Qualche giorno fa l’annuncio della domanda della cittadinanza italiana, avanzata dal calciatore uruguaiano Luis Suarez, è stato dato con grande enfasi da tutti i media e non ha sollevato particolare scalpore o scandalo il fatto che fosse evidente a tutti che la richiesta avrebbe seguito una corsia preferenziale per accelerare l’iter burocratico ordinario e metterlo in condizione di firmare il contratto con la Juventus. Insomma al netto di eufemismi e giri di parole, si sarebbe chiuso un occhio per soddisfare rapidamente i desiderata sportivi e non di quanti avevano sponsorizzato e voluto l’operazione. Evidentemente potere e soldi contano molto, hanno notevole capacità persuasiva, sono determinanti, fanno la differenza e consentono d’arrivare facilmente, avendo gli agganci giusti, a risultati e vantaggi preclusi ad altri. E’ opinione consolidata che la furbizia paga, perciò gode di diffusa approvazione e le scorciatoie, fossero anche riprovevoli, sono giudicate comunemente accettabili.
Approfittamenti, scorrettezze e abusi fanno talmente parte del costume nazionale che l’idea di forzare un po’ la mano non suscita né riprovazione né vergogna, anzi sono spesso motivo di vanto e di compiaciuta ostentazione. Il problema perciò non sta tanto nell’eventuale violazione della legge, quanto piuttosto nel progressivo venir meno di qualsiasi remora etica e freno inibitorio, nel pensare legittimo qualunque mezzo pur di raggiungere i propri interessi egoistici. Improvvisamente però su questa storia si sono accesi i riflettori mediatici, merito delle indagini di magistratura e forze dell’ordine. Una luce ha spazzato via il buio pesto della nostra coscienza individuale e collettiva, è esploso lo scandalo ed è emerso che questa procedura accelerata di concessione della cittadinanza era viziata da smaccati favoritismi a partire dall’esame di lingua italiana, sostenuto al cospetto di eminenti professori universitari. Le intercettazioni telefoniche sono illuminanti, ma francamente per nulla sorprendenti circa il modo in cui vanno le cose, ovviamente per quanti possono permetterselo…..
I comuni cittadini, o meglio gli immigrati comuni, le regole devono rispettarle, devono seguire le tortuose e faticose vie ordinarie, aspettare, se tutto va bene, almeno quattro anni prima di veder concludere la propria pratica di domanda di cittadinanza. Giustamente il riconoscimento avviene dopo approfondito esame e scrupolosa verifica del ricorrere di una almeno delle condizioni previste dalla legge: jure sanguinis, matrimonio, naturalizzazione, benefici di legge e meriti. Il problema è che non funziona così per tutti e il discorso cambia se a fare domanda è una persona ricca, magari appunto una stella del calcio o un signor nessuno. Si dice che la ricchezza sbianca ossia i benestanti, a prescindere dal colore delle pelle e dal paese di origine, sono trattati in modo diverso e migliore degli stranieri poveri, gli immigrati come vengono chiamati comunemente. Peraltro non c’è da meravigliarsi visto che in Stati della nostra civilissima Europa, come ad esempio Malta e Cipro, la cittadinanza viene concessa senza porre particolari ostacoli e condizioni a patto di avere un bel gruzzolo di soldi da investire da loro. Ad onor del vero però le politiche migratorie sono selettive anche in Italia, i criteri economici, magari non così smaccatamente, contano anche da noi e servono a distinguere gli stranieri desiderabili dai poveracci invece da respingere. I campioni del calcio appartengono alla categoria dei privilegiati, sono assolutamente ben accetti, per loro sono state predisposte norme fiscali di favore per attirarli e convincerli a trasferirsi dalle nostre parti. Le pubbliche autorità, politiche e sportive, fanno ponti d’oro per naturalizzarli e rivestirli della maglia della nazionale. C’è di più però. Sfido chiunque a trovare una sola dichiarazione, un articolo di giornale o un post sui social in cui costoro vengono definiti immigrati da giornalisti, politicanti e persone comuni!
Le norme sulla concessione della cittadinanza risalgono al 1992, sono restrittive e antiquate e il buon Matteo Salvini, nella sua breve epopea da Ministro dell’Interno, è intervenuto con i suoi decreti (in)sicurezza cercando di restringere, bontà sua, ancor più le maglie. Tuttavia nella giungla di leggi, articoli, commi e lemmi, come sempre accade, la scappatoia si è trovata facilmente per aiutare il campione Luis Suarez, il quale aveva bisogno della cittadinanza italiana per risultare comunitario ai fini sportivi ed essere tesserato senza problemi e limiti nella Juventus. Detto per inciso la trattativa si è interrotta ed è poi finito all’Atletico Madrid, ma la procedura è stata comunque portata avanti. Infatti qui da noi vige una norma in grado di sgombrargli il terreno, che prevede un trattamento di favore per i discendenti degli emigrati italiani. Basta dimostrare di avere qualche goccia di sangue italiano nelle vene e il gioco è fatto. Luis Suarez ha la fortuna di essere sposato con una signora avente anche passaporto italiano, ottenuto grazie al nonno friulano e perciò, essendo italiana, una volta superato l’esame della nostra lingua per lui avere il passaporto sarebbe stato automatico. Nel suo caso peraltro l’esame è stato organizzato a tambur battente, è stata prevista una sessione apposita ed è stato gestito in modo truffaldino, giustificando il tutto con l’eccellenza del candidato o meglio del suo reddito.
Luis Suarez doveva diventare italiano per le ragioni spiegate ed è stato predisposto tutto ad arte perché se lo può permettere, mentre le migliaia di persone, che hanno motivazioni ben più serie e valide ma non le stesse disponibilità, devono restare al chiodo, essere soggette ad una normativa tanto restrittiva quanto inutilmente spietata. In Italia c’è chi vi è nato e vive da sempre e vorrebbe gli fosse riconosciuta la propria italianità non solo di fatto ma anche di diritto, chi, pur nato all’estero, ha trascorso l’intera vita tra i banchi delle nostre scuole o da noi lavora da lunghissimo tempo, contribuendo alle entrate dello Stato con le tasse pagate regolarmente. È giusto che il fornaio, i compagni di scuola dei nostri figli, le badanti dei nostri anziani, la manodopera dei nostri campi debbano vedersi compressi e persino negati i diritti, essere strumentalizzati nelle campagne di odio, intolleranza e xenofobia, abilmente orchestrate per lucrare facili consensi e altri invece godere di insopportabili favori e privilegi grazie ai soldi?
Così va l’Italia verrebbe da dire con amara rassegnazione, ma secondo me sarebbe ora di smetterla e di pensare ad una nuova legge sulla cittadinanza, seria ed inclusiva.