L’assessore alla Scuola e allo Sport del Comune di Sezze, Giulia Mattei, ha scritto una lettera indirizzata ai plessi scolastici setini per far sentire agli alunni la vicinanza delle Istituzioni in un momento delicato come quello di oggi. “Viviamo un’emergenza di portata mondiale e tanto ci manca della vita che fino a qualche giorno fa ci appariva “normale”. Mancano la scuola, lo sport, le attività ricreative, manca tutto ciò che come Assessore - scrive la Mattei - dovrei garantirvi e cercare di restituirvi migliorato. È vero che le Istituzioni Scolastiche si sono mobilitate per una didattica a distanza, le Associazioni Sportive e Culturali sono presenti per voi con numerose iniziative via web, famiglie, tutori ed educatori si spendono in mille e più modi per darvi il loro apporto. La mancanza però è forte, sarebbe sciocco negarlo e allora spero che serva a noi tutti per guardare con occhi nuovi la quotidianità a cui eravamo abituati, quando ci sarà permesso di tornarvi. Apprezzeremo di più e meglio le attività ricreative e sportive, il tempo trascorso con gli amici e ancor più quello all’aperto, forse non saranno così male anche le “alzatacce” per andare a scuola! Sarà allora - aggiunge ancora l’assessore - che vi chiederò di ripartire insieme, uniti per diventare una comunità più attiva e partecipe, più propensa all’iniziativa che alla critica. Adesso vorrei che sentiste soprattutto la vicinanza mia e di tutti gli Amministratori, oggi più che mai siamo e vogliamo esservi vicini, virtualmente in attesa di esserlo anche “dal vivo”. La nostra presenza ha però senso e valore solo con il vostro irrinunciabile supporto, non dimenticatelo mai. Siamo qui, con voi e per voi, distanti ma non assenti e lontani dalle vostre esigenze. Orgogliosa di rappresentarvi e speranzosa di vederci senza distanze da mantenere, mando il più affettuoso saluto ai miei piccoli e giovani concittadini”.
L'assessore Mattei
Qualche giorno fa, proprio il 23 marzo, ha compiuto 75 anni uno dei cantautori italiani più controversi, non amatissimo dal grande pubblico e difficilmente inquadrabile in uno stile, un genere prefigurato: Franco Battiato.
Siciliano di nascita, Battiato nella sua lunga carriera artistica ha pubblicato circa 30 album - oltre a diversi “live” e qualche raccolta di successi - passando dal rock progressive all’avanguardia pura, dalla musica etnica alla canzone d’autore.
È stato inoltre compositore, pittore, regista e anche assessore al turismo della Regione Sicilia nella giunta Crocetta, solo per 5 mesi. Il suo long playing più conosciuto forse rimane ancora La voce del padrone del 1981 (Bandiera bianca, Cuccurucucù, Centro di gravità permanente ecc.), primo 33 giri a superare la soglia del milione di copie vendute in Italia.
Ma c’è una canzone delle sue che in questi giorni di quarantena e di speciale afflato protettivo verso i nostri cari è tornata ad essere ascoltata e le cui frasi sono citatissime sui social.
LA CURA, inserita nell’album L’imboscata (1996) e scritta insieme a Manlio Sgalambro, è considerata una delle canzoni d’autore italiane più ascoltate ed apprezzate di sempre, insieme a quelle dei cantautori storici più apprezzati.
Ma cos’ha di particolare, di così accattivante questa vera e propria lirica di fine secolo?
È una canzone intima, sussurrata, quasi come se fosse una lettera scritta ad una persona cara. Una specie di rivelazione d’amore in cui l’io narrante, al termine di ogni ritornello, ribadisce un impegno duraturo con il suo amato: “…perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te”.
Mi è capitato spesso di ascoltare questa splendida canzone come dedica di uno sposo alla sposa, o viceversa, in occasioni di feste di matrimonio o di ricorrenze speciali in cui si vuol rifondare l’amore di coppia, magari cantandola al karaoke dopo un brindisi festoso.
Ma parla davvero di amore tra due esseri umani questa canzone? Alcuni dicono di sì o così la vogliono leggere. “Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore, dalle ossessioni delle tue manie. Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare”.
Sembrerebbe davvero una classica dichiarazione d’amore. C’è chi però ha voluto attribuire un altro significato al testo, un po’ più alto e spirituale seppur sempre d’amore, tenendo conto anche che il co-autore Sgalambro è conosciuto come filosofo.
