“Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui”.
(Pier Paolo Pasolini)
(Pier Paolo Pasolini)
È uno stillicidio quotidiano, che si consuma nell’indifferenza generale.
Assuefazione ed inettitudine sembrano prevalere dinanzi al numero inarrestabile di morti e feriti sul lavoro, una realtà considerata ormai normale, un prezzo da pagare tollerabile. Poco importa se invece possiede i tratti e la sostanza della disumanità, se le persone cessano di essere considerate tali e diventano esclusivamente ingranaggi di un meccanismo produttivo, svuotato di finalità che non siano il perseguimento del profitto, obiettivo da conseguire ad ogni costo e per il quale sono sacrificabili vita ed integrità fisica dei lavoratori.
Il cinismo economicistico è un pozzo senza fondo che si alimenta di se stesso, che si autogiustifica anche quando assume i tratti inconfondibili e inconfutabili della più rivoltante barbarie.
Sui campi dell’agro pontino un gran numero di braccianti agricoli lavora dall’alba al tramonto, sotto il sole cocente, in condizioni di sfruttamento. Alle cinque del mattino li incontri già in bicicletta e fanno ritorno a casa quando il sole è calato da un pezzo. Dodici, quattordici ore di durissima fatica alle dipendenze di un datore di lavoro che devono chiamare “padrone”. Ribellarsi è impossibile, pena la perdita del lavoro e l’allontanamento. Per sopportare la fatica, il dolore alla schiena e alle mani, le frustrazioni psicologiche, le violenze fanno uso sovente di oppio, metamfetamine ed antispastici. Insomma considerati alla stregua delle bestie da soma, queste donne e questi uomini si drogano per lavorare come schiavi e permetterci di imbandire le nostre tavole.
Schiavitù non è avere necessariamente una catena alla caviglia.
Schiavitù è violazione dei diritti umani.
Schiavitù è essere impossibilitati ad esercitare i propri diritti di persone e lavoratori.
Schiavitù è non essere liberi di denunciare pubblicamente la propria condizione.
Schiavitù è la negazione dei diritti sociali.
Schiavitù è essere vittime di un sistema di sfruttamento organizzato.
Schiavitù è non avere la busta paga di cui si ha diritto ma solo di qualche centinaio di euro, qualche volta integrata con una manciata di soldi in nero.
Schiavitù è essere vittime di incidenti automobilistici mentre si percorrono strade pericolose in bicicletta.
Schiavitù è morire di lavoro.
Schiavitù è, in caso di infortuni, essere scaricati nelle vicinanze del pronto soccorso, con l’accompagnatore che si allontana in fretta per evitare di essere identificato.
Schiavitù è essere abbandonati per strada feriti e agonizzanti, come cose ingombranti, rifiuti inutili di cui disfarsi, senza pensarci troppo e senza pietà.
Quanto accaduto qualche giorno fa a Satnam Singh, operaio di nazionalità indiana di 31 anni, è spaventoso. Coinvolto in un incidente sul lavoro in un’azienda agricola vicino a Latina, è stato agganciato infatti da un macchinario avvolgi plastica a rullo trainato da un trattore, anziché essere soccorso è stato caricato sul furgone dei caporali e scaricato poi in strada, davanti all’abitazione dove viveva con la famiglia, a chilometri di distanza. È stato abbandonato senza un braccio, lasciato dentro una cassetta per la raccolta degli ortaggi in mezzo ai campi, e ferito agli arti inferiori.
Soccorso con drammatico ritardo e trasportato in eliambulanza all’Ospedale San Camillo di Roma, Satnam Singh non ce l’ha fatta. Il tempo trascorso tra l’incidente e l’intervento dei sanitari gli è stato fatale.
Satnam Singh non aveva uno straccio di contratto di lavoro.
Non siamo di fronte alla scena raccapricciante di un film dell’orrore e tantomeno solo all’ennesimo incidente sul lavoro, di per sé gravissimo, preoccupante ed evitabile se venisse rispettata la legge e garantita la sicurezza dei lavoratori, ma a qualcosa di raccapricciante, alla barbarie dello sfruttamento che calpesta la vita, la dignità e la salute delle persone e soprattutto alla violazione di ogni elementare regola di civiltà.
La Procura della Repubblica di Latina ha aperto un’inchiesta. È importantissimo che venga ricostruita la vicenda e si accertino le responsabilità personali di tutti coloro che sono coinvolti.
Tuttavia non basta, non può bastare.
È finito il tempo dei silenzi, delle lacrime e delle parole di circostanza rigorosamente del giorno dopo di istituzioni troppo spesso inerti e di certa politica che non assume mai posizioni nette temendo di perdere consensi, d’alienarsi le simpatie di quanti tirano le fila del caporalato e di quella parte dell’imprenditoria agricola che ricorre al lavoro nero.
Sono silenzi, lacrime e parole che fanno male.
Sono silenzi, lacrime e parole di chi non ha credibilità e dignità ed ha perduto la propria umanità.