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1984 - 2024 - L'eredità politica di Enrico Berlinguer

Giu 16, 2024 Scritto da 

 

 

Il 7 giugno 1984 Enrico Berlinguer, durante un comizio elettorale a Padova in piazza delle Erbe, organizzato in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, ha un malore. Il segretario del PCI conclude faticosamente il suo discorso e subito dopo viene ricoverato in ospedale. Le sue condizioni appaiono critiche, tanto che di li a poco entra in coma e muore l’11 giugno. Il 13 giugno a Roma viene celebrato il funerale politico più imponente della storia della Repubblica: due milioni di persone scendono in piazza per rendere omaggio ad uno dei più grandi statisti italiani. La commozione è enorme e tocca donne e uomini di ogni schieramento.  
 
Enrico Berlinguer nasce il 25 maggio 1922 a Sassari ed inizia la sua carriera politica a quindici anni, entrando in contatto con i gruppi antifascisti, seguendo l’esempio del nonno Enrico e del padre Mario, oppositore fin dal 1922 del fascismo. Nel 1943 aderisce al PCI e diventa segretario della sezione giovanile della sua città. Arrestato con l’accusa di essere l’istigatore dei moti popolari antifascisti, resta in carcere cento giorni. Nel 1944 a Salerno conosce Palmiro Togliatti e viene chiamato a Roma alla segreteria nazionale della federazione giovanile comunista. Negli anni successivi diviene membro del Comitato Centrale e della Direzione del partito e segretario della Federazione Giovanile del PCI, incarico che lo porta alla presidenza della federazione mondiale della gioventù democratica. Vicesegretario del partito con Togliatti e in seguito responsabile dell’organizzazione, è eletto deputato nel 1968. Nel 1972 assume l’incarico di segretario nazionale del PCI fino alla sua morte. 
 
I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”.
 
È il 1981 quando Berlinguer, nella famosa intervista concessa a Eugenio Scalfari e pubblicata su Repubblica, pronuncia queste parole di eccezionale attualità per questo nostro tempo in cui la politica sembra aver smarrito se stessa e il senso della sua missione. Il cuore del ragionamento di Berlinguer è politico e la questione morale che pone al centro del dibattito pubblico non ha nulla a che fare con l’idea astratta di onestà o integrità morale, tantomeno è riducibile alla semplice questione giudiziaria, al coinvolgimento di esponenti politici in inchieste e processi, in quanto tali aspetti rappresentano la punta estrema di una degenerazione più profonda, la manifestazione della distorsione del rapporto tra potere e politica e della trasformazione dei partiti in comitati al servizio dei leader anziché luoghi di partecipazione.
 
Grazie alla sua lungimiranza, caratteristica propria dei veri statisti, Berlinguer è stato capace di cogliere con ampio anticipo le avvisaglie del processo degenerativo del sistema politico italiano, accentuatosi negli anni più recenti, caratterizzati da radicali mutamenti socioculturali, dalla fine delle grandi ideologie e anche di partiti e movimenti che a lungo hanno dominato la scena politica italiana. 
 
La capacità di lettura delle trasformazioni in atto e del senso profondo degli accadimenti era conseguente alla caratteristica dominante della sua personalità, permeata da un’idea morale alta della vita, ivi compresa quella politica, e dallo spiccato senso del dovere.
 
Berlinguer riteneva che, in ragione dell’esercizio della funzione di uomo pubblico, carico di molteplici responsabilità politiche, non era ipotizzabile una scissione etica tra la dimensione privata e quella pubblica. Questa convinzione profonda spiega appieno il suo impegno incessante nel tenere alto nel partito e in Italia il tema della questione morale. Purtroppo in tanti non vogliono sentire parlare di etica, anzi propugnano l’idea della distinzione e separazione del campo della morale da quello della politica.
 
La scissione tra la politica, intesa per lo più come carriera, successo, potere, forse anche corruzione da un parte e la morale dall’altra, Berlinguer non l’accettava, costituiva l’esatto contrario della sua concezione dell’integrità e la combatteva con tutti i mezzi.
 
Negli anni quanti hanno promosso e sostenuto la stretta interconnessione tra morale e politica sono stati definiti integralisti, moralisti e lo sarebbero realmente se pretendessero di dare agli altri lezioni che poi magari non applicano a se stessi. Il rispetto intransigente dei principi etici deve invece partire dalla concretezza della propria quotidianità, dal non far prevalere mai gli interessi personali o di gruppo sul bene comune.
 
È questa la lezione fondamentale di Enrico Berlinguer, una sfida seria e impegnativa,  personale e collettiva, da raccogliere per costruire una Italia più giusta e solidale, aperta al futuro e inclusiva di ogni diversità.
Pubblicato in Riflessioni

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