Ecco allora altre due ipotesi. Una vorrebbe che il testo sia un’invocazione accorata della parte spirituale della persona, quella ritenuta più alta, rivolta alla componente materiale, più terrena e mortale. “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via. Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai”. Sarebbe la coscienza, l’anima della nostra personalità a dichiarare il suo costante impegno a proteggere l’altra metà, quella che spesso si lascia illudere dalle apparenze materiali, illusa dai sensi e dal voler inseguire sogni vacui per poi cadere in delusioni da cui è difficile rialzarsi.
Un’altra ipotesi è invece più teologica. Sarebbe Dio stesso, il creatore del mondo e padre dell’umanità, a indirizzare quelle splendide parole a chi – persona - si trova a vivere momenti tempestosi, magari lutti, abbandoni o crisi spirituale, quasi a volerlo invitare alla meditazione, ad innalzare il proprio orizzonte, fino a stendere su di lui un’ala protettrice. “Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza. Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza”; “Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono. Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare”.
Non sembrano queste le frasi rivolte da Dio ai Profeti dell’Antico Testamento?
Queste sono solo impressioni personali, scaturite da un ascolto ripetuto e meditato del testo di questa canzone ammaliante, ma qual è la versione originale che ne hanno dato gli autori? Non lo so, forse non è nemmeno importante saperlo. Una volta che l’opera d’arte è completata e regalata al pubblico dall’autore, ognuno può farsi un’opinione personale, magari ripensandola ogni tanto alla luce del percorso artistico del cantante in questione e degli argomenti trattati in altre sue canzoni (cfr. E ti vengo a cercare).
Non rimane che ascoltarla e decidere quale delle tre ipotesi sia più verosimile e vicina alle nostre vite. O magari aggiungerne un’altra completamente nuova.
P.S. Questo mio testo, rivisto e integrato rispetto ad una precedente versione già pubblicata nel 2018, è dedicato all’amico Alessandro Mattei. Io e lui sappiamo perché.
Apprendiamo dell’improvvisa scomparsa del caro e grande maestro di Karate Giampaolo Grassucci. Il Maestro Grassucci era malato da pochi mesi. Siamo profondamente colpiti e addolorati, siamo vicini alla famiglia in un sincero e profondo cordoglio. Appena quattro mesi fa veniva a mancare all’affetto di tutti sua figlia Linda, grande amica e campionessa del mondo di Karate. Riposa in pace Maestro.
Riceviamo e pubblichiamo con piacere uno scritto del caro Rev.do Anselmo Mazzer, parroco per ben 27 anni della Cattedrale Santa Maria di Sezze, oggi Parroco presso Santa Maria Goretti di Latina, assistente ecclesiastico presso Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti nonché Assessore presso Tribunale Ecclesiastico diocesano.
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Non disapprovo i miei confratelli che, in questo tempo, trasmettono in streaming Messe, rosari, ecc. (ce ne sono dappertutto e a tutte le ore), in base al detto: ”Piuttosto che niente, è meglio piuttosto”. Tuttavia queste trasmissioni non mi affascinano.
Una prima motivazione è data dal fatto che può consolidarsi una vecchia mentalità, dura a morire, secondo la quale si “assiste” alla Messa: un rito che un prete da solo “se la suona e se la canta”; non importa se manca del tutto una assemblea che dà “corpo” alla presenza dinamica del Signore e se manca completamente l’obbedienza all’ordine di Gesù: “Prendete e mangiate; prendete e bevete”.
Ma il mio scarso entusiasmo verso le suddette trasmissioni è motivato dal fatto che “è dovere della Chiesa scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo” (Gaudium et Spes 4).
Allora, il Signore che cosa ci può voler dire attraverso quello che sta accadendo, senza ovattarne la forte e forse dura significatività?
Credo che ci sia bisogno di credenti che non aspettano semplicemente il ritorno alla normalità, ma persone che sanno cogliere questa occasione come “segno di questo tempo”, come “Parola di Dio”, prezioso momento di purificazione e di maturazione.
È inutile negarlo: siamo davanti ad un vuoto, non solo liturgico, che fa male.
Chi con serietà era abituato a partecipare ai Divini Misteri, sa che, mancando questa partecipazione, non manca un rito, ma la reciprocità con una Persona che si chiama Gesù Cristo.
Senza tentare di edulcorare la pillola, lasciamo che questo vuoto, provvidenzialmente, ci faccia male e stimoli la crescita di cristiani, in ascolto del Signore, assetati di senso e di pienezza. Altrimenti che senso avrebbe l’offerta di un bel bicchiere di acqua fresca ad uno che non ha sete.
