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Uova di Pasqua per tutti i bambini di Sezze. Con un sorriso in più, per una Pasqua che è rinascita e speranza per un futuro migliore. L’amministrazione comunale di Sezze  intende provare ad alleviare, per quanto possibile, le tante e diverse privazioni che i nostri bambini stanno vivendo in questo delicato periodo. Il sindaco Sergio Di Raimo annuncia così che l'amministrazione comunale donerà uova di cioccolato a tutti i bambini di età compresa fra i 2 e i 10 anni. "Si tratta solo di un piccolo gesto - scrive il sindaco sul suo profilo social - per dimostrare la nostra vicinanza, il nostro affetto, e per strappare un sorriso in più ai piccoli di casa". A partire da venerdì la protezione civile si occuperà della consegna a domicilio. 

 

Domenica, 05 Aprile 2020 06:48

La memoria dispersa

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Noi siamo storie che si intrecciano, sguardi che si incontrano, mani che si uniscono, sentimenti che si fondono, saggezze condivise, compagni di viaggio che camminano fianco a fianco e si inerpicano lungo i tornanti a volte aspri e gravosi della vita sorreggendosi l’un l’altro. Purtroppo sopraggiunge il tempo della separazione. Il distacco è sempre doloroso, ci segna profondamente sia se frutto di una scelta, di un abbandono per inseguire altri destini, cercare asilo in altri affetti, amicizie e relazioni, sia se conseguente al fluire del tempo, al consumarsi naturale ed inevitabile della vita o all’impensabile di una perdita inattesa e incomprensibile. È la nostra umanità, bellissima e fragile.

Nella nostra cultura la morte è divenuta un tabù, considerata talmente sconveniente da essere nascosta e taciuta, rimossa sul piano individuale e sociale, bandita dalle coscienze e dal linguaggio, anche se di contro nei media, nel cinema, nei videogiochi è ipervisibile, traboccano immagini e discorsi legati alla morte, è spettacolarizzata, scenografica, teatrale al punto di apparire qualcosa di patetico e irreale, impiegata per produrre scariche di adrenalina e commuovere il pubblico, trasformata in un antidodo e un passatempo contro la noia generale dell’esistenza.

Gli accadimenti che ci stanno investendo con la potenza di uno tsunami ci sollecitano a mettere da parte inquietudini e straniamenti, a non cedere alla tentazione di stordirci e non pensare, di sottrarci alla sgradevolezza della realtà cercando rifugio e conforto nell’illusorio e nell’inconsistente e ci obbligano a misurarci con l’esperienza dura e traumatica della sofferenza, del dolore e della morte, che hanno assunto dimensioni e caratteri collettivi e lasceranno cicatrici permanenti nelle nostre esistenze, a prescindere se il virus ci ha toccato o ci toccherà personalmente o negli affetti.              

Il ragionieristico snocciolare i dati nell’incontro della Protezione Civile e degli esperti sanitari con i giornalisti in diretta televisiva, che ritma queste nostre giornate di isolamento, necessario per spiegare la dimensione della tragedia in cui siamo immersi, inevitabilmente genera la sensazione di una riduzione a fredda contabilità numerica di malati e morti, anche se parole e accenti sono sempre misurati, attenti e mai sminuenti soprattutto la gravità della perdita di vite umane, prevalentemente riguardanti quanti si trovano ad aver compiuto un considerevole tragitto esistenziale e del concorso di patologie pregresse e gravi nel determinare l’esito funesto.

Non c’è nulla di consolatorio nel fatto che i decessi riguardino maggiormente persone anziane o comunque vulnerabili perché, al di là del fatto che tale assunto neanche è del tutto veritiero, in questo combattimento contro il virus potremo uscirne vincitori o vinti unicamente tutti insieme. Infatti se perdiamo i giovani perdiamo speranza e forza per costruire il domani, se perdiamo gli anziani perdiamo la memoria di ciò che siamo stati, l’esperienza che ci ha consentito di toccare i traguardi di cultura, sviluppo e benessere che ci appartengono, la saggezza di chi ha vissuto già tanto.

