L’Istituto Comprensivo Iqbhal Masih di Pioltello resterà chiuso il dieci aprile in occasione della festa per la fine del Ramadan.
Il vicepresidente del Consiglio e leader della Lega Matteo Salvini ha subito gridato all’islamizzazione del Paese e Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, ha chiesto agli uffici competenti di verificare le motivazioni didattiche della decisione e la loro compatibilità con l’ordinamento.
Il polverone mediatico e politico sollevato è apparso a tutti assolutamente strumentale e finalizzato soltanto a racimolare consensi in vista delle elezioni per il Parlamento Europeo, solleticando gli istinti identitari più regressivi e alimentando l’intolleranza.
La scelta di non tenere le lezioni è in linea con quanto accade in tutte le scuole in occasione della definizione della quota di autonomia del calendario. Generalmente a maggio, il Dirigente Scolastico presenta al Collegio dei Docenti una proposta per l’anno successivo riguardante l’aggiunta di due o tre giorni alle feste e alle pause previste dal calendario regionale. La decisione definitiva, rientrante nell’autonomia scolastica, è del Consiglio di Istituto. Dalle verifiche effettuate nessuna irregolarità è emersa, ancor più che sotto il profilo didattico l’obiettivo era non far perdere un giorno di scuola agli alunni di religione islamica, oltre il 40% dei frequentanti, i quali sarebbero comunque rimasti a casa.
La decisione della scuola di Pioltello non viola la laicità dello Stato, perché per garantire il diritto all’istruzione “a tutti” (art. 34 Cost.) ha soltanto sospeso le attività scolastiche in un giorno diverso dal solito ponte, e coniuga la libertà religiosa e il diritto all’istruzione, due principi fondamentali di ogni democrazia liberale.
L’Islam si pone spesso in tensione con i principi liberali e democratici e ne esistono varianti intolleranti e aggressive, ma uno stato liberaldemocratico, che non vuole tradire i suoi principi, deve fare chiarezza su questi e applicarli, senza farsi trascinare in discorsi identitari né assecondare paure di islamizzazione o narrazioni simili.
In gioco ci sono la libertà religiosa e la laicità delle istituzioni.
La libertà religiosa è altro rispetto alla tolleranza. La tolleranza è una virtù morale personale, significa avere principi diversi rispetto ad un altro e rispettarli senza reagire in modo violento. Le istituzioni sono tolleranti quando non sono liberali. Lo Stato confessionale tollera religioni diverse, se è liberale invece non dà priorità a una fede rispetto ad altre e riconosce il diritto dei cittadini di credere o non credere. La libertà religiosa, essendo un diritto fondamentale, non può essere limitata e non può dipendere dalla maggioranza.
La laicità dello Stato è un principio profondamente democratico e designa la neutralità confessionale delle istituzioni e il rispetto del pluralismo religioso. La convivenza di diverse fedi religiose, “egualmente libere” (art. 8 Cost.), esige che le istituzioni, che si impongono ai cittadini in quanto dietro di esse c’è il potere coattivo dello Stato, non possono prescrivere alcun credo.
Il principio di laicità può essere interpretato o nel senso che le istituzioni devono essere spogliate di riferimenti religiosi o nel senso che, anche se non assumono un credo religioso, è possibile entrarvi parlando il linguaggio della propria fede. Il primo è il modello francese, e comporta per esempio il divieto dell’uso del velo a scuola. Il secondo è quello inglese, tedesco e italiano in cui non esistono divieti del genere.
Nel nostro Paese l’interpretazione pluralista del principio di laicità fa si che si possa promuovere l’espressione di ogni fede religiosa nella sfera pubblica, a cominciare da quella cattolica, dalla forte presenza per ragioni storiche e culturali. Tuttavia per rispettare la libertà religiosa, intesa come possibilità di accesso alla sfera pubblica, e l’idea pluralista di laicità non è possibile rifiutare a priori le richieste delle altre fedi e, senza violare la laicità delle istituzioni, occorre adottare soluzioni pragmatiche, abbandonando l’idea di una applicazione deduttiva di principi astratti alla pratica quotidiana.
La laicità dello Stato sarebbe violata se venisse introdotta una nuova festività, anche se dobbiamo tenere conto però che se si applicasse rigidamente questo principio, dovrebbero cadere anche tutte le feste cristiane e dovremmo tornare al calendario della Rivoluzione Francese….
Occorre agire con intelligenza e pragmatismo, rispettare i principi fondamentali dello Stato ed evitare strumentalizzazioni, che creano soltanto tensioni e incomprensioni tra le diverse componenti della nostra società democratica e pluralista.