Afferma il nostro Vescovo Mariano: “Anche questo è tempo di Dio, in tempo che Dio ci dà per ascoltarlo e seguirlo. Sarà un tempo privo, ma non per questo necessariamente vuoto: un tempo privo dell’Eucarestia deve diventare ancora di più un tempo pieno di Dio, a cominciare dal desiderio che, in questa assenza di Eucarestia, si fa ancora più forte”.
Infatti il vuoto brama una pienezza e soffre se non la trova. Come nel Cantico dei Cantici è indicibile il dolore della donna amata che perde di vista il suo grande amore e questo la spinge a cercarlo, fuori di sé, da tutte le parti e in tutti i modi. Come i credenti che ricevono nelle mani la Comunione. Che cos’è una mano concava se non una mano che desidera essere riempita dalla Pienezza?
Diciamo la verità: per quanti credenti e praticanti l’Eucarestia domenicale, il sacramento della Confessione, la preghiera quotidiana sono oggi pratiche scontate e forse sopportate, anche perché le abbiamo sempre “sottomano”.
Per quanti l’Eucarestia, pur partecipata ogni domenica, non è l’accoglienza della proposta di Gesù: “Permetti alla mia mentalità di diventare la tua mentalità e permetti alla mia vita di vivere nella tua vita?”. Per quanti, che pure frequentano, celebrare il sacramento della Riconciliazione (o Confessione) è come andare sulla sedia elettrica!
Siamo passati dalla “saturazione eucaristica” al “digiuno eucaristico”.
Lasciamo che questo vuoto faccia male, perché esso interpella, per fortuna, credenti e non credenti.
Ieri sera appena mi ha visto un tale che non mette in chiesa il piede neanche a Pasqua e Natale e che ha impedito al figlio di continuare nel post-cresima, mi ha detto testualmente: “Finalmente abbiamo messo i piedi per terra!”. Ho trattenuto le lacrime a stento.
Quante persone, specialmente adolescenti e giovani, che hanno impostato la loro vita sullo stile del “trullalero trullalà”, sono costretti oggi a prendere atto che dietro la porta di casa ci può essere concretamente … la morte; che c’è un maledetto virus, invisibile ma letale come il maligno, che ci vuol distruggere.
Ne abbiamo parlato il mercoledi delle Ceneri: davanti all’avanzare dell’apostasia (abbandono in massa della fede) credenti traballanti possono lasciarsi tentare dalla menzogna permanente di vivere senza Dio, perché lui, l’uomo di oggi, nella sua ridicola superbia, si crede dio. Anzi, sente dire che “senza Dio, è meglio”. È l’umano delirio di onnipotenza.
Forse in questi giorni quest’uomo deve rivedere la pseudo-certezza di credersi il padrone dell’universo, che punta tutto sulla civiltà tecnocratica senza un’anima. Chi pensava di avere, con la tecnologia, tutto sotto controllo è costretto a ricredersi.
Solo se questo vuoto ci fa male, ci potrà fare del bene. Ci potrà far aprire gli occhi e far fare la scelta, sempre perfettibile, che dà consistenza alla nostra esistenza attuale e futura: o il Tutto o il niente.
Siamo certi: nel cuore dell’uomo è presente un’intensa sete di calore e di luce. Gesù ci prende per mano, e, nonostante le tenebre della storia, si fa desiderare in noi perché, creati a sua immagine, diventiamo sua somiglianza per essere riflesso umile e luminoso della sua inesauribile speranza.
Don Anselmo
Settimo caso di contagio a Sezze, di cui 4 positivi ricoverati, due negativi e un caso in isolamento. Nel giro di 24 ore in città i casi sono aumentati di tre unità e sembrerebbero link di contagio non riconducibili tra loro. Per la Provincia di Latina e per i comuni del territorio questa, molto probabilmente, sarà la settimana più difficile, considerando che le misure sono state attuate in maniera determinata solo da poco tempo. Anche per Sezze è probabilmente così e i prossimi giorni saranno i più duri, i più difficili da contenere, ed è per questo che è necessario rispettare le misure adottate dal Governo e quelle prese dall' amministrazione comunale di Sezze. Restare a casa, non uscire per cose futili, evitare contatti con persone e rispettare divieti e raccomandazioni. Soltanto così possiamo sconfiggere il covid-19, non ci sono altre soluzioni.
