Quando c’era il Duce i treni arrivavano in orario, ora che c’è Francesco Lollobrigida fanno fermate ad personam.
Il primo cognato d’Italia è imbarazzante, è emblema di una destra priva di senso delle istituzioni, che si muove nelle stanze del potere con la grazia di un elefante in una cristalleria.
Se per un momento tralasciamo che siamo nell’Italia del 2023 e il treno era ad alta tecnologia, con carrozze ad apertura automatizzata e non trainate da locomotive a vapore, gli ignari passeggeri del Freccia Rossa avranno creduto di trovarsi in una di quelle scene da film western, in cui i convogli erano presi d’assalto dai cattivi e bloccati in aperta campagna. Solo che nei western quanti fermavano il treno stavano in genere a terra, al più a cavallo e non erano seduti in classe Executive.
Lollobrigida si è mosso con piglio sorprendente. Avvezzi come siamo ad avere a che fare con politici solennemente accomodati sugli scranni del Parlamento o impegnati in sonnolente assemblee dai tempi indefiniti, l’agire risoluto del ministro non può lasciarci indifferenti. Nessuno se ne dispiaccia, ma in mente tornano certe immagini virili, immortalate dall’Istituto Luce, che ritraggono un Capo del Governo che trebbia il grano a torso nudo. Il caso vuole che ci sia un sottile filo rosso, o meglio nero, agricolo a legare le due vicende.
Sebbene la confusione sia la cifra caratterizzante l’attività ministeriale del primo cognato d’Italia, non è da escludersi che la fermata fuori programma possa essere stata determinata dal voler appurare, personalmente e in piena flagranza, le ragioni dell’imperdonabile infrazione alle rigorose tabelle di marcia del traffico ferroviario. Si sa l’ineffabile Matteo Salvini, ministro dei trasporti e delle infrastrutture, è facile a distrarsi, ad occuparsi d’altro e Lollobrigida ha pensato bene di andargli in soccorso.
In ballo però potrebbe esserci anche la ristorazione a bordo dei Freccia Rossa che, a giudizio di molti, non rispecchia l’eccellenza gastronomica del Bel Paese. Nell’attesa e per ingannare il tempo il ministro avrà acquistato un paino e si sarà accorto che era di gomma e il prosciutto di plastica, come ben sanno i viaggiatori. Vista la recente legge del Parlamento che vieta il cibo sintetico, tale riscontro empirico avrà fatto scattare l’istintiva reazione del responsabile del dicastero della Sovranità Alimentare. Il “Fermi tutti”, intimato con piglio decisionista, sarà stato male interpretato dal macchinista, il quale andando oltre i desiderata di Lollobrigida ha permesso che scendesse per porre rimedio all’intollerabile affronto al tradizionale buon cibo italico.
Qualcuno infine maliziosamente potrebbe ritenere che tale vicenda abbia invece ben più futili motivi. Lollobrigida, probabilmente poco esperto di trasporti pubblici, potrebbe aver pensato che sui Freccia Rossa funziona come sui bus urbani ed è sufficiente schiacciare l’apposito pulsante per le fermate a richiesta.
Al di là della facile ironia è bene riflettere sulla singolare vicenda.
Il ministro ha giustificato la propria richiesta di fermare il treno e scendere alla prima stazione utile con la motivazione di essere atteso a Caivano per l’inaugurazione di un parco urbano, simbolo della presenza dello Stato e della società civile in quella terra martoriata da criminalità organizzata e degrado, e che non sarebbe stato rispettoso per le persone in attesa arrivare in ritardo o addirittura disertare.
Il Freccia Rossa, partito da Torino e diretto a Salerno, aveva accumulato due ore di ritardo per un guasto sulla linea ferroviaria e il ministro ne era a conoscenza quando è salito a bordo, dal momento che risultava dai tabelloni della Stazione Termini ed era stato oggetto dei ripetuti annunci di Trenitalia. Nonostante ciò ha scelto di viaggiare in treno, probabilmente per dimostrare la propria vicinanza alla gente comune. Un gesto popolare o meglio populista che lo ha messo in difficoltà. Ed allora ha pensato di cambiare in corsa, facendo valere posizione e ruolo, i privilegi dell’essere parte della nomenclatura e ha fatto ricorso alla genialata della fermata straordinaria alla stazione di Ciampino. Una volta sceso dal treno con il suo seguito di collaboratori ed assistenti, è tornato a Roma Termini, ha preso l’auto blu ed ha raggiunto l’agognata meta. Proprio per non disattendere ai tanto sbandierati doveri istituzionali invero su quel treno il ministro, sapendone il ritardo, non doveva salire e doveva raggiungere Caivano usando i mezzi a disposizione del dicastero. Nessuno avrebbe menato scandalo o si sarebbe azzardato a contestarne l’utilizzo.
Come era prevedibile sono scoppiate le polemiche.
È irrilevante che la fermata straordinaria del Freccia Rossa a Ciampino poteva essere usufruita da tutti, come da annuncio diffuso sul treno, non abbia causato disservizi o costi aggiuntivi, come neppure rischi o ulteriori ritardi o che Trenitalia realizzerebbe fermate straordinarie al ricorrere di eventi particolari come le emergenze sanitarie, di ordine pubblico, di coincidenza / riprotezione dei clienti derivanti da gestione di anormalità o di circolazione perturbata. In ragione del proprio ruolo avrebbe dovuto astenersi e basta, anche per rispetto ai milioni di lavoratori e studenti, che ogni giorno ne passano di tutti i colori sui treni regionali e non possono nemmeno lamentarsi.
Il vero problema è che la classe politica oggi al governo non si sente amministratrice pro tempore ma padrona dell’Italia, tanto da credersi in diritto di bloccare i treni. Peraltro se si dovesse adottare il principio per cui è possibile fermare un treno come se fosse un taxi da parte di ministri, politici e amministratori o anche di comuni cittadini che hanno un appuntamento, importante e non rinviabile, e rischiano di arrivare in ritardo per guasti e disservizi, il sistema ferroviario si trasformerebbe in un caos. Senza infine considerare che la fermata straordinaria ed a richiesta di Francesco Lollobrigida odora, anzi puzza, terribilmente di privilegio.