“Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc....Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante. Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca. Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.” (Antonio Gramsci – 1 gennaio 1916, Avanti! – Edizione torinese – Rubrica Sotto la Mole).
Questa riflessione di Antonio Gramsci, politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario, uno dei più grandi pensatori italiani del ‘900, morto in un carcere fascista, è molto più che una presa di posizione anticonformista rispetto al sentire diffuso sul capodanno, un suo voler essere un intellettuale controcorrente rispetto alle convenzioni sociali consolidate, agli stereotipi diffusi, al moralismo e al perbenismo di facciata proprio della società dei consumi di massa. Le sue parole rappresentano un richiamo forte, un invito a ricercare l’essenzialità, a recuperare il senso ultimo del nostro essere donne e uomini, all’impegno costante, personale e collettivo, per un nuovo inizio ogni giorno finalizzato al progresso sociale, culturale ed economico, a superare diseguaglianze e discriminazioni che incidono da sempre il corpo vivo della società e oggi particolarmente attuali a causa della crisi generale innescata dalla pandemia, che ha acuito e allargato in maniera preoccupante il divario tra il benessere di pochi privilegiati e la difficoltà e spesso la condizione di vera e propria povertà in cui si dibatte la gran parte delle persone. L’esperienza traumatica di questi mesi ci ha investiti, improvvisa ed imprevista (anche se invero governanti e governati abbiamo ostentato negligenza e disinteresse, siamo rimasti sordi ai richiami di tanti scienziati che avevano prospettato da tempo il possibile verificarsi di simili accadimenti), ci ha precipitati nell’incertezza esistenziale, ha scardinato tanti nostri punti fermi, ha mandato in crisi la nostra modernità fatta di tecnologia, mercato e globalizzazione, ci ha fatti scoprire biologicamente fragili e in balia dell’incontrollabile, ha stravolto la nostra quotidianità e le nostre relazioni, ci ha allontanati fisicamente, ci ha costretti a misurarci con la sofferenza, ci ha colpiti negli affetti con la perdita di persone care, ma soprattutto ci ha messi di fronte alla necessità di un cambio di passo radicale, un ripensamento profondo dei nostri stili di vita e delle nostre relazioni, di recuperare il senso dell’appartenenza alla comunità umana e della solidarietà da attuare immediatamente, pena il rischio di essere definitivamente travolti e spazzati via.
Alla fine dell’anno e nell’imminenza del nuovo è sicuramente importante fermarci e riflettere attentamente su come abbiamo impiegato il nostro tempo, cimentarci in un resoconto sullo stato delle nostre vite e del cammino percorso dalle nostre comunità, evidenziando i traguardi raggiunti e le mancanze, ma occorre l’onestà intellettuale dei bilanci autentici e soprattutto abbandonare la logica stucchevole dei buoni propositi, che finiscono per essere valevoli solo nel tempo limitato dei festeggiamenti, del clima indotto dalle sdolcinate atmosfere natalizie per poi ricominciare a vivere esattamente come prima e come se niente fosse, con uno sfondo che resta sempre lo stesso, solo con un anno in più e identici rimangono i protagonisti, le relazioni, le ingiustizie e gli egoismi personali e di gruppo.
Quest’anno senza la distrazione delle tavolate coreografiche, delle luci accecanti, dei veglioni nei locali e nelle piazze, della musica assordante e dei fuochi d’artificio a motivo della grave situazione sanitaria, abbiamo l’opportunità importante di farci il dono straordinario di non fermarci alla superficie, di non inseguire chimere ed illusioni, di non augurarci semplicisticamente un rinnovamento fatto di parole vuote e inutili auspici ma di scelte fattive, di assaporare la serena, piacevole e gioviale riscoperta delle relazioni improntate all’autenticità, di concederci il tempo per progettare e programmare un cambiamento personale che rappresenta il presupposto indispensabile per un mutamento più generale che investa i nostri rapporti interindividuali e quindi l’intera realtà sociale in cui siamo immersi. Non dobbiamo precludersi ovviamente la possibilità di sognare e pensare in grande, di volare alto, di progettare e realizzare una trasformazione che produca l’emancipazione da ogni forma di oppressione politica, economica, religiosa, ma innanzitutto dobbiamo pensare ed agire con coerenza quotidianamente, non accettare supinamente le idee altrui e soprattutto non smettere di lottare. Il cambiamento è un processo lento, va costruito in modo continuativo, non è mai fine a se stesso e l’alba di ogni giorno deve essere il tempo del suo nuovo inizio.