"La situazione attuale richiede una maggiore responsabilità individuale, familiare e sociale. Benché i controlli siano continui purtroppo ancora circolano troppe auto sulla rete viaria. Ognuno ha la propria giustificazione ma in realtà ancora non entra nella coscienza individuale il rischio che si corre per sé e per gli altri". Il comandante e capo della Protezione Civile di Sezze, Lidano Caldarozzi, torna a chiedere maggiore collaborazione ai residenti in quanto in molti purtroppo continuano a non rispettare le misure imposte dal governo a causa del coronavirus. " Da domani - afferma ancora Caldarozzi - verranno monitorati i rifornimenti di benzina, i negozi aperti e relativi scontrini, le attività alimentari e gli ingressi ripetuti da parte delle stesse persone. Il Sig. Sindaco sta valutando l'ipotesi di emanare un'ordinanza limitativa della circolazione. Per il bene comune si chiede di attenersi alle disposizioni ed indicazioni date. Crediamo che la coscienza individuale vale più di ogni sanzione. Lo slogan Andrà tutto bene varrà se ognuno farà la propria parte". Da domani quindi nuova stretta sulle misure di prevenzione e controlli a tappeto su tutta Sezze. E' assurdo... ma c'è gente che ancora gira senza alcun motivo e senza considerare i rischi per la salute. In merito, in questi giorni, sono diverse le segnalazioni alle forze dell'ordine di residenti setini che girano a piedi e in macchina nonostante la difficile situazione che tutti stiamo vivendo. Segnalati anche assembramenti e passeggiate per il centro storico.
Ah, come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scender e ‘l salir per l’altrui scale! E se un giorno come le mascherine dovesse mancare il cibo? I versi di Dante ci conducono inevitabilmente a riconsiderare l’Agricoltura come Risorsa Strategica per la nostra Nazione ed a correggere i gravi errori del passato che l’hanno avvilita, mortificata e svenduta per altri interessi. La ricerca delle mascherine e delle altre forniture mediche che oggi ci sono indispensabili e che mancano, ci deve insegnare che l’Italia delle delocalizzazioni, degli investimenti portati all’estero e della “fede” nei mercati stranieri, si è riscoperta ancora una volta vulnerabile e fragile, oltre che costretta a prendere atto della propria dipendenza da altre Nazioni, o peggio ancora dai loro capricci, nel particolare momento di bisogno.
Giorno dopo giorno contiamo con orrore i morti e i contagiati in ogni angolo del mondo. Il nemico che abbiamo di fronte è invisibile e non mostra segni di stanchezza. Nella Bibbia è scritto (Esodo 32,35): "Il Signore mandò una mortalità nel popolo". Mi sono tornate subito in mente, leggendo questo versetto, le dieci piaghe d'Egitto, somministrate dal Dio biblico per liberare gli ebrei dalla schiavitù del Faraone Poi, fortunatamente, con la venuta di Cristo sulla terra, il Dio vendicatore ha lasciato il posto al Dio misericordioso: niente più vendetta, niente più odio! Si è diffuso universalmente il messaggio evangelico del "porgi l'altra guancia, e del "perdona il tuo fratello 70 volte 7, anche se chi ti fa del male". Eppure, nonostante la forza di quest’annunzio, nei secoli passati molti spesso sono prevalsi l'idea che il Male sia il risultato della vendetta divina. Alcuni esempi: la peste a Firenze durante il 1300, descritta da Boccaccio nel Decameron; la peste a Milano durante il 1600, narrata da A. Manzoni nei Promessi Sposi; la febbre spagnola che all'inizio del 1900 seminò circa cinquanta milioni di morti. Ma anche più recentemente, quando è scoppiato il virus HIV, qualcuno disse che il virus si era trasmesso per colpa del vizio del sesso. Insomma, nella storia passata e recente, non si è mai spenta in molti la convinzione inconscia che sono i peccati degli uomini a scatenare la vendetta di Dio. Non è così! Il coronavirus ci fa capire che la peste è il risultato di un cattivo rapporto dell'uomo con la natura e con noi stessi. Si tratta di un circolo vizioso: l'uomo inquina la natura, la natura inquina gli uccelli, gli uccelli inquinano l'uomo. Lasciamo stare, per favore, Dio che ci lascia liberi di decidere della nostra vita, nel bene e nel male. Il coronavirus si trasmette con il fiato, con il respiro, con le gocce di saliva e dello starnuto. Esso si annida dentro di noi. E noi siamo parte di un tutto. Perciò, in questi giorni drammatici, è vietato stare insieme. La nostra è una prossimità materiale e fisica, che non ha niente a che vedere con la religione. Non è Dio che ci castiga perché siamo peccatori. Dobbiamo invece cambiare il nostro rapporto con la natura, con gli altri animali, con noi stessi perché siamo figli della natura come tutti gli altri esseri viventi. La peste è il frutto dell’ingordigia e dell'avidità del genere umano. Mi auguro che quando questo morbo sarà scomparso, la gente potrà uscire da casa e prendere coscienza della fragilità dell’esistenza umana e rendersi conto delle cose veramente importanti, distinguendo tra ciò che vale e ciò che non vale. Che ci faccia capire che siamo tutti uguali, che il bene di ciascuno è il bene di tutti. Che siamo parte della natura, creata da Dio, e che se la rispettiamo, rispettiamo noi stessi e Dio; se invece la offendiamo, offendiamo noi stessi e Dio.