L’esistenza umana è scandita da stagioni, tappe necessarie, passaggi preziosi che costruiscono e modellano la nostra identità: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia.

La nostra società, dominata dalla logica dell’efficienza e del profitto, il più delle volte non considera la vecchiaia come un dono da apprezzare e valorizzare, ma come un peso e un costo. Gli anziani sono improduttivi e sono percepiti come persone aventi scarsa rilevanza sociale, insignificanti e da loro non si è interessati ad ascoltare ed apprendere nulla. La longevità è invece una benedizione perché la sapienza del vivere di cui sono portatori i vecchi è un tesoro inestimabile. La vecchiaia non è la stagione che avvicina e conduce alla morte, ma il tempo necessario a dare compimento alla vita, consentendo di comprenderla e leggerla integralmente e di scoprire veramente se stessi. Le rughe che segnano il volto sono memoria scolpita nella carne viva della fatica e dell’impegno profuso, della gioia e del dolore vissuti nel dipanarsi dei giorni. La vecchiaia è il tempo dell’amore, inteso non più come passione erotica travolgente, ma come profondità di sentimenti capaci di svelare strade sempre nuove e inaspettate per sconfiggere il cinismo, continuare a stupirsi di fronte alla bellezza, evitare lo spegnersi di gratuità e disinteresse, consentire che a primeggiare sia la vita e l’essere sull’avere. Gli anziani sono una riserva vitale e dicono infinitamente tanto anche con i loro silenzi, possono aiutarci a guidare nella notte a fari spenti, perché conoscono le insidie nascoste, le curve pericolose dove è meglio rallentare, moderare l’andatura e i rettilinei sui quali procedere di slancio, dato che quelle strade che noi andiamo sperimentando le hanno già affrontate.

Questa maledetta pandemia, specialmente in diverse parti del nostro Paese, ci sta defraudando di legami ed affetti dei nostri genitori e nonni, dell’anima profonda e della memoria di cui sono testimoni, sta inaridendo e tagliando le radici che ci rendono saldi di fronte alle avversità e ci nutrono con la linfa della saggezza, relegandoci in una solitudine generazionale senza precedenti. Nel chiuso dei reparti asettici e sterili degli ospedali, dove il silenzio è rotto solo dal sibilo sottile dei respiratori e dalle parole di conforto di tanti medici e infermieri instancabili e valorosi, rivestiti con tute, camici, mascherine e visiere per proteggersi dal virus, se ne sta andando irrimediabilmente una parte di noi.

Quando tutto questo sarà finito e avremo sconfitto il virus ci scopriremo più poveri non solo economicamente ma soprattutto umanamente.

 

 

 

 

La Sacra Rappresentazione della Passione di Cristo di Sezze edizione 2020 sarà soltanto in formato televisivo. Le misure restrittive legate all’emergenza sanitaria in atto impediscono, tra l’altro, lo svolgimento di ogni manifestazione pubblica e così lo storico evento della città di Sezze non potrà svolgersi, come da antica tradizione, la sera del Venerdì Santo lungo le vie del paese. I preparativi avviati fin dal mese di gennaio sono stati bruscamente interrotti e così il consiglio direttivo dell’Associazione della Passione di Cristo di Sezze ha voluto riproporre al grande pubblico televisivo, oltre alla Passione svolta a Sezze lo scorso anno, anche le rappresentazioni realizzate negli ultimi dieci anni in alcuni dei luoghi simbolo della cristianità: da Santiago di Compostela ad Assisi, da Roma a San Giovanni Rotondo e Lourdes. “In questo particolare momento di angoscia e sofferenza – afferma Il presidente dell’associazione Elio Magagnoli - abbiamo voluto offrire comunque un importante segnale di continuità e di vicinanza all’intera comunità locale e nazionale, non facendo mancare un punto di riferimento della tradizione culturale e storica ormai noto a livello nazionale e internazionale. Ci è sembrato giusto e doveroso riproporre, seppur soltanto in forma televisiva, la rappresentazione di Sezze sperando che questo possa costituire un auspicio per una prossima fine della emergenza sanitaria, ma anche una commemorazione delle tante vittime di queste settimane e un pensiero di conforto per coloro che stanno soffrendo a causa del virus e per la perdita degli affetti più cari”.  Si tratta indubbiamente di una bella e utile idea per tenere unita una tradizione ad una città e ai tanti fedeli che solo legati alla "processione" da anni, ma è veramente triste, quest'anno, non vederla sfilare per i vicoli del centro storico .

 

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Ecco il programma:

 - VENERDI' 10 APRILE ALLE ORE 21 SU LAZIO TV (CH 12): LA PASSIONE DI SEZZE 2019

 - SABATO 11 APRILE ORE 10,30 SU GOLD TV (CH 17): LA PASSIONE DI SEZZE A SANTIAGO DI COMPOSTELA    ORE 21 SU REGAL TV (SKY 822) :  LA PASSIONE DI SEZZE LOURDES   -

- DOMENICA DI PASQUA ORE 10,20 SU LAZIO TV (CH 12): LA PASSIONE DI SEZZE AD ASSISI   ALLE  ORE 18 SU REGAL TV (SKY 822): LA  PASSIONE DI SEZZE 2019   ALLE ORE 22 SU ODEON 24 (CH 177): LA PASSIONE DI SEZZE  A ROMA    -

- LUNEDI' 13 APRILE: LA PASSIONE DI SEZZE A SAN GIOVANNI ROTONDO: ORE 21 SU GOLD TV (CH 17), ORE 22 SU ODEON 24 (CH177).

 

 

3 nuovi casi di Covid 19 per Sezze. La direzione generale della Asl poco fa ha diramato l'ultimo bollettino che registra per Sezze 3 nuovi pazienti, per un totale di 11 di cui 4 casi positivi ricoverati, 2 negativizzati e 5 casi in isolamento domiciliare. I casi positivi in Provincia sono 324, di cui 112 ricoverati, 36 negativizzati, 16 pazienti deceduti e 160 in isolamento. Si tratta di un dato che fa capire la dimensione spaventosa dei contagi anche nei nostri territori ed il sacrosanto dovere di restare a casa e rispettare tutte le misure imposte dal Governo per combattere questo maledetto virus.

 

 

 

 

 
Giovedì, 02 Aprile 2020 14:01

Troppi compiti a casa!

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In questi giorni drammatici, rinchiusi in clausura nelle nostre case, si deve cercare di non sprecare il poco tempo che Madre Natura ci ha concesso. Si legge, si studia, si guarda la TV, si ascolta musica, si sta al telefono; chi può fa il giardinaggio. Eppure per molti genitori (e nonni) non è così! Alla sera sono più stressati di prima, quando non c'era il coronavirus. Le maestre e le professoresse, utilizzando intelligentemente la didattica a distanza, riempiono quotidianamente di compiti i loro alunni. Ho sentito alcune mamme  (e nonne) letteralmente disperate dirmi :" Siamo ritornate sui banchi di scuola (e va bene!); abbiamo riaperto vecchi libri e manuali scolastici (e va bene!); abbiamo riutilizzato il vocabolario e l'enciclopedia (e va bene!); ma aprire la piattaforma digitale, manipolare i dispositivi elettronici... e seguire le lezioni on line... diventa un vero e proprio rompicapo. La sera, dopo una intera giornata spesa tra le pentole della cucina, la pulizia di casa, i compiti dei figli (e dei  nipoti!) non ce la si fa più". Hanno ragione! Allora, come ho fatto qualche giorno fa proponendo di promuovere tutti gli alunni (ma  in maniera differenziata!), proposta che è stata recepita dal del Ministero della P.I., anche adesso mi permetto di dare qualche suggerimento:

1) assegnare pochi (pochi pochi) compiti agli alunni, concordandoli con gli altri docenti di classe;

2) pochi compiti ma buoni, differenziandoli a seconda delle capacità e dei livelli di istruzione dei singoli alunni;

3) tener conto del grado di istruzione dei genitori e del loro ambiente familiare;

4) accompagnare singolarmente e pazientemente gli alunni nella soluzione dei compiti assegnati;

5) contattare gli alunni non appena hanno terminato i compiti;

6) dialogare con loro con tono cordiale e autorevole;

7) valutare i compiti in maniera oggettiva ma incoraggiante e propositiva;

8) prendere spunto dai compiti svolti per parlare di temi di attualità;

8) tenere conto di chi non ha in casa il computer :

10) informare gli alunni e i loro genitori delle risorse economiche messe a disposizione dal Governo, dalla Regione Lazio e dal Comune di Sezze per l'acquisto della strumentazione elettronica e, infine, dei divieti disposti dalle Autorità competenti perché bisogna, ancora, restare a casa!

