È ormai da tempo che nel nostro linguaggio sociale, politico ed istituzionale abbiamo rimosso la parola statista. L’Italia avrebbe bisogno di figure autorevoli, di statisti appunto, ma la scena politica è occupata da politicanti mediocri, abili a promuovere, controllare e indirizzare i consensi e ad ottenere successi in una prospettiva per lo più personale e di corto respiro.
Ben altro è invece l’orizzonte dello statista, il quale guida i processi politici e sociali, si assume responsabilità gravose e prende decisioni importanti, persegue il bene della comunità spesso in solitudine e controcorrente, guarda avanti e individua orizzonti più avanzati, non annusa e solletica gli istinti della propria gente ma si fa carico del destino di quanti è chiamato a rappresentare.
Lo statista conosce più il crucifige che l’osanna, più l’ostilità e le incomprensioni che i grandi consensi. Gli vengono preferiti i pifferai magici, gli abili propagandisti, i venditori di promesse fasulle e irrealizzabili. E così al vertice delle istituzioni, ad ogni livello, ritroviamo per lo più nani sulle spalle di altri nani e con vista zero.
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, prima donna a ricoprire un così alto incarico politico, ha dimostrato di non avere caratura da statista e nemmeno da leader consapevole del proprio ruolo istituzionale. Nonostante i quasi due anni alla guida del governo, continua a presentarsi ai cittadini come capo di una fazione politica e non come rappresentante della comunità nazionale e preferisce la polemica partigiana e la propaganda spicciola.
Considerando semplicemente quanto avvenuto nelle ultime settimane, la Presidente del Consiglio:
- avrebbe potuto rivendicare il buon successo elettorale ottenuto alle europee, ma anche riconoscere la sconfitta alle amministrative;
- avrebbe potuto assumere l’impegno a tenere unita l’Italia e a rafforzare l’Europa e le sue istituzioni in questo nostro tempo flagellato dalle guerre, dall’incertezza economica e da una profonda crisi sociale e culturale;
- avrebbe potuto stigmatizzare parole e comportamenti di taluni esponenti della sua maggioranza, poco consoni ai ruoli politici ed istituzionali ricoperti;
- avrebbe potuto assumere l’impegno, personale e del suo governo, a fare di più e meglio per l’Italia, a perseguire il bene concreto di tutti i cittadini, a prescindere dal loro orientamento politico;
- avrebbe potuto farsi promotrice di uno spirito costituente, all’insegna del dialogo e della costruzione di una democrazia autenticamente partecipata, restituendo centralità al Parlamento e scongiurando che riforme come premierato, giustizia e autonomia differenziata, approvate a colpi di maggioranza, rappresentino soltanto una torsione e una forzatura delle regole costituzionali, messe in atto da una parte contro l’altra, come è accaduto frequentemente negli ultimi anni. Le istituzioni sono patrimonio di tutti e andrebbero tutelate a prescindere dalle transitorie maggioranze parlamentari;
- avrebbe potuto contribuire in modo costruttivo a disegnare i vertici delle nuove istituzioni europee, invece di insistere con la propaganda nazionalista e di inseguire derive sovraniste, che hanno isolato il nostro Paese e lo hanno ridotto a mero spettatore di decisioni assunte dagli altri partner europei.
Giorgia Meloni invece ha deciso di non dismettere i panni della capopopolo, di restare prigioniera di una visione ideologica populista ed estremista, di non uscire dalla nicchia rassicurante che si è ritagliata e di rinunciare a pensare da statista.
I toni propagandistici e vittimistici usati contro gli avversari politici dimostrano una difficoltà politica evidente, che la Presidente del Consiglio tenta di mascherare.
L’accusa alla sinistra di mandare in giro liste di proscrizione, di usare metodi violenti e toni da guerra civile è surreale, soprattutto perché si tratta di affermazioni provenienti dalla leader di un manipolo di parlamentari squadristi, che picchiano nell’aula della Camera dei Deputati un parlamentare dell’opposizione, colpevole di voler consegnare la bandiera italiana al ministro Calderoli, che è orgogliosa dei ragazzi della Gioventù Nazionale che inneggiano ad Hitler e Mussolini, usano toni razzisti ed antisemiti e irridono una senatrice ebrea del loro stesso partito e di quelli di Atreju che, oltre a fare il saluto romano, per tutta la campagna elettorale hanno messo alla gogna pubblica e digitale giornalisti come Fazio, Gruber e Formigli e intellettuali come Scurati, Saviano e Canfora.
Il sistematico e indecente ricorso a balle politiche spaziali per confondere l’elettorato e accreditare una narrazione totalmente scollegata dalla realtà completa il quadro.
La ciliegina sulla torta è stata la proposta bislacca e irricevibile di Ignazio La Russa, Presidente del Senato e seconda carica dello stato, di abolire i ballottaggi per l’elezione dei sindaci dato che l’elettorato di destra è più restio ad andare a votare al secondo turno. Insomma si cambiano le regole per garantirsi la vittoria, a prescindere e in barba ai principi della democrazia.
L’Italia davvero non si merita questo livello di indecenza.