Gli 80 anni di Mina nei giorni tristi della pandemia
Scritto da Luigi De Angelis
In questi giorni segnati dall’angoscia e dalla sofferenza, celebrare la bellezza della musica e una delle sue più grandi interpreti, Mina, non è distrarci, fuggire dal terribile quotidiano, non pensare al demone funesto che ci ha fatto ostaggi e vittime, ma è alimentare la lampada della speranza, è guardare fiduciosi al domani pur con tutte le sue incertezze. La musica è vita, è iniezione di forza e risolutezza, è scoperta continua dell’autenticità e del valore delle cose.
Se dovessi spiegare le ragioni per le quali Mina mi ha stregato, mi ha rubato l’anima ed è divenuta la colonna sonora che colora le mie giornate, anche se non l’esclusiva, non saprei farlo. Incroci centinaia di persone e nessuna ti entra dentro, ti colpisce. Poi ne incontri una che non stavi cercando e t’accorgi che non hai mai desiderato altro, capisci che ogni passo fatto era un passo verso di lei, è il pezzo mancante che si congiunge e completa il puzzle, ti cambia in modo così profondo che non sei più te stesso e ti accompagna per il resto della vita. L’amore scoppia all’improvviso, per caso apparentemente. È fuoco ardente, nitroglicerina, emozione pura che divampa, ti sconvolge, ti trasfigura. È incontrollabile e non ha perché. È così nell’amore ed anche nella musica. Almeno per me lo è.
Mina è talento cristallino, possiede una voce straordinaria che giunge diritta al cuore, un dono divino. Lì dove gli altri faticano, sudano, si dannano l’anima per raggiungere la meta, ricorrendo a volte a trucchi ed espedienti, lei volteggia leggera e libera. Con una punta di spavalda noncuranza raggiunge vette vocali impensabili ai più e con spontanea naturalezza modula la sua voce, limpida ed acuta, stregando l’ascoltatore. Una volta chiamata soprano di agilità, oggi mezzosoprano, è capace di muoversi su un range di tre ottave ed anche qualcosa in più. La sua voce è ricca di un’inestimabile numero di armonici, ha una potenza non comune e una quantità non descrivibile di sfumature. E così da Il cielo in una stanza con cui per la prima volta vola in vetta alla classifica dei 45 giri più venduti, passando per Se telefonando, Città vuote, Una lunga storia d’amore, Mi sei scoppiato dentro il cuore, Grande grande grande, Parole parole, Bugiardo ed incosciente, per i capolavori assoluti di Fabrizio De Andrè e i brani straordinari del duo Lucio Battisti e Mogol, di Celentano fino all’ultimo album inciso con Ivano Fossati, senza dimenticare i grandi classici napoletani, le bossanove, il jazz e i Beatles, Mina attraversa negli anni la scena musicale e incessante continua a raccontare con le sue canzoni e la sua voce il nostro tempo contagiandoci con la forza della sua personalità indomita e anticonformista. Essendo un fanatico di calcio debbo menzionare Ossessione ‘70, una canzone costruita con i nomi dei calciatori, un “divertissement” su questa passione sportiva condivisa da molti e sulla grande euforia di tutti gli italiani dopo la partita del secolo “Italia – Germania 4 a 3” ai Mondiali del Messico del 1970. E poi Brava, scritta per esaltare la sua impareggiabile estensione vocale e L’importante è finire, canzone “scandalo”, all’epoca balzata in vetta alle classifiche, ma che per la carica di sensualità dell’interpretazione di Mina viene esclusa a lungo dai programmi Rai.
Showgirl e cantante all’apice del successo decide di sparire dalle scene, di sottrarsi per sempre e senza ripensamenti al circo mediatico, alle televisioni, al cinema, alla radio, al web, ai giornalisti, agli stessi ammiratori, a un mondo che troppo spesso assedia i talenti esaltandoli e distruggendoli, celebrandoli e consumandoli, una scelta che ha finito per consegnarci Mina in una intramontabile bellezza, l’ha trasformata in un mito e l’ha sottratta allo stillicidio del tempo. Incredibilmente questo suo nascondersi l’ha resa ancor più presente, questo suo non mostrarsi da oltre quarant’anni dimostra che per esserci non è necessaria la presenza fisica, che in tempi in cui conta molto spesso solo l’apparire basta soltanto ascoltare ed è per questo che non ha mai avuto non dico il desiderio, ma nemmeno la tentazione di tornare. È intramontabile con la sua carriera capovolta.