 

 

Non bastano il timore e l’ansia provocati dal covid19, per il quale anche coloro che non lo hanno contratto in questi giorni se lo portano nel cuore, adesso ci sono anche sciacalli di professione che si aggirano per le abitazioni dicendo di essere autorizzati da chissà quale autorità per consegnare delle mascherine. Sono diverse le segnalazioni nelle province di chi ha visto gente sospetta aggirarsi per le abitazioni chiedendo di farsi aprire per consegnare il materiale sanitario ma in realtà si tratta di truffatori e ladri che, con delle scuse, intendono entrare e rubare negli appartamenti. Le raccomandazioni sono sempre le stesse: non uscire di casa e non aprire a nessuno perché nessuno è stato autorizzato a consegnare a domicilio alcuna mascherina nemmeno nel nostro Comune. Se si dovessero verificare simili episodi l’unica cosa da fare è chiamare le forze dell’ordine. Insomma solo truffe e raggiri perpetrati soprattutto nei confronti di persone anziane e sole. Come successo in altre città con la cosiddetta truffa dei tamponi che, partita da Reggio Emilia, si è poi diffusa anche altrove. I truffatori si spacciavano per operatori della Croce Rossa o della Asl e si recavano nelle abitazioni dei malcapitati con il pretesto di effettuare fittizi tamponi del coronavirus.

 

 

Sembra assurdo, surreale, ma nella situazione tragica che tutti stiamo vivendo, come non mancano sciacalli delle false informazioni e assurdi personaggi che cavalcano i timori della gente, continuano ad esserci anche ladruncoli che senza scrupoli rubano e poi, molto probabilmente, cercano di rivendere i prodotti della terra in nero. La denuncia parte da diversi agricoltori della zona che, in questi giorni, sono stati vittime di ladri di carciofi. Come ben sappiamo questo è il periodo più florido per le delizie delle nostre terre ed è anche il momento più difficile per gestire questa emergenza sanitaria ed economica. Eppure... molti contadini hanno dovuto fare i conti con l’amara scoperta di piante di carciofi sradicate e rubate nella notte. E’ successo nei giorni scorsi nei terreni della pianura setina. Si tratta di un fenomeno noto a tutti e che si ripete ogni anno ma il periodo di crisi e di attività lavorative ferme soprattutto per il covid19 spinge i più disperati anche a questo, a rubare per rivendere o per mangiare per disperazione. Non ci sono scusanti ovviamente ma il periodo è veramente triste e preoccupante per molti cittadini.

 

 

 

 

 

 

 

La canzone fu pubblicata in 45 giri nel 1964 da un quasi esordiente giovane ventiquattrenne genovese, poi inserita anche nel suo primo 33 giri  del 1966 (Tutto Fabrizio De André).

Per contestualizzare il momento, si pensi che il Festival di Sanremo di quell’anno lo vinse Gigliola Cinguetti con “Non ho l’età”, mentre “Una lacrima sul viso” di Bobby Solo e “In ginocchio da te” di Gianni Morandi risultarono i dischi più venduti dell’anno.

Già da allora in direzione ostinata e contraria, i testi delle canzoni di Fabrizio De André furono da subito percepiti dai giovani come una novità assoluta nel mercato musicale, controcorrente sia per composizione musicale che per argomenti prescelti.

De André non raccontava, come era allora di moda, dei primi sdolcinati innamoramenti o della fine strappalacrime di incontri estivi. Quasi sempre andava al di là delle solite narrazioni, proponendo storie dal sapore diverso, più reali e più intime. I suoi personaggi sembravano usciti dai libri di storia, ma non eroi piuttosto gente normale impegnata a vivere quasi sempre problematiche di stampo più sociale e collettivo, in questo caso specifico l’esperienza reale della guerra.

