La Corte Costituzionale, in data 25 Settembre, ha promulgato, all'unanimità, una sentenza storica con la quale si stabilisce che in Italia il suicidio assistito è possibile ma solo in caso di sofferenza insopportabile, in condizioni di malattie considerate scientificamente irreversibili e dietro espressa volontà del paziente.Tale sentenza, pur dirimente nella sostanza, riconosce la legittimità del suicidio assistito, seppure in limiti molto precisi, rigorosi e circostanziati. Essa si è resa necessaria per colmare il vuoto lasciato dalla politica che ancora non è stata in grado di legiferare su un tema cruciale e all'attenzione della pubblica opinione. La Conferenza dei Vescovi italiani ha immediatamente espresso il suo profondo sconcerto e la sua preoccupazione. Pur nel rispetto delle idee altrui e delle decisioni che il Parlamento dovrà prendere, afferma la CEI, con la sentenza della Consulta si corre il rischio di disseminare la cultura della morte e di promuovere una mentalità per la quale la vita può essere facilmente interrotta e eliminata. Un rifiuto categorico e molto critico da parte della Chiesa cattolica che ribadisce il diritto dei cristiani (soprattutto dei medici) all'obiezione di coscienza perchè il tema del suicidio assistito attiene alla coscienza dei singoli. Marco Cappato, esponente dei Radicali, invece, si dimostra soddisfatto e commosso della sentenza e del risultato raggiunto, frutto di tante battaglie civili e di tanti viaggi compiuti all'estero in aiuto a tante persone che volevano mettere la parola fine alla loro esistenza diventata insopportabile e senza speranza di guarigione. L'esponente radicale parla di una conquista di "maggiore libertà." La materia, come si vede, è estremamente delicata e controversa. Occorre rispetto per tutte le opinioni, senza preclusioni e anatemi. C'è molto da riflettere, nella speranza che il Parlamento si pronunzi. Detto ciò, mi permetto di osservare che la scelta del suicidio assistito è comunque tragica e dolorosa e non è ascrivibile soltanto e soprattutto a una questione di "maggiore libertà", come sostiene Marco Cappato, ma che, in tale materia, sarebbe opportuno distinguere un diritto reale da un'espressione generale della libertà umana. Cerco di spiegarmi. Libertà e diritto, in questo caso, sono due principi alquanto contrapposti. La posta in gioco non è infatti, in materia di suicidio assistito, non è, a mio modesto parere, il diritto formale e giuridico della persona, detto diritto positivo, ad esprimere la propria libertà, indipendentemente dalla situazione concreta ed esistente. Per molte persone, in queste tragiche situazioni, l'espressione di libertà, infatti, non è reale perchè condizionata dalle condizioni concrete e dalle risorse in generale che il paziente ha a disposizione per fare uso della propria libertà "negativa" (libertà dal dolore, libertà dalla sofferenza etc). Per concludere e uscire indenne da questa disquisizione filosofica, voglio dire che non spetta a me dire l'ultima parola, anche se ritengo doveroso far conoscere il mio parere. Ognuno deve decidere liberamente secondo le proprie convinzioni civili e morali. Il male peggiore sarebbe, su questo tema, arrivare a un scontro ideologico e ad una guerra di religione, facendo prevalere interessi elettorali e demagogici, rispetto a quelli di coscienza.