La politica setina è avvolta in un grigiore straniante, in una piccolezza di prospettive demotivante, che genera i frutti amari della rassegnazione, del disinteresse e del disimpegno.
La passione ideale è venuta meno da tempo, l’aspettativa nei partiti e nei movimenti è scemata e la sfiducia nelle istituzioni rappresentative è ormai conclamata, tanto che l’astensionismo cresce ad ogni tornata elettorale.
Eppure come non mai tanti leader affollano il proscenio, si agitano e sgomitano per guadagnarsi un posto al sole, un titolo o una carica di cui fregiarsi, poco importa se priva di sostanza, solo formale e per conto terzi.
Prevale unicamente il desiderio di apparire, di appagare il proprio ego e il senso del limite e della misura sembrano essere stati smarriti nella selva oscura di ambizioni prive di idealità e della convinzione politicamente sciagurata “dell’uno vale uno” o meglio “dell’uno vale l’altro”, frutto avvelenato di un certo populismo deleterio.
L’umiltà di riconoscere la propria inadeguatezza a ricoprire ruoli o svolgere funzioni , di non possedere capacità e competenze per tutto, di non essere uomini e donne buoni per qualunque stagione e che tutto nella vita ha il suo tempo è virtù piuttosto rara.
La nostra città ha attraversato stagioni entusiasmanti in termini di impegno e partecipazione popolare e altre di risacca. Nel passato idealità forti si sono scontrate, a volte con durezza, ma mai come in questo tempo è stato in discussione il senso del bene comune, il battersi per conquistare spazi sempre più ampi di democrazia, di diritti e libertà per tutti. Sia pur distanti per appartenenza ideale e politica, per quanto possibile l’obiettivo è stato quello di non far prevalere il particolare, l’interesse personale a scapito di quello generale. Errori sono stati commessi, ovviamente inevitabili, ma la politica si sforzava quantomeno di leggere gli eventi e di costruire proposte avanzate socialmente.
Oggi invece la politica sembra ridursi all’uso spregiudicato delle parole, al linguaggio greve e sprezzante, sui social e non solo, alla propaganda disinvolta e fine a se stessa, alle promesse tanto strabilianti quanto impossibili, che ben presto vengono lasciate cadere nel dimenticatoio e più di ogni altra cosa si caratterizza per l’incapacità di assumersi la responsabilità di scegliere l’utile e non il conveniente, di pensare non a fidelizzare il proprio pacchetto inossidabile, o presunto tale, di consensi ma di mettersi al servizio della comunità.
Non si tratta di essere nostalgici del passato, di avere la testa rivolta all’indietro o di coltivare l’illusione di un ritorno ad mondo ideale ormai venuto meno, poiché questo significherebbe condannarci a essere irrimediabilmente perdenti e concretamente inutili.
Serve una politica nuova al passo con i tempi, capace di entrare nelle vite delle persone e di sporcarsi le mani con realtà spesso nascoste nelle pieghe delle esistenze, con situazioni anche drammatiche e dolorose, di ascoltare e capire, di stupirsi dinanzi all’inaspettato e di misurarsi con problemi in apparenza piccoli e spiccioli ma che rappresentano montagne insormontabili per chi deve portare il peso dell’abbandono, della solitudine, della mancanza di risorse minime per tirare avanti dignitosamente.
L’avversario più duro da battere è il nanismo politico di gran parte della classe politica, in particolare di quanti confondono l’autostima con il narcisismo, si nutrono di rancore per i rovesci subiti e coltivano improbabili sogni di rivalsa, credono di essere i migliori, i più bravi, i detentori esclusivi delle soluzioni giuste e per questo si relazionano in modo sprezzante e astioso verso chi dissente.
Politica seria e buona amministrazione non possono far rima con partecipazione e condivisione delle scelte giusto il tempo della campagna elettorale, terminata la quale le belle promesse cadono nel dimenticatoio. Elezione poi non significa divenire padroni delle istituzioni, i voti non sono una prodigiosa sacra unzione che rende intoccabili e infallibili, al punto che quanti osano spingersi versi i lidi eretici della critica devono sapere che il loro destino è la condanna, la messa all’indice e la gogna mediatica.
Segnali interessanti si levano in questo grigiore che tutto ricopre, provenienti non dalla politica politicante, concentrata a baloccarsi in una autoreferenzialità sorda e cieca, ma da tanti cittadini i quali si uniscono per dare voce al proprio disagio, al proprio dissenso per scelte non condivise e valutate sbagliate, per la mancanza di servizi e per un tessuto cittadino sfilacciato.
C’è vita nella società civile setina e questo è un bene, ma servirebbe il coraggio di ravvivare il sacro fuoco della partecipazione democratica, abbandonando il senso di rigetto e facendosi protagonisti del cambiamento.