Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalita' illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie, per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

E’ passato un anno esatto dalla nascita ufficiale del Comitato “murodellatèra”. Il 20 maggio del 2019 gli aderenti al comitato spontaneo inviavano una lettera aperta al sindaco e alle massime cariche istituzionali della città per chiedere la sospensione dei lavori avviati per la realizzazione del monumento di San Lidano. Da pochi giorni infatti nel Belvedere di Santa Marisa di Sezze era stato realizzato uno scavo molto profondo e da lì a poche ore, lavorando anche sotto la pioggia, gli operai della ditta incaricata realizzeranno il primo basamento in cemento armato e l’armatura di tutta l’opera voluta da Don Massimiliano Di Pastina. A distanza di un anno ripubblichiamo integralmente il testo della lettera che venne spedita il 20 maggio di un anno fa, una lettera dove il Comitato aveva già delineato quelli che sarebbero stati poi i successivi passaggi, i timori, le richieste e l'assenza di partecipazione e condivisione fatta notare da autorevoli esponenti del mondo politico e culturale. Tutti appelli, ad oggi, caduti nel vuoto.

____________________

 

Ecco il testo integrale della lettera

 

 

            Gentile Sig. Sindaco, siamo un neonato Comitato spontaneo di cittadini che ha a cuore la tutela del paesaggio e dei beni pubblici del paese in cui sono nati e vivono. Le chiediamo fin da subito di fare in modo di ritirare, attraverso gli uffici competenti e gli organi di Polizia municipale, in autotutela, il permesso concesso per la realizzazione del monumento riferito in oggetto.

            Del tutto recentemente, non appena siamo venuti a conoscenza dell’inizio lavori per aver visto il cantiere presso il Belvedere di Santa Maria, ci siamo costituiti informalmente per provare a non consentire l’ennesimo deturpamento del patrimonio urbanistico e paesaggistico che si sta perpetrando da anni a Sezze.

            Leggendo la cartellonistica esposta sul cantiere già avviato, e vedendo l’enorme buca appena scavata, abbiamo scoperto inoltre che non si tratta di un lavoro pubblico con committente il Comune di Sezze, bensì a cura di un concittadino, Don Massimiliano Di Pastina.

Approfondendo la questione nei giorni successivi attraverso la consultazione degli atti di Giunta sul portale internet del Comune di Sezze, sezione albo pretorio, siamo venuti a conoscenza che in data 1.6.2018 (Reg. n. 92), la Giunta, riunita presso la residenza municipale, ha deliberato, con voto unanime di tutti gli assessori, alla presenza del Segretario comunale dr.ssa Falso Daniela, di “prendere atto della proposta di donazione (riportato in premessa della deliberazione, su cui torneremo), di accettare la donazione stessa con l’acquisizione del bene al patrimonio dell’Ente, di demandare ogni atto  conseguenziale ai responsabili competenti, di dichiarare la presente deliberazione immediatamente esecutiva ai sensi dell’art. 134, comma 4, del T.U. n. 267/2000”.

Con successivo passaggio di giunta dell’8.6.2018, è stato precisato che “Don Massimilano Di Pastina rimarrà l’unico proprietario della scultura di San Lidano”. Anche questo è un aspetto che ci lascia a dir poco basiti.

Da giugno 2018 a maggio 2019 il Comune di Sezze non ha mai ritenuto doveroso rendere pubblico il progetto, né con avvisi di stampa né con auspicabili passaggi in Consiglio Comunale, le cui sedute sono riprese e trasmesse su canali internet, per cui qualcuno tra i cittadini sarebbe venuto a conoscenza ben prima dell’inizio lavori dell’operazione, avviati il 9 maggio 2019.

Sembrerebbe trattarsi quindi di una “donazione” di un privato cittadino, ancorché sacerdote e direttore dell’Archivio Capitolare della Cattedrale di Sezze e del Museo diocesano d’Arte Sacra di Sezze, che in una lettera del 12 Aprile 2018 ha chiesto “l’autorizzazione a realizzare un monumento con scultura bronzea di San Lidano (non ci è stato possibile vederla in bozza, né conoscerne lo stile o il nome dell’autore ma alta 1,8 m. da collocare su un basamento di 1 m. di altezza - per un impatto totale di circa 2,8 m in altezza) in Piazza Duomo, su area pubblica, sulla base di un progetto a firma dell’Architetto Ferruccio Pantalfini depositato presso il settore tecnico”.

Di seguito, nel primo atto di giunta del 1.6.2018 sono riportati una serie di passaggi istituzionali per acquisizione dei pareri, tra cui ci preme segnalare per solerzia quello rilasciato, e favorevole, dalla Soprintendenza di Latina in data 24 aprile 2018, a fronte di una richiesta trasmessa ufficialmente dall’Ente comunale in data 23 Aprile 2018, cioè il giorno prima.

