“Essere nero negli Stati Uniti non dovrebbe equivalere a una sentenza di morte” (Jacob Frey, sindaco di Minneapolis – Minnesota).
L’omicidio di George Floyd da parte di Derek Chauvin, Ufficiale della Polizia di Minneapolis, occupa da settimane le pagine dei giornali, i notiziari televisivi, ha vasta eco sui social. George Floyd è l’ultimo di una lunga lista di cittadini afroamericani uccisi dalla polizia, come Eric Garner soffocato durante un tentativo di arresto a State Island, New York, Philando Castile ucciso vicino a Minneapolis e segue altri casi di violenza contro persone di colore, come Ahmaud Arberi, morto a Brunswick, nel sud della Georgia, per le ferite da arma da fuoco riportate mentre cercava di scappare da due uomini, padre e figlio, che lo avevano inseguito mentre faceva jogging.
Secondo Amnesty International la polizia USA commette frequenti violazioni dei diritti umani. Tra i 25 e i 29 anni l’arresto è la sesta causa di morte per gli uomini. Un afroamericano ha il triplo delle probabilità di essere ucciso rispetto a un bianco e il doppio rispetto a un latinos. Nel 2019 sono state 1099 le persone uccise dalla polizia e numerosi gli episodi di ricorso inutile, eccessivo e illegale alla forza. Negli USA mancano norme regolanti l’attività della polizia coerenti con il Diritto Internazionale, per il quale l’uso della forza è legittimo solo come estrema ratio e come risposta a una minaccia immediata alla vita di altre persone. I controlli di polizia avvengono seguendo le indicazioni del Racial Profiling, per il quale il fattore etnico unito ad altri elementi induce a sospettare le persone e a reagire a prescindere dai dati oggettivi: in autostrada un bianco corre in auto perché ha fretta di andare a lavoro, uno di colore perché ha compiuto una rapina e sta scappando. Assurdo ma è così. La diffusione incontrollata delle armi, infine, fa si che la polizia non sa se il fermato è armato, è condizionata dalla paura di reazioni violente e numerosi agenti rimangono uccisi.
La morte di George Floyd è divenuta un caso politico. Immediatamente è partita una campagna spontanea di attori, cantanti, personaggi pubblici e sportivi contro il razzismo, la segregazione e gli abusi della polizia. Cortei e proteste pacifiche hanno invaso le città americane e sono culminate nella grande marcia di Washington. A manifestare sono gli afroamericani, i più prossimi alla vittima, ma anche bianchi, latinos, donne e esponenti delle minoranze. Negozi assaltati e saccheggi sono fatti gravi, ma si è trattato di episodi isolati, opera di gruppi radicali, di profittatori e di suprematisti bianchi, estremisti di destra intenzionati a fomentare i disordini nel folle tentativo di scatenare la guerra civile e costruire una nazione razzialmente pura, come ha confermato il Procuratore Generale William P. Barr, dai quali ultimi non ha mai preso le distanze il Presidente Trump, che con i suoi interventi sui social, il suo brandire blasfemo Bibbia e fucile esacerba le tensioni interrazziali nella speranza di lucrarne elettoralmente. Importanti esponenti repubblicani si sono dissociati da Trump. L’ex capo del Pentagono, il generale James Matthis, lo ha accusato di violare la Costituzione quando ha ipotizzato l’uso dell’esercito contro i dimostranti. In molte città i poliziotti, come lo sceriffo di Flint Chris Swanson, hanno solidarizzato con i manifestanti, rifiutandosi di sostenere a priori i colleghi picchiatori e assassini. L’irrisolta questione razziale, soprattutto nel Middle West, si è saldata a diseguaglianze, precarietà, perdita di diritti e svuotamento della democrazia, fattesi insostenibili con la pandemia, che ha reso più fragili latinos e afroamericani rispetto ai bianchi, li ha esposti a tassi di mortalità per Covid-19 più elevati e agli effetti devastanti della crisi economica.
Le piazze di tutto il mondo si sono riempite di dimostranti. La lotta a razzismo, abusi della polizia e discriminazioni riguarda non solo gli USA ma tutte le nazioni, Italia compresa. La crisi economica, le diseguaglianze, l’insofferenza verso l’immigrazione che colpiscono il nostro paese rischiano di innescare conflitti tra ultimi e penultimi, anche grazie a quanti usano in modo irresponsabile media e propaganda e agiscono su paure e frustrazioni di persone alla ricerca del capro espiatorio da incolpare per le proprie difficoltà. In Italia il razzismo non è un fenomeno occasionale ma profondo e strutturale, con retaggi storici e culturali. La sua recrudescenza è effetto del malessere sociale diffuso, sul quale occorre intervenire per scongiurare derive pericolose sia aggredendo le povertà economiche, valoriali e culturali, sia apportando correttivi lessicali e comunicativi. Parlare di intolleranza per il diverso e non di razzismo è sbagliato, significa spostare l’attenzione dall’aggressore all’aggredito, giustificare la discriminazione a causa della diversità della vittima. Antiziganismo, antisemitismo, antimeridionalismo, omofobia, l’equazione falsa immigrazione / invasione di massa, nascono e si alimentano nello stesso brodo di coltura. Il razzismo non si manifesta solo con l’affermazione del concetto di razza, scientificamente infondato e aberrante, ma anche sostenendo l’incomponibilità delle diversità culturali, etniche, di genere e l’impossibilità di trovare un terreno condiviso di valori e principi democratici, tollerando abusi e violenze gratuite della polizia, criminalizzando gli immigrati per cui, in barba alle statistiche e alla realtà, sono tutti stupratori, ladri e assassini, escludendoli dalla titolarità di diritti e doveri, lasciandoli in balia di sfruttatori senza scrupoli che li impiegano nel lavoro nero in condizioni disumane e con salari indegni, fomentando l’identitarismo settario delle comunità e ostacolando le politiche di integrazione e accoglienza.
Non si tratta di distribuire briciole di compassione, aiuto e solidarietà, di esprimere parole di condanna degli atti di razzismo, di essere buonisti (sempre meglio di essere cattivisti comunque), ma di riconoscere dignità e diritti alle persone e in particolare alle diverse minoranze. È questione di civiltà e prima ancora di umanità. L’esperienza degli USA ci insegna che razzismo, emarginazione, comportamenti discriminatori provenienti dalle istituzioni, povertà e violenza lasciati prosperare e anzi istigati in modo irresponsabile, sono una miscela esplosiva, foriera di spaccature sociali dagli effetti catastrofici per la tenuta delle nostre comunità.