo vite e radendo al suolo ogni segno di civiltà e all’odio antisemita dei regimi nazifascisti che hanno prodotto la tragedia della Shoah.
Da anni i leader delle potenze mondiali e i generali dei loro eserciti ci raccontano una guerra altra, fatta con missili intelligenti, ciascuno calibrato su una precisa traiettoria, con armi chimiche o biologiche preparate nei laboratori e scientificamente dosate per il tempo e l’occorrenza, con droni pilotati da remoto pronti a colpire i punti individuati con precisione chirurgica, insomma una guerra crudele ma tecnologica ed asettica tanto che a quanti ne saranno protagonisti non parrà nemmeno di uccidere, di sporcarsi direttamente le mani di sangue e nessuno sarà costretto a marcire nelle trincee e nel fango per giorni, settimane, mesi e perfino anni con la prospettiva concreta di morire. Una falsità assoluta, smentita incessantemente nelle diverse parti del mondo in cui si consuma la terribile orgia di violenza e morte rappresentata dalla guerra. Le fosse comuni traboccanti cadaveri, le violenze perpetrate sulle donne, la strage dei bambini e dei fragili, le famiglie intere trucidate dentro le proprie case dimostrano come non si sia mai abbandonata la più terribile delle armi, la bestialità umana. La turpe ferocia apparentemente sopita è sempre pronta a risalire dal di dentro, veleno al più appena acquietato ma mai spento, che tutto travolge e annienta, come dimostra la furia delle bestie di Hamas.
Nulla può giustificare il terrorismo di Hamas. È in gioco la sua stessa esistenza e per questo Israele ha il sacrosanto diritto all’autodifesa, di proteggersi e proteggere il proprio popolo, ma deve farlo nel rispetto del diritto internazionale e del senso di umanità, come è giusto per una democrazia.
Il conflitto israelo-palestinese va avanti da decenni e serve un’analisi seria che parta dalla complessità degli scenari, in cui le responsabilità per le incomprensioni e le derive più estremizzate non possono essere considerate solo pendenti da una parte. Inoltre non è possibile nascondere che da sempre le crisi del Medio Oriente sono la risultante del Grande gioco finalizzato all’egemonia in cui si sono cimentati prima gli imperi coloniali, poi le grandi potenze della guerra fredda e oggi le nuove potenze che, pur di guadagnare spazi di influenza, non esistano a soffiare sul fuoco degli antichi risentimenti, dello scontro ideologico e religioso. Pertanto l’azione terroristica di Hamas va inquadrata ricostruendo il filo rosso che lega alcuni avvenimenti passati e recenti. In questo conflitto è indiscutibile la responsabilità di Israele che continua ad occupare illegalmente territori contro il diritto internazionale, a discriminare e compiere soprusi contri i civili, a favorire l’espansione delle colonie nei territori occupati anche dando spazio e ruoli di governo all’estrema destra fanatica e razzista. I cosiddetti Accordi di Abramo, la normalizzazione delle relazioni tra alcuni stati arabi e Israele non hanno preso in considerazione la necessità di risolvere la questione palestinese e anzi hanno prodotto un’ulteriore marginalizzazione dell’Autorità Nazionale Palestinese, favorendo così l’affermarsi di Hamas. Il modello promosso dalla comunità internazionale Una pace, due Stati è stato escluso dal premier israeliano Netanyahu, interessato solo a soddisfare la richiesta delle frange politiche più estremiste del suo governo di un impiego massiccio dell’esercito a difesa degli insediamenti abusivi dei coloni nei territori occupati pur di restare al potere. Il prezzo pagato è stato quello di sguarnire i confini con la Striscia di Gaza, di concentrare l’attività di intelligence su altri fronti e di non prevedere l’attacco terroristico nella presunzione erronea di una imperforabilità del sistema di difesa israeliano.
Hamas ha approfittato della situazione, soprattutto della marginalizzazione e dello screditamento dell’ANP, per sferrare il suo attacco, avvalendosi del sostegno del regime di Teheran, il cui disegno geopolitico è alimentare il conflitto non solo nella Striscia di Gaza ma in tutta l’area, mirando a coinvolgere i gruppi jihadisti della Cisgiordania, gli Hezbollah libanesi e i miliziani siriani e iracheni, strumentalizzare la causa palestinese per imporsi come potenza regionale, puntare alla distruzione dello Stato ebraico e alimentare il conflitto ibrido con gli Stati Uniti.
Intanto sotto le bombe ci sono i civili israeliani e palestinesi, nati e cresciuti nell’odio e nella paura, alimentati da tutte le parti in un modo o nell’altro. Per tale ragione è quanto mai urgente fermare la guerra, impedire una volta per tutte che continuino a prevalere interessi estranei al popolo israeliano e al popolo palestinese e percorrere la via diplomatica nel rispetto del diritto internazionale, creando le condizioni per arrivare finalmente ad una pace regionale.
Due diritti si contrappongono e cercano di affermarsi: il diritto del popolo palestinese a vivere in pace in uno Stato ed il diritto del popolo israeliano di vivere in sicurezza nella propria terra. Esclusivamente un compromesso, certo faticoso e doloroso, può mettere fine a questo tragico conflitto. Il compromesso è vita e non accettarlo non è integrità ma fanatismo e morte.