Orbene, non sta a noi valutare la compiutezza dell’approfondimento tecnico del progetto a cura della Soprintendenza competente chiamata ad esprimere il parere di Legge, per documentazione che risulta acquisita, esaminata e rilasciato il parere in un solo giorno. Facciamo notare che non essendoci nel caso in questione nessuna urgenza di realizzazione del progetto trattandosi di un’opera ex-novo, non di lavori di consolidamento di un’opera preesistente, la subitanea risposta della Soprintendenza ci appare anomala.

Inoltre, ci preme sottolineare un aspetto, non sufficientemente chiarito nella richiesta formalizzata dal committente, ma inserita nella relazione tecnica allegata al progetto.

Infatti, solo leggendo la sopra citata relazione, emerge violentemente (suffragata dalla prova ex-visu dell’area cantiere ora operativa) che l’area in cui sarebbe stata posta la statua è sì in Piazza Duomo, ma non accanto all’entrata della Cattedrale di S. Maria o nei pressi dell’ingresso verso l’area interna della Canonica e del locale Museo Diocesano, come sarebbe stato forse più consono e con minor impatto urbanistico e paesaggistico.

Ebbene no! Il progetto prevede che la statua del co-Patrono della nostra città sarà collocata proprio al centro dell’area prospiciente il più bel “belvedere” tra i paesi dei Monti Lepini (ci sia consentito un po’ di sano campanilismo) che affaccia direttamente sulla Pianura Pontina. Un’opera ad alto impatto spaziale, alta in totale 2,8 m dal livello della pavimentazione, che renderebbe quel luogo non più lo stesso. Inoltre è previsto, con un secondo lotto di lavori (non ancora definito nella tempistica) che al momento non risulta finanziato dal committente della statua né da altri fondi all’uopo accantonati da codesto Ente o da altri: un restiling dell’intera area pedonabile con un progetto di lavori già definito ed allegato alla prima richiesta.

Non si tratta quindi semplicemente di una statua da collocare in Piazza Duomo, ma di un vero e proprio obnubilamento della libera visuale del “Muro della tèra” (così chiamiamo quel luogo noi sezzesi), lo spazio libero ed infinito verso l’orizzonte, fino al mare e alle isole Pontine, che sorprende ed affascina tutti i visitatori della piazza. Sarà capitato anche a Lei, Signor Sindaco, di accompagnare qualche amico forestiero in quella piazza, che attratto inizialmente dalla bianca ed antica facciata del Duomo (ahimé deturpata anch’essa da una colata di cemento messa a ricoprirne il tetto) si sarà accorto all’improvviso, voltando lo sguardo verso destra, dell’infinito libero spazio che dona la visuale verso l’orizzonte e che nelle giornate serene rallegra il cuore.

Per noi sezzesi quello spazio è molto di più di un largo calpestabile, di un marciapiede; ognuno ha ricordi legati a quell’affaccio ogni volta sempre più sorprendente. Ci sono storie, aneddoti, poesie dialettali e memorie intime che hanno visto quello stesso spazio occasione di riflessione e contemplazione, magari dopo matrimoni e funerali dei propri cari, come luogo ideale che nel cuore è rimasto a molti sezzesi. Forse (lo diciamo con dolore) quello è l’ultimo luogo incontaminato e non deturpato da orpelli e suppellettili architettoniche che è rimasto a Sezze, di un valore naturalistico e paesaggistico inestimabile. Peraltro, proprio nello spazio sottostante a quell’area, oggi difficilmente raggiungibile e in stato di abbandono, ci sono delle grotte ad alta volta che contenevano ossari della cattedrale ed altre strutture antiche.  stato tenuto in debito conto anche questo aspetto, di valore storico, archeologico e statico, nei pareri tecnici emessi per il lavoro in questione?

Questo è il valore che vogliamo proteggere, non di una semplice polemica si tratta. Quel bene è di tutti e di nessuno in particolare, nessuno dovrebbe pensare di posizionarci una statua propria, seppur dedicata ad un Santo. Sì, uno spazio vuoto, uno slargo con affaccio mozzafiato che a nessuno dovrebbe essere consentito poter deturpare, riducendo di fatto l’impatto del punto di vista unico. Non si tratta tanto di non voler concedere uno spazio alla statua del Santo protettore Lidano (che peraltro è rappresentato e onorato da un’antica statua lignea e da un busto d’argento con reliquie nell’adiacente Cattedrale, sotto il cui altare maggiore riposano – forse dimenticate – i resti del Santo). Né si tratta di una posizione pregiudizialmente antireligiosa o contraria alla tradizione e devozione cittadina. Avremmo avuto lo stesso da ridire se nello stesso posto fosse stata intenzione di qualche mecenate collocare una statua di un eroe della Patria o di altro concittadino illustre del passato, anche laico.

Non vogliamo neanche sospettare alcunché sul perché si sia accettata una tal donazione “all-inclusive”, pensata altrove, blindata e basata non su iniziativa popolare ma sull’idea di un unico cittadino, forse in cuor suo benefattore, che non possiamo condividere e accettare acriticamente (come sembra aver fatto la Giunta, non prevedendo neanche un passaggio in Consiglio Comunale, pur essendo prevista la concessