“Penso che l’Arabia Saudita possa essere il luogo di un nuovo Rinascimento per il futuro” ha affermato Matteo Renzi in una lunga chiacchierata con Mohammed bin Salman, erede della famiglia reale saudita a Riad qualche settimana fa.
Confesso di aver fatto un salto sulla sedia leggendo queste dichiarazioni. Veramente sbalorditivo è l’ex Presidente del Consiglio, oggi Senatore della Repubblica, a cui non fanno certo difetto intelligenza e scaltrezza, il quale grazie ad una operazione scissionista tutta interna al palazzo e di scarso seguito elettorale stando ai sondaggi, si è costruito un partito personale, composto da parlamentari strappati al Partito Democratico, nelle cui liste era stato eletto alle ultime elezioni politiche e di cui è stato anche segretario nazionale, e da trasformisti vari e sparsi, e oggi si intesta il merito di aver messo fine all’esperienza del governo giallorosso e aver fatto da levatrice al governo di Mario Draghi. Per un momento ho pensato che una straordinaria trasformazione fosse avvenuta nell’umano consorzio senza essermene accorto, che si fosse concretizzata l’utopia di un mondo totalmente altro e capovolto rispetto a quello fin qui conosciuto, che libertà, diritti e bellezza avessero finalmente e definitivamente sconfitto odi, coercizioni e brutture. Il ritorno alla dura realtà è stato traumatico. Si è trattato solo di un’illusione, repentinamente svanita, durata quanto la rugiada del mattino e un sogno evanescente.
Sebbene comprensibile, la condiscendenza del senatore di Rignano verso il principe Mohammed bin Salman e la monarchia saudita, che lo hanno voluto nel board della Future investment iniziative, fondazione diretta emanazione del regime, da cui viene retribuito annualmente e riceve sostanziosi rimborsi per partecipare a singoli eventi, è indiscutibilmente sconveniente e politicamente disdicevole, a meno di pensare e credere che i principi e i valori democratici fissati nella nostra Carta Costituzionale perdano di significato e importanza una volta superati i confini nazionali. L’Arabia Saudita non è un paese qualunque ma un regime autoritario e sanguinario, negatore dei diritti fondamentali dell’uomo, nel quale vengono eseguite condanne a morte mediante decapitazione nelle pubbliche piazze, vengono inflitte pene pubbliche corporali, i processi sono iniqui, gli oppositori politici regolarmente imprigionati e massacrati, i giornalisti scomodi eliminati, come capitato il 2 ottobre 2018 a Jamal Kashoggi assassinato all’interno dell’ambasciata saudita in Turchia e il cui corpo, fatto a pezzi, è stato poi fatto sparire, la libertà religiosa è negata, le donne non hanno praticamente alcun diritto e l’esercito bombarda quotidianamente i civili in Yemen. Insomma non un esempio di democrazia e sentir definire l’Arabia Saudita “il centro di un neo rinascimento”, preconizzando per la stessa un ruolo di “playmaker nella regione” francamente fa un po’ impressione e mi provoca disgusto. Matteo Renzi, tra una stretta di mano e una passerella, così facendo ha strizzato l’occhio e avvallato i metodi brutali usati dal regime, arrivando perfino a dire a proposito di sviluppo e crescita: “Non posso parlare del costo del lavoro a Riad perché come italiano sono molto invidioso”. Davvero invidiabile è il costo del lavoro saudita e la legislazione che disciplina questa materia: sfruttamento e abusi nei confronti dei lavoratori sono talmente diffusi che numerosi rapporti redatti dalle organizzazioni internazionali e dalle associazioni dei diritti umani parlano espressamente di schiavismo. Human Rights Wach ha evidenziato che il problema investe soprattutto i lavoratori stranieri, che occupano il 76% del settore privato, i quali sono totalmente dipendenti dai datori di lavoro che ne sponsorizzano ingresso e uscita dal paese e comandano sulla loro quotidianità. Blocchi degli stipendi, straordinari non pagati e vere e proprie violenze sono all’ordine del giorno. L’attività sindacale è vietata così come gli scioperi, tanto che quando nel 2017 49 lavoratori stranieri improvvisarono uno sciopero per il mancato versamento degli stipendi vennero condannati a quattro mesi di carcere e a 300 frustate. In questi tempi di pandemia mentre in Italia sono stati disposti blocco dei licenziamenti, cassa integrazione ed erogati vari bonus, in Arabia Saudita è stata introdotta una nuova regolamentazione dei rapporti di lavoro che consente agli imprenditori di tagliare unilateralmente gli stipendi dei lavoratori fino al 40% e di cambiare i contratti senza negoziazione. In Arabia Saudita lavora una donna su quattro e solo da qualche anno è permesso loro di guidare l’auto e andare allo stadio.
Evidentemente è questo il contesto tanto invidiato da Matteo Renzi, il terreno fertile per il vagheggiato nuovo rinascimento e chissà magari sogna di esportare un simile grandioso modello in Italia. Un cattivo pensiero sfuggitomi, mi perdonerete. Senza contare poi che a noi poveri cittadini italiani tocca sentirlo pontificare di democrazia, libertà, diritti e tendenze accentratrici e autoritarie degli altri politici nostrani.
Matteo Renzi è Senatore della Repubblica, pagato da noi cittadini per rappresentare la nazione, farsi portavoce e promotore dei valori della Costituzione e degli interessi del nostro paese. È accettabile e normale che un parlamentare, peraltro capo di un partito numericamente consistente sia alla Camera che al Senato, venga stipendiato regolarmente da un paese straniero? Veramente riesce a sdoppiarsi, a scindere la sua funzione di rappresentante dell’Italia da quello di dipendente della monarchia saudita quando nel Senato della Repubblica, nelle commissioni esteri e difesa di cui fa parte e in ogni altra sede istituzionale si discutono questioni e interessi che possono risultare configgenti con quelli del suo datore di lavoro? Il conflitto di interessi è evidente.
Badate bene nessuno nega il diritto di Matteo Renzi di fare il conferenziere in giro per il mondo e di vivere di questo, ma dovrebbe seguire l’esempio degli altri leader politici mondiali come Francois Fillon, Gerard Schroeder, Bill Clinton, i quali hanno prima abbandonato ogni incarico politico e istituzionale nei rispettivi paesi e poi si sono dedicati a tale attività. È una questione di dignità, di trasparenza e di rispetto delle istituzioni democratiche e dei cittadini italiani.
Consentitemi un’ultima notazione. Il fatto che la legge italiana non vieti simili attività ad un parlamentare è un non-argomento: non tutto quello che è consentito dalla legge è comunque moralmente ed eticamente lecito.