Da sempre Mina è una donna libera, emancipata e avanti non solo per aver lanciato mode, trucco, abiti, in campo musicale perché le sue canzoni precorrono i tempi, ma anche nella vita privata. La sua relazione con Corrado Pani, attore bravissimo e fascinoso, uomo sposato e al tempo non sposabile non essendoci il divorzio, è uno scandalo rumoroso, un atto di disubbidienza rispetto al pensare ipocrita e bigotto degli anni sessanta che le costa la cacciata dalla televisione. Lei giovane donna famosa ha osato l’inosabile e certo giornalismo vigliaccamente le si scatena contro con una volgarità e un accanimento senza precedenti, arrivando a chiamarla pubblica peccatrice. Il settimanale Epoca pubblica una sua foto con il pancione (aspettava il figlio Massimiliano avuto dalla relazione con Corrado Pani) e sorridente con la didascalia ”Ma chissà cosa avrà da ridere”. Nonostante il linciaggio Mina diviene sempre più celebre, sempre più brava e sempre più amata dal pubblico, interessato unicamente al suo talento e non alle sue tormentate vicende sentimentali.
Il 23 agosto 1978 è una data fondamentale nella sua carriera: è l’ultima serata alla Bussola del suo ultimo tour. Alle persone che quella sera sono con lei racconta la paura di apparire in pubblico, di cadere sul palcoscenico, di dimenticare le parole delle canzoni. Torna a Lugano, dove si è ritirata da un po’ con i suoi genitori, i figli Massimiliano e Benedetta, e non apparirà più in pubblico. Ha 38 anni. Sceglie di sottrarre se stessa e la sua famiglia alla curiosità, al gossip che l’ha perseguitata a lungo, di poter vivere liberamente. Nessuno è più riuscito a vederla. È divenuta un’immagine scomparsa che ognuno può immaginare. Intanto però non si dimentica di quanti la amano e continua a regalarci le sue canzoni, autentiche perle musicali, eseguite con la sua voce che il tempo ha resa ancor più di bellezza straordinaria.
Il 25 marzo è il tuo compleanno, Mina.
Auguri per i tuoi magnifici 80 anni!
Era diventato il segreto di Pulcinella, però a Sezze la notizia non veniva proprio ufficializzata. Tutti in silenzio… poi a fare il miracolo ci ha pensato whatsapp, come spesso accade ai tempi della comunicazione veloce, ed ecco che improvvisamente la notizia è diventata ufficiale. Da martedì prossimo il nosocomio setino San Carlo di Sezze avrà 16 nuovi posti letti, di cui 4 per pazienti a bassa intensità di medicina generale. La direzione della Asl è stata spinta ad una rimodulazione dei piani a causa dei contagi del covid-19. La Asl a Latina, inoltre, sta procedendo all’assunzione a tempo indeterminato di 167 infermieri dalla graduatoria del concorso svolto al Sant’Andrea.
Altro...
Basta. Sono ancora troppe le persone che anche a Sezze vanno in giro senza capire la gravità del momento. Sono tanti i residenti, stranieri e non, che se ne vanno a spasso senza capire i rischi del contagio e la diffusione del covid-19. A distanza di giorni ancora si vedono gruppi di persone che con superficialità e arroganza se la spassano per i vicoli senza alcuna ragione e senza alcuna protezione. Sono persone che hanno addosso la cosiddetta presunzione di incolumità, non capendo il reale pericolo che stanno attraversando per loro e per gli altri. La Polizia Locale di Sezze sta facendo il possibile per controllare i trasgressori ma il territorio setino è vasto e ci vorrebbe davvero l'esercito per controllare tutti. Il sindaco di Sezze, per consigliare e invitare tutti a restare a casa, poco fa ha pubblicato un video nel quale chiede a tutti di restare dentro casa. "Azzeriamo i contatti sociali, restiamo in isolamento per azzerare i contagi. Dobbiamo rimanere a casa - continua a dire il primo cittadino - è un momento di sacrificio per tutti. Le persone che non lo hanno capito devono assumere la consapevolezza e comportarsi con responsabilità. Se riusciamo a fare tutto questo ce la faremo a uscire da questo periodo e tornare a vivere nella normalità".
