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Luigi Di Rosa, un delitto impunito

Mag 30, 2020 Scritto da 

 

 

 

 

 

 

Luigi Di Rosa è figlio di Sezze, una terra ricca di storia, laboriosa e accogliente. I suoi genitori erano persone semplici, modeste, temprate dal lavoro e animate dal desiderio di riscatto. La sua è la vicenda di un giovane mite e generoso, estraneo ad estremismi e violenze, vittima di un raid fascista brutale e premeditato, diretto a colpire un’intera comunità. Raccontare quanto accadde è esercizio doveroso di memoria per disperdere le parole infamanti di quanti cercano di infangarne la storia, ricorrono alla falsità per occultare e negare le colpe delle mani assassine, è rendergli quella giustizia che nelle aule giudiziarie non gli è mai stata pienamente riconosciuta. 

28 maggio 1976. È un venerdì. Le elezioni politiche del 20 giugno sono ormai vicine. Lo scontro è aspro, il risultato è considerato decisivo, quasi un nuovo appuntamento con la storia, dopo il successo del PCI alle amministrative dell’anno precedente.

A Sezze, cittadina di tradizione antifascista e amministrata da sempre dalla sinistra comunista, c’è grande tensione perché in serata è previsto il comizio di Sandro Saccucci, deputato uscente e ricandidato nelle liste del Movimento Sociale, ex parà e fascista, sospettato d’aver partecipato nel 1970 al tentato colpo di Stato organizzato da Junio Valerio Borghese. La scelta di Sezze è una provocazione. Ci sono fondati timori di incidenti. Il comandante della Stazione dei Carabinieri ha chiesto rinforzi.

Dopo aver fatto dei comizi in alcuni paesi vicini, verso le 20:30, con oltre un’ora di ritardo Saccucci, scortato da diverse auto, arriva a Sezze e si dirige a Piazza IV Novembre, nel cuore del centro storico. L’accompagnano circa 15 persone, militanti di Roma ma anche della zona di Latina e provincia. Giorni prima con alcuni di loro, durante una cena, ha pianificato la sortita e studiato le contromisure di fronte alla prevedibile ostilità delle persone del posto. Pietro Allatta, uno dei presenti alla cena, ha mostrato la pistola in segno di sfida ai commensali. La piazza è presidiata dalle forze dell’ordine, impegnate a tenere lontani i militanti di Lotta Continua e della FIGC ed evitare che vengano a contatto con i simpatizzanti dell’MSI, pochi invero, raccolti sotto il palco. I due gruppi si fronteggiano a distanza: al grido A Sezze sono tornate le camice nere e al canto di Faccetta nera e Roma divina dei fascisti, gli altri rispondono a pugno chiuso e intonano l’Internazionale e Bandiera rossa. La situazione appare sotto controllo. Dopo le presentazioni gli animi si placano. Saccucci inizia a parlare. Lo circondano diversi camerati armati di bastoni e pistole. Tra loro ci sono Pietro Allatta, Gabriele  Pirone e Angelo Pistolesi, l’autista di Saccucci. I Carabinieri lasciano fare, restano in disparte. Per circa venti minuti il comizio si svolge regolarmente, malgrado i toni provocatori, fino a quando Saccucci non innesca la scintilla dello scontro, addebitando all’estremismo di sinistra le stragi fasciste di Milano, Brescia e dell’Italicus e affermando testualmente: “Noi abbiamo le mani pulite”. La piazza ribolle ed esplode, la reazione dei militanti di sinistra, le cui fila si sono parecchio infoltite, è durissima. Volano fischi, cori e insulti. Da sotto il palco del comizio i missini lanciano sassi, bottiglie e bastoni. Gli altri reagiscono facendo altrettanto. Lo scontro si mantiene comunque a distanza. L’ex parà termina regolarmente il comizio e scende dal palco. Un missino, presente in piazza, tira fuori la pistola ed esplode dei colpi. Saccucci, dopo un breve conciliabolo con i suoi, avanza di corsa, estrae la pistola e, gambe divaricate e braccia tese in avanti, scarica l’intero caricatore in direzione dei contestatori. Subito dopo scatta il piano di ritirata. Per ordine di Saccucci sulle autovetture salgono solo i conducenti, gli altri, armi in pugno, procederanno a piedi affiancandole. Il corteo di uomini e auto è guidato dal maresciallo dei carabinieri e agente del SID Francesco Troccia, originario di Sezze e presente al comizio, e risale verso la parte più alta della città, procedendo lentamente attraverso i vicoli stretti e tortuosi per uscire dal centro storico e guadagnare la strada per Latina. Durante il percorso alcuni componenti del corteo esplodono diversi colpi di pistola allo scopo di terrorizzare la popolazione inerme. Raggiunta Porta Pascibella, appena fuori il centro storico, l’ex parà e i suoi si fermano per riorganizzarsi. Poi salgono tutti in macchina e ripartono. Qualche centinaio di metri più avanti, a Ferro di Cavallo, li aspetta un folto gruppo di militanti di Lotta Continua e della FIGC intenzionati a disturbarne la fuga. Hanno solo sassi e bastoni. Dalla macchina su cui viaggia Saccucci partono dei colpi di pistola che feriscono Antonio Spirito, militante di Lotta Continua, e molto più seriamente Luigi Di Rosa, il quale dopo due ore di agonia nell’ospedale cittadino muore, risultando vano ogni tentativo di salvarlo. Il commando fascista si allontana da Sezze, lasciandosi alle spalle un morto e un ferito.

Sandro Saccucci alle elezioni del 20 giugno è rieletto. Il 27 luglio 1976 la Camera dei Deputati autorizza il suo arresto con le pesanti accuse di omicidio di Luigi Di Rosa, cospirazione politica e istigazione all’insurrezione armata per il golpe Borghese. Il parlamentare sfugge all’arresto e ripara prima nel Regno Unito, poi in Francia, in Spagna e infine in Argentina.

Mani criminali, nei mesi successivi al raid sanguinario, fanno saltare con una bomba il monumento eretto sul luogo dell’omicidio di Luigi Di Rosa dall’Amministrazione Comunale e la sua tomba viene profanata.

L’iter giudiziario, lento e tortuoso, tra mille cavilli, intralci e depistaggi si snoda nei tre gradi di giudizio e si conclude con la sola condanna della persona che quella sera impugnava la pistola da cui partirono i colpi che ferirono Antonio Spirito e uccisero Luigi Di Rosa: Pietro Allatta riconosciuto colpevole, viene condannato a tredici anni di carcere, di cui solo otto scontati effettivamente. Sandro Saccucci, condannato in primo e in secondo grado per concorso morale, è assolto per questa accusa in Cassazione e riconosciuto colpevole solo per alcuni reati minori ormai prescritti.              

Concludo facendo mie le parole di Mariella, la sorella di Luigi: “La cosa che mi lascia più sgomenta e mi addolora è la certezza che mio fratello non ha avuto giustizia fino in fondo. Responsabilità e complicità non sono state acclarate completamente. I responsabili della tragica morte di Luigi Di Rosa sono stati portati in giudizio e processati, ma alla fine tutto si è risolto con pene lievi, assurdamente sproporzionate alla gravità del gesto compiuto”.

Pubblicato in Riflessioni
Ultima modifica il Sabato, 30 Maggio 2020 10:14 Letto 2584 volte

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