Il coronavirus ha colpito mortalmente soprattutto le persone anziane, gli ultrasettantenni. Le statistiche dei deceduti durante la peste sono implacabili. Le vittime predestinate sono state loro. Un tragico destino. Nei momenti più difficili soccombono le persone più fragili. Si tratta, quella dei nostri vecchi, di una generazione che ha ricostruito l'Italia dalle macerie della II guerra mondiale e che, tuttora, costituisce la spina dorsale della memoria e della saggezza della Nazione: hanno trascorso una vita all'insegna del duro lavoro e della ricostruzione democratica della Nazione: una generazione che meritava, certamente, di essere ripagata con una vecchiaia serena e tranquilla. E invece... In questi giorni di coronavirus mi è capitato di incontrarne parecchi di loro, quasi tutti smarriti e indifesi, con addosso un senso di colpa nei confronti dei loro figli e nipoti, preoccupati soltanto del futuro dei giovani, della disoccupazione e della crisi economica. I vecchi sono fatti così! A se stessi non ci pensano mai: il loro unico pensiero è la serenità dei figli e la spensieratezza dei nipoti. Essi non temono la morte, ma la solitudine. La morte, inevitabilmente, prima o dopo arriva. La solitudine non ti abbandona mai. In questi ultimi anni è invalsa l'abitudine di andare nelle Case d riposo o nelle RSA per trascorrere gli ultimi anni della vita, alla ricerca della compagnia e della tranquillità. Dove essi speravano e sperano di rivivere momenti spensierati della loro giovinezza, giocando a carte, a bocce, trascorrendo il tempo per una passeggiata, ammirando i fiori, le piante, godendosi un bel tramonto. Una volta, nella veccia società contadina, non era così! Nei vicoli del paese si respirava un'altra aria, una atmosfera di familiarità e di solidarietà. I vecchi non andavano via dalle loro abitazioni, non si sentivano ingombranti, erano le figure dominanti del vicinato, sempre in compagnia degli amati nipoti. Oggi, purtroppo, quel modello di vita e di società si sta perdendo. Sono rimaste poche le famiglie dove vive un vecchio! La vecchia famiglia è stata sostituita da nuclei molto ridotti, da single, da coppie senza figli. Si è diffuso il sentimento della rimozione della vecchiaia e della morte. Il tratto finale della nostra esistenza diventa qualcosa da nascondere, da occultare in strutture per anziani, strutture più o meno dignitose (dipende da quanto si può pagare!). Il ricovero in queste strutture è diventata quasi una necessità. Il coronavirus, invece, ha drammaticamente scoperto la fragilità e la debolezza di questa soluzione. Non si sa ancora esattamente quanti vecchi sono morti nelle RSA e nelle Case di Riposo durante la prima fase dell'epidemia: ci sono indagini in corso. Ma sono tanti, troppi quelli che ci hanno lasciato la vita senza neanche un saluto di commiato! Indietro, purtroppo, non si può tornare. Ma si può e si deve introdurre un nuovo modello di assistenza per gli anziani, in piccole strutture accoglienti all'interno dei centri storici e dei centri abitati, in piccoli appartamenti arredati con i loro mobili, con i loro ricordi, con l'assistenza continua del medico e con i pasti a domicilio. Appartamenti aperti ai parenti e agli amici, attraverso la condivisione di alcune abitudini di orari, per ricostruire piccole comunità accoglienti e umane e far nascere nuove amicizie. Ciò che è accaduto non deve accadere mai più! Il vecchio non deve essere percepito come una merce né come un parcheggio a pagamento, in attesa della morte. Speriamo che il coronavirus ci insegni qualcosa di buono!