Ecco il video:
Prime denunce verso tre soggetti che in questi giorni hanno circolato per il territorio comunale di Sezze senza un giustificato motivo. La Polizia Locale di Sezze fa sapere che a seguito dei controlli preventivi svolti negli ultimi giorni sono state denunciati tre residenti per inosservanza della legge, soggetti che sono stati deferiti all'autorità giudiziaria. Il comandante della PL Lidano Caldarozzi "invita la popolazione a restare in casa, ad evitare di recarsi alla posta e/o banca se non per pratiche urgenti, a fare la spesa completa e non acquistare prodotti in più volte, evitare assolutamente di sostare seduti in panchine o effettuare passeggiate prolungate nel tempo". Si confida nella sensibilità individuale e famigliare che Sezze ha sempre dimostrato. Il sindaco di Sezze, Sergio Di Raimo, sottolinea in questi giorni di difficoltà "il senso del dovere e forte responsabilità che i ragazzi della Polizia Locale stanno dimostrando - ha detto - pur con le tante difficoltà dovute al numero esiguo presenza nel territorio, incessante attività di informazione, controllo del rispetto dei divieti e raccomandazioni e posti di blocco".
Ai tempi del Coronavirus anche la Chiesa, giustamente, non vuole perdere quella necessaria comunione con i fedeli. Le campane della Cattedrale in questi giorni molto particolari non hanno smesso di suonare, ed è stato per tutti un segno di continuità e di vicinanza. Adesso il Parroco della Cattedrale Santa Maria di Sezze, Padre Damiano si è organizzato per promuovere ogni giorno alle ore 18 un momento di preghiera con dirette facebook (profilo Cattedrale di Sezze) e con l’ausilio di altoparlanti. Già questa mattina Padre Damiano e Padre Tommaso hanno pregato in diretta e dato la benedizione nella III domenica di Quaresima su facebook, iniziativa molto gradita dai fedeli di Sezze. Da questa sera, quindi, flash-mob dai balconi del quartiere e diretta su internet, tutti insieme a pregare il Rosario. Ecco le parole del nostro Parroco Padre Damiano: “In questi momenti in cui ci sembra di essere soli, ricordiamoci delle parole del Salmo “Non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele” (Sal 121,4): chiediamo a Dio per mezzo della sua Immacolata Madre che assista tutti coloro che, malati, medici e infermieri, vittime con i loro familiari, sono impegnati in questa lotta e che salvi la nostra città, il nostro Paese e il mondo intero da questa epidemia. Per questo, da questa sera ci riuniremo tutti insieme per pregare il Rosario, ma non potendoci riunire fisicamente lo faremo con un flash-mob: sui balconi alle 18.00 eleveremo le nostre preghiere al Cielo”.
La Cattedrale di Santa Maria di Sezze
Viviamo l’esperienza del tempo rallentato, dilatato, che ha smesso di inseguirci in modo forsennato, in una corsa a perdifiato verso un altrove e un ulteriore inafferrabili e in fondo imprecisabili. Siamo immersi in una dimensione del vivere che ci lascia lo spazio e l’opportunità di assaporare lo scorrere di ogni singolo istante, di farlo nostro profondamente e autenticamente, di sperimentarne irripetibilità ed essenzialità, al contempo accorgendoci di quanti istanti unici abbiamo perso per distrazione, per superficialità o perché presi da mille affanni.
Viviamo l’esperienza degli spazi angusti, delle mura amiche delle nostre case che avvertiamo soffocanti, opprimenti. Confinati in casa, ci aggiriamo da una stanza all’altra all’inseguimento di un soffio di quella desiderata libertà che questa prigionia forzata sembra sottrarci goccia a goccia, in un distillato lento, amaro e duro da trangugiare. Tuttavia se ci fermiamo un istante percepiamo che proprio quelle mura, invalicabili e ostili, raccolgono le nostre storie, raccontano l’ordinarietà delle nostre vite, i piccoli gesti carichi di amore, le presenze di familiari e amici date per scontate al punto da non coglierne più la potenza arricchente, l’asprezza di conflitti, piccoli e grandi, a motivo di inquietudini e nervosismi che il quotidiano ci riserva, la dolcezza di parole scambiate, di carezze date e ricevute a cui spesso non attribuiamo il giusto peso e la necessaria importanza. Abbiamo l’opportunità di ricostruire e recuperare il significato della normalità degli affetti che ci rende pienamente noi stessi, senza la quale saremmo perduti in un indistinto senza emozioni e perciò senza futuro.