Quegli anni 60 erano iniziati con la paura di un possibile nuovo conflitto mondiale a seguito della cosiddetta Guerra fredda giunta all’apice tra USA e URSS nel 1961 con la crisi dei missili a Cuba di Fidel Castro, con J.F. Kennedy e Kruscev a minacciare azioni belliche. Nel 1963 l’enciclica PACEM IN TERRIS di Papa Giovanni XXIII, aveva riproposto al centro dell’attenzione mondiale le possibili azioni alternative alla dialettica di guerra tra le nazioni forti e a favore di una pregiudiziale pacifista degli incontri diplomatici.

Fabrizio, accanito lettore di tutto, dal suo punto di anarchico vista si trovò a riflettere sul perché delle guerre e in particolare sulle storie umane di chi quei conflitti li subiva, quasi sempre appartenente alle classi meno abbienti, con immani ricadute sociali e umane drammatiche.

E allora scrisse una delle canzoni più accorate del suo repertorio, che all’epoca fece molto scalpore nell’Italia dove non era previsto il diritto all’obiezione di coscienza per il servizio militare e che nel 1965 si dividerà sulle parole profetiche di Don Lorenzo Milani pubblicate su Rinascita con il titolo “L’obbedienza non è più una virtù”. Parole chiare e dure in risposta a un appello dei cappellani militari contro l’obiezione, in cui il priore di Barbiana scrisse parole illuminate sul valore sociale e patriottico della non-obbedienza agli ordini militari, spesso ritenuti ordini legittimi dal soldato anche durante la dominanza nazista.

Questa stessa canzone oggi è a pieno titolo inserita nelle antologie di letteratura italiana ad uso scolastico, tra i grandi autori nazionali, suonata e cantata anche dai più giovani.

Ecco Piero, un giovane soldato (di nazionalità indefinita, un soldato…) impegnato come fante al fronte in cui si combattevano sanguinose battaglie, che improvvisamente si scopre stanco di vedere cadaveri di soldati nei torrenti e di combattere un nemico temuto, mai visto in faccia.

Arriva una voce interiore che mette in dubbio la sua certezza di soldato e lo prega di tornare indietro perché spesso ai soldati ubbidienti spetta solo una tomba con una croce, come premio. Ma Piero non ascolta e, per dovere ed amor di Patria, va avanti superando monti e valli fino a quando si trova di fronte un soldato nemico in carne ed ossa. E la meraviglia lo assale nel vedere quest’uomo, sì nemico, ma che in realtà gli assomiglia nei connotati e nella sua stessa identica paura di combattere e morire, di diverso ha solo la divisa, simile ma di diverso colore.

A questo punto la stessa voce interiore, più concitata, gli suggerisce di sparare subito, per uccidere l’altro e salvare la propria pelle. Ma Piero tentenna, si perde nei suoi dubbi e viene bloccato dalla paura di dover vedere per la prima volta gli occhi di un uomo che muore, e non spara. Sarà un tempo di riflessione che gli costerà caro, perché l’altro si gira, impaurito a sua volta, lo vede, lo riconosce come nemico e subito spara, lui sì velocemente e senza i dubbi di Piero.

Così Piero muore sul colpo, portandosi dietro le sue domande universali sui mille perché della guerra, sulla difficoltà per alcuni di uccidere altri uomini.

Sì, perché le guerre di una volta erano combattute solo dagli uomini.

A piangere invece sarà una donna (come spesso accade ancora oggi, sono loro le altre vittime sopravvissute ai conflitti:), rimasta a casa con figli e gli anziani di casa: Ninetta. Toccherà a lei aspettare invano il ritorno del suo amato Piero e, perduta ormai ogni speranza, a piangerlo disperata, immaginandolo sepolto solitario in montagna ma trasfigurando la sua tomba senza lapide aggraziata da mille poetici papaveri rossi.

 

 

 

 

 

Tutti uniti da un filo di cotone e da un cordino colorato. E’ partita nel pomeriggio di oggi una bella iniziativa dei residenti del quartiere Santa Maria di Sezze, da una idea dell’associazione culturale Setia Plena Bonis. Il vicinato si è mostrato sensibile ad una simbolica iniziativa che vuole essere un modo semplice per abbracciare amici, parenti e conoscenti dopo 3 settimane a causa delle misure imposte dal Governo per il famigerato Covid-19. Dall’Aringo, passando per via Matteotti, per Vicolo del Duomo e per Via Corradini, un intreccio di fili colorati sta animando le case e le strade del centro storico e si spera, anzi si invitano tutti i cittadini a prendere il bandolo della matassa da dove l’ultimo residente lo ha lasciato. Fino ad ora, il lungo abbraccio è arrivato in via Vaccareccia presso il “Montone” e da qui dovrebbe proseguire senza una vera logica se non quella di unire tutte le case del centro storico e quelle zone che vorranno aderire all’iniziativa. Il lungo filo di cotone, da casa in casa, ha coinvolto anche quei cittadini che non sapevano nulla dell’idea e con piacere hanno aderito allungando così il legame tra le abitazioni di Sezze. Si spera che simbolicamente questa idea possa giungere al cuore di chi in questo momento si sente veramente solo e in difficoltà, con la speranza che possa essere per loro un piccolo momento di condivisione con il vicinato. Quello della condivisione è l'unico contagio che vogliamo veramente, uniti per superare questo momento di difficoltà che ha cambiato le nostre abitudini.

 

 

Lunedì, 30 Marzo 2020 09:29

Gesù riporta Lazzaro alla vita

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Nel miracolo di Lazzaro scopriamo che la bellezza della vita di un discepolo è vivere in atto la resurrezione di Gesù. 

Questa verità esistenziale, alla quale Gesù oggi vuol richiamare la nostra attenzione, passa attraverso l’esperienza del credere. 

È molto bello come Gesù rivolgendosi a Marta abbia detto: “Chi crede in me anche se muore vivrà e chiunque vive e crede in me non morrà in eterno”.

Ma cosa vuol dire credere?

Credere è spalancare la nostra esistenza alla signoria di Gesù; è l’uomo che, assetato di verità e di luce, dice al Signore: invadi la mia vita!

Credere è quando la persona di Gesù diventa l’anima della nostra anima. Il Cristo viene ad abitare in noi e abitando in noi diventa il principio di ogni nostra scelta.

Credere è il Risorto che plasma talmente la nostra esistenza che ormai noi viviamo da “risorti”.

Gesù nella risposta data a Marta che gli diceva: “so che risorgerà nell’ultimo giorno”, corregge il tiro: noi non risorgeremo domani ma nell’ultimo giorno e l’ultimo giorno è l’oggi di Dio! Da quando è stato mandato su di noi lo Spirito Santo è cominciato l’ultimo giorno.

Oggi siamo in stato di attiva resurrezione quando viviamo del credere! Oggi noi stiamo già risorgendo, pur vivendo nelle contingenze e nelle oscurità della storia. Basti pensare all’esempio dei Santi, che sono vissuti e vivono fuori del tempo.

Per noi non c’è il problema del domani, per noi tutto è oggi! Oggi il Risorto dimora in noi perché oggi viviamo di Lui e il risorgere finale non sarà altro che la definitività della nostra esistenza.

Uno dei drammi dell’uomo contemporaneo è quello di non gustare la bellezza dell’oggi.

Come l’uomo vive ogni giorno perché respira, così il credente, respiro di Dio, ogni giorno risorge in Gesù, con Gesù e come Gesù.

Noi siamo già nell’ultimo giorno, stiamo aspettando la definitività pienamente liberante.

Questa concezione è la bellezza della nostra esperienza di fede (anche se ancora per del tempo devo stare chiuso/a in casa per il maledetto virus): lasciarci invadere dal Maestro, facendo della nostra vita una crescente sintonia con Lui.

E allora quando moriremo saremo nella pienezza della risurrezione.

Il morire del credente è la pienezza del vivere.

Camminiamo in questa visione che è ricca di speranza perché ci fa dire che i guai della vita sono di un istante, ma il Signore è il Signore ed il  Signore è una eternità già presente.

 

Don Anselmo Mazzer