La (il) Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ogni qualvolta nubi minacciose si addensano sul suo governo sguscia via, si eclissa e tace. Imbarazzo o ipocrisia, la sostanza non cambia. Ultima in ordine di tempo è la sua brillante assenza in occasione del dibattito e del voto del Parlamento sulla mozione di sfiducia presentata contro la Ministra del Turismo, Daniela Santanchè. Presa dagli innumerevoli e pressanti impegni legati al proprio ruolo istituzionale, Giorgia Meloni considera la sua presenza in Parlamento un’inutile orpello, una perdita di tempo o nella migliore delle ipotesi superflua, con buona pace di chi ancora considera la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica luoghi essenziali della nostra democrazia.
La mozione di sfiducia, come era prevedibile, non è passata. La maggioranza ha fatto quadrato intorno alla ministra e ha salvato le apparenze, evitando che le molte contraddizioni di una coalizione tutt’altro che coesa potessero trasformarsi in una voragine politica.
Daniela Santanchè si è difesa da sola e lo ha fatto in maniera colorita, com’è nel suo stile, e senza tanti riguardi per la sede istituzionale dove stava pronunciando il suo discorso. Aspettarsi sobrietà forse era troppo, ma che potesse spingersi fino a tal punto neanche i più pessimisti se lo aspettavano.
La ministra di rosso scuro vestita, dettaglio niente affatto meramente cromatico, ha incentrato gran parte del suo intervento sul suo modo di vestire, di porsi e di apparire e non ha mancato di ricorrere alla chiave vittimistica, cifra caratterizzante invero lo stile del governo di cui fa parte. Rivolta ai banchi dell’opposizione ha affermato: “Per voi sono l’emblema di tutto ciò che detestate, porto i tacchi di 12 centimetri, ci tengo al mio fisico, amo vestire bene, sono quella del Twiga e del Billionaire”. E poi ricorrendo ad una iperbole a dir poco imbarazzante ha chiosato: “Rappresento il male assoluto per voi”. Cita perfino le ormai famose borse, probabilmente sperando di neutralizzare la prevedibile ironia dell’opposizione su quelle false che avrebbe regalato a Francesca Pascale per ingraziarsi Silvio Berlusconi. Insomma Daniela Santanchè è intervenuta nell’aula di Montecitorio non tanto per difendere se stessa, dare spiegazioni sul proprio operato personale e politico e sostenere l’azione del governo di cui è parte, ma per promuovere il suo brand.
E così alternando attacchi al centrosinistra con toni allusivi e arroganti a momenti di autocommiserazione, come quando ha affermato di sentirsi vittima di un “ergastolo mediatico”, è riuscita a trovare un po’ di tempo anche per esaltare la sua straordinaria opera al ministero del Turismo e per rivendicare la solidale vicinanza della maggioranza e del governo. In effetti i posti del governo in aula in questa occasione non erano vuoti, accanto a lei c’erano diversi ministri e sottosegretari ma nessuno dei leader della maggioranza. Segnale tutt’altro che trascurabile politicamente, non solo perché si associa alla ormai reiterata fuga della (del) Presidente del Consiglio dal confronto in Parlamento sui disastri politici del suo governo, ma soprattutto perché si accompagna alle parole di Massimo Ruspandini, vicepresidente di Fratelli d’Italia alla Camera, il quale agli apprezzamenti per l’intervento ha aggiunto i ringraziamenti “per quello che ha detto al termine e cioè che, qualora venga malauguratamente rinviata a giudizio per la vicenda Inps, lascerebbe il suo incarico governativo”. A Ruspandini, in buona sostanza, è stato affidato il compito di accompagnarla alla porta al posto della (del) Presidente del Consiglio, la quale sulla questione, a differenza di quanto accaduto con Delmastro, non ha voluto o forse non ha potuto metterci la faccia. Metamorfosi straordinaria quella di Giorgia Meloni, che da campionessa mondiale della richiesta di dimissioni degli avversari politici quando era all’opposizione, oggi al governo si è scoperta ipergarantisca, sebbene esclusivamente con i propri sodali.
Attraverso la sguaiataggine di talune affermazioni, la rivendicazione di cattivo gusto della sua ricchezza e l’arroganza di ritenersi intoccabile e sopra la legge, la ministra del Turismo ha cercato di distogliere l’attenzione dagli aspetti sostanziali che hanno spinto le opposizioni a presentare la mozione di sfiducia.
Probabilmente a Daniela Santanchè non è chiaro che ai cittadini italiani non importa nulla se porta il tacco 12, magari anche sulla sabbia del Twiga o in Tribunale dove è già comparsa e presto dovrà di nuovo comparire, o delle sue borse Hermes. Piuttosto dovrebbe chiarire come ha gestito le sue società quotate in Borsa, se i bilanci presentati sono corretti o sono stati taroccati, se ha pagato dipendenti e fornitori, se ha fatto lavorare i propri dipendenti nonostante fossero in Cassa integrazione COVID, frodando l’INPS. Di fronte a questioni di tale portata etica, buttarla sull’invidia sociale è decisamente indecoroso soprattutto per il ruolo ricoperto. Senza contare che simili argomentazioni nelle aule di giustizia non sono spendibili e dovrà portare elementi più solidi e convincenti se vorrà dimostrare la propria innocenza e provare di essere quella imprenditrice e manager di successo che sostiene di essere, immagine di sé questa che stride non poco con quanto accaduto in questi anni, con il fatto che alcune società da lei amministrate o sono state salvate dalla decozione grazie ad un commissario nominato dal tribunale o sono finite in liquidazione.
In definitiva Daniela Santanchè si compri tutte le borse, i vestiti e le scarpe che vuole, basta che dimostri che lo fa con i soldi suoi e non a spese di creditori, azionisti, lavoratori e INPS.