Annunci roboanti, proclami di svolte epocali, fumisterie propagandistiche spacciate per risolutive riforme, in perenne attesa di panacee imminenti e sempre rinviate ad un futuro imprecisato, ci siamo smarriti nella selva oscura dei contorcimenti verbali, dell’impiego a sproposito di concetti e termini.
Nello straniamento generale, divorante le speranze di quanti il cambiamento lo attendono con sincerità e da tempo, le parole sono state violentate, ridotte a suoni vuoti, incapaci di esprimere contenuti, idee e valori. Riforma è divenuto un termine abusato, depotenziato, un simulacro di promesse inarrivabili e inseguite alla rinfusa, realizzazioni disfunzionali e utili solo a far rimpiangere il meno peggio precedente.
Con ormai alle spalle un esercizio ultraventennale della professione d’avvocato, posso testimoniare che la giustizia è campo prediletto delle scorribande sedicenti riformatrici della politica. Non vi è stato Ministro di Grazia e Giustizia che non si sia proclamato detentore della ricetta giusta e risolutiva dei problemi atavici che l’affliggono. Lungi anche solo dal pensare di fare di tutta l’erba un fascio, visto che ministri autorevoli e consapevoli del ruolo ricoperto, pur se pochi, negli anni ci sono stati, scetticismo e diffidenza sono stati i sentimenti prevalenti, immancabilmente confermati dall’incapacità a tradurre la palingenesi promessa in fatti. Incompetenti, teste di legno, scalda sedie, ventriloqui e tutori d’interessi particolari, perfino ingegneri specializzati nell’abbattimento dei rumori hanno occupato quella per nulla comoda poltrona, blaterando inutilità e fomentando con inettitudine e interventi errati e peggiorativi il disastroso stato organizzativo e morale della giustizia.
Sarebbe grave disonestà intellettuale e goffo tentativo di negare l’evidenza, puntare il dito accusatore e scaricare le colpe solo sulla politica, non riconoscendo che anche altri sono imputabili del suo cattivo funzionamento. Se vogliamo che i cittadini tornino ad aver fiducia nella giustizia occorre rifuggire le spiegazioni semplicistiche e ipocritamente assolutorie per gli uni o gli altri e al contempo evitare generalizzazioni, l’addebito delle responsabilità a tutti indistintamente.
Ogni comunità umana è variegata, non marcia mai in perfetta sintonia di valori etici e morali. Miserie e grettezze, egoismi e carrierismi, scorrettezze e astuzie per giungere ad occupare posizioni e potere sono parte della nostra esperienza, ma se li lasciamo prevalere nella società e nelle istituzioni, se il darwinismo dei più scaltri e ammanicati diventa regola accettata e favorita, se non li valutiamo mali da isolare e debellare, alla fine il disastro è garantito.
In primo luogo guardando alla categoria cui appartengo, non assolvo e giustifico tanti comportamenti castali intollerabili, l’incapacità spesso di fare seriamente pulizia al proprio interno, censurando e allontanando quanti calpestano e squalificano la dignità dell’avvocatura. L’esame d’abilitazione è un percorso a ostacoli, rivolto a scoraggiare ed escludere, un debito da espiare per non si sa bene quale colpa atavica, invece che itinerario formativo all’esercizio di una professione al servizio dei cittadini e a tutela dei diritti. Una volta entrati poi è una sorta di liberi tutti generalizzato: il rispetto delle regole deontologiche ed etiche è un consiglio, non un obbligo. Un paradosso per dei cultori della legge. Gli avvocati in stragrande maggioranza sono professionalmente seri e ineccepibili, perciò è indispensabile un’opera di rimozione degli indegni e di riqualificazione che aiuti a recuperare la credibilità perduta.
Il vaso di Pandora da qualche tempo scoperchiato, ha mostrato le distorsioni interne all’altro protagonista della giustizia, la magistratura. Senza entrare nel merito di indagini e responsabilità, il caso Palamara ha svelato realtà riprovevoli, meccanismi sconcertanti di scelta per gli incarichi direttivi frutto di indegne trattative tra correnti della magistratura e di interlocuzioni con i politici, una degenerazione del sistema associativo dei magistrati, è emersa un’idea di giudice agli antipodi di quella della Costituzione, invero per nulla sorprendente almeno per quanti frequentano le aule di giustizia: un mercimonio per soddisfare appetiti di amici e sodali, dove non contano meriti e attitudini, intelligenza e risultati e la qualità più importante di chi aspira alla carica è l’appartenenza correntizia o l’abilità a trattare del suo mentore. Ancora una volta però non è “La notte delle vacche nere” (Hegel). Ci sono giudici e PM, la gran parte, da elogiare, persone rigorose, spesso bistrattate ed emarginate.
Riformare il Consiglio Superiore della Magistratura, cambiare la legge per eleggerne i componenti sono escamotage: non è questione di meccanismi selettivi ma di moralità. Servono magistrati di spessore giuridico e umano, consapevoli di incidere con le loro decisioni sui diritti e le libertà delle persone. Ha ragione il mio professore di Diritto Penale, Franco Coppi, quando sulla separazione delle carriere afferma: “Se oggi giudice e pm sono fratelli, separandole sarebbero cugini. Una volta immessi in magistratura andrebbero invece valutati continuamente, verificate le loro condotte”, e riguardo l’abolizione delle correnti chiosa: “Non si impedirà comunque ai magistrati di riconoscersi in alcune idee comuni. Non è questo lo scandalo, ma la correttezza del giudice, l'imparzialità”. Le aggregazioni culturali sono sacrosante, basta che non si trasformino in gruppi di potere.
Un’ultima notazione, un disperato grido di dolore. Dopo la tragedia della pandemia, riparte il campionato di calcio, hanno riaperto giustamente palestre, ristoranti, centri estetici e attività commerciali e produttive, ma i tribunali rimangono con i portoni sbarrati. La giustizia, uno dei presidii più importanti dello stato democratico, non è una priorità ma un fastidioso e superfluo orpello. Gli avvocati che ne invocano la riapertura sono additati come novelli untori, disposti a far riprendere i contagi pur di lucrare guadagni, sorvolando sul fatto che un paese senza un sistema giudiziario operativo per la tutela di diritti, libertà e interessi dei cittadini è destinato alla barbarie e alla deriva antidemocratica. E poi gli avvocati non sono anch’essi lavoratori con la medesima dignità e uguale diritto di guadagnare per vivere? Evidentemente un dettaglio per alcuni…….