“Nessuno può alienare a favore d'altri il proprio diritto naturale, inteso qui come facoltà di pensare liberamente”. (Baruch Spinoza)
Le nostre giornate sono talmente avvolte in un trambusto di suoni e voci da essere convinti che il silenzio sia anormalità, lo viviamo come fonte di ansia e disagio e lo rifuggiamo. Televisori ronzanti, radio gracchianti, brani musicali ascoltati in cuffia o in sottofondo, smartphone connessi compulsivamente sui social, computer sempre in funzione, luoghi di lavoro o svago traboccanti presenze ci rassicurano, ci scampano dal rischio di ritrovarci in silenzio e soli con noi stessi, ci permettono di schivare quanto non vogliamo vedere, di non misurarci con un pensare cosciente e profondo.
Oggi tutto orbita intorno all’estetica, all’apparire, all’appagare bramosie istintuali e immediate. Per leggerezza o trascuratezza abbiamo dismesso la capacità di indagare, di interrogarci, di cogliere l’ulteriore, di sviluppare idee originali, di interessi e progetti non indotti, di impiegare il tempo liberi da imposizioni. Domina un conformismo anestetizzante, un modaiolo standardizzarsi e quanti si arrischiano a pensare, a offrire simboli antagonisti, alternativi e dissonanti creano scompiglio, rompono equilibri, aprono prospettive e innescano dialoghi dagli esiti imprevedibili, suscitano conflitti, arroccamenti e reazioni dispotiche e intolleranti.
Siamo convinti di esercitare il pensare, quando invece ci siamo rintanati in un mondo artificioso, in cui il compito di cercare le risposte a paure, dubbi e incertezze l’abbiamo delegato ad altri, ai paladini di slogan e idee semplicistiche, emotivamente coinvolgenti e apparentemente di buon senso ma non stimolanti la nostra capacità analitica e percettiva del vero e del reale. Confondiamo il pensare con l’appropriarci di idee preconfezionate, riempiamo le nostre giornate di attività funzionali a non sentire il richiamo della razionalità, non cresciamo nella coscienza di quanto siamo e accade e non evolviamo culturalmente.
Pensare è un lusso che pochi si permettono. Potrà sembrare un’affermazione assurda e abnorme. Siamo iperconnessi, sappiamo tutto di tutti con un click e non sappiamo nulla, se non quello che gli altri vogliono farci conoscere. Prendiamo spunto da internet, dai social media e non ci domandiamo se quanto vediamo, leggiamo e pensiamo è una nostra elaborazione, dipende dalle nostre esperienze e relazioni, quali effetti produce il ragionamento altrui in noi, articolato e offerto in modo da colpirci. Le affermazioni urlate e ripetute ossessivamente, gli slogan semplificatori di problemi complessi, i tecnicismi astrusi producono la fatica di elaborare un giudizio ponderato. Enfatizzare ritardi, negatività e criticità, demonizzare le scelte a prescindere se siano giuste o sbagliate, assolutizzare il dettaglio e il relativo significa creare una narrazione falsata, condizionare la percezione del reale, che diviene irrilevante rispetto alla convinzione indotta. Non abbiamo bisogno di vedere amplificate e rese incontrollabili le paure, finalizzate all’incondizionata affermazione di interessi particolari, di farci irretire da promesse irrealizzabili, ma di tornare a credere e sperare in una società più giusta, non guardando con sospetto il vicino, vivendo in armonia tra diversi e perseguendo lo sviluppo possibile.
Pensare non si concilia con la superficialità perché significa dissodare pazientemente i campi della nostra umanità, cercare ciò che ha valore e muove i processi in cui siamo immersi. Il pensiero non è un sistema precostituito di idee, ma è desiderio di capire, è porre domande senza dubitare di ogni cosa divenendo prigionieri dello scetticismo, è non lasciare che intorno a noi tutto fluisca via senza toccarci, è rifuggire l’immobilismo.
Pensare non è una analisi asettica e sterile, ma è piegarsi sulla realtà, farla propria, discernere le priorità, riconoscere il valore e dare senso a quanto diciamo e facciamo, avendo un punto di partenza e uno di approdo, è assunzione di responsabilità perché conoscere non è mai fine a se stesso e sganciato dall’agire.
Pensare non è esercizio solitario, ma relazionarci con l’altro da noi. Solo attraverso il confronto, che è prioritariamente ascolto, possiamo capire, scoprire il giusto e il vero e imparare ad operare. La verità è una scoperta che nasce dal dialogo e dalla condivisione di prospettive e sguardi diversi.
Amano il pensare quanti non si accontentano di inabissarsi nel materialismo e nella massificazione, considerano il pensiero critico il motore della storia, la via per il suo perenne rinnovamento, per guardare oltre, stabilire nuovi legami e promuovere integralmente l’uomo, aprendo le porte ad un vivere umanamente più bello e stabile e lo osteggiano quanti temono la sua forza di emancipare da subalternità e inquisizioni, di orientare la cultura e connotare regole e comportamenti, da quanti detengono il potere e vorrebbero controllare menti e sentimenti, gestire e asservire le persone ai propri fini autoconservativi.
Dobbiamo diffidare fortemente di quanti vogliono convincerci, inculcarci le loro idee, impedire la nostra libertà di espressione e riappropriarci del ragionare creativo e trasformativo, metterci davanti ai nostri pensieri, domandarci qual è la loro origine, da dove sorgono, da dove ci giungono, da quando ne siamo persuasi e quali prove abbiamo della loro validità. Tempo e silenzio sono indispensabili per approfondire e ricercare e non dobbiamo temere di inoltrarci per strade ignote e dalla meta indefinita. Così quando giungerà il momento delle scelte non saremo impreparati, marionette nelle mani di altri, a quali abbiamo delegato la nostra facoltà primaria e il nostro agire sarà veramente nostro, espressione di una libertà che affonda le radici in una coscienza formata ed educata.