Viviamo l’esperienza del guardare lo scorrere degli eventi umani da una prospettiva inedita, distante dalle abitudini consolidate. Troppe volte dimentichiamo che ogni avvenimento, personale o collettivo, è tale nella sua oggettività esterna ed esteriore, ma si riverbera nella nostra interiorità, produce effetti nel nostro io, inducendoci a pronunciare parole e compiere scelte. Aver rallentato il flusso del vivere, ci offre l’opportunità di prendere coscienza di quanto sia importante, anzi vitale, affacciarci nel mondo dalla finestra della nostra interiorità, da un punto d’osservazione e valutazione realmente nostro, liberandoci da suggestioni esterne accattivanti, da condizionamenti spesso subdoli e nascosti, da punti di vista per partito preso, indotti da manipolatori esperti e senza scrupoli che tentano in ogni modo di orientare opinioni e desideri, illudendoci che siano nostri. Fare a meno di riflettere e ragionare e accodarci al flusso delle opinioni prevalenti, è spesso una soluzione comoda ma di certo non è un buon affare, perché è cessione inaccettabile della nostra libertà.
Viviamo l’esperienza del viaggiare pur restando fermi, dello scoprire luoghi e culture sorprendenti, solo in apparenza estranee e lontane perché tutte innervate di quella umanità che è nostra e di tutti parimenti, sia pur declinata secondo linguaggi e in contesti relazionali differenti ma in fondo uguali. La passione ardente negli occhi degli innamorati, i moti di rabbia e ribellione per una libertà o un diritto negato, l’ostilità e il rancore per un torto subito possono essere espressi con suoni e timbri diversi, nelle mille lingue di Babele, ma tutte raccontano la nostra unica essenza.
Viviamo l’esperienza della fragilità, della debolezza, della malattia che possiede le sembianze di un virus sconosciuto, che ci ha aggredito e ha sconvolto le nostre vite, rendendo necessario l’isolamento in casa, per tanti il ricovero in una asettica stanza di rianimazione e facendo sperimentare la più terribile delle esperienze umane, la morte, a quanti non ce la fanno, in particolare anziani, senza il conforto di una presenza, di uno sguardo, di una voce familiare che possa renderla più sopportabile. Trovo bellissime le parole di Eugenio Borgna, il quale nel suo saggio “La fragilità che è in noi”, ci ricorda che così come la sofferenza passa ma non passa mai l’avere sofferto, così la fragilità “è un’esperienza umana che, quando nasce, non mai si spegne in vita e che imprime alle cose che vengono fatte, alle parole che vengono dette, il sigillo della delicatezza e dell’accoglienza, della comprensione e dell’ascolto, dell’intuizione dell’indicibile che si nasconde nel dicibile”.
Viviamo l’esperienza del rifiuto, dei porti chiusi, del vederci respinti e indesiderati, del sentirci dire “non ti vogliamo”, di essere considerati moderni untori di un morbo dispensatore di sofferenze e morte. Tutto ciò inciderà la nostra carne viva e potrà essere occasione per ripensare profondamente quello che fin qui siamo stati, i tanti atteggiamenti stupidi e abominevoli di cui ci siamo resi interpreti. La speranza è che le lacrime versate in questi giorni possano essere il farmaco potente che sconfigge un’altra malattia che ha infestato menti e cuori in questi ultimi anni, la cultura dello scarto, della cattiveria, del respingimento degli ultimi del mondo che bussano alle nostre porte in cerca di futuro e di mettere in circolo nelle vene della nostra società gli anticorpi della solidarietà, dell’accoglienza e dell’amore.
Viviamo l’esperienza del sentirci un “noi” e non più esclusivamente un “io”, chiusi nell’autoreferenzialità, indifferenti a quanto ci accade intorno, impegnati a custodire il nostro spazio egoistico. Ci siamo riscoperti comunità e da questa emergenza possiamo ricavare una lezione straordinaria di fratellanza e condivisione: la tua vita è anche la mia, la mia salvezza non dipende solo da me ma anche dagli altri e sono chiamato a collaborare per costruire il bene di tutti, il bene comune, proteggendo i più deboli, i più esposti, gli anziani, i malati, i bambini…. L’isolamento poi è solo apparente perché gli altri sono presenti accanto a noi con la loro lontananza e la loro assenza, è atto sociale di profonda solidarietà ed esercizio massimo della libertà che è realmente tale se non dimentichiamo le conseguenze delle nostre azioni nella vita degli altri, della nostra città e dell’intero Paese. Soprattutto abbiamo scoperto che i veri eroi, gli idoli da ammirare e imitare sono quanti nel silenzio e nel nascondimento, quotidianamente spendono le loro esistenze per gli altri, i medici, gli infermieri in questo frangente particolare e in generale quanti operano in modo disinteressato e senza clamori e fanfare aiutando quanti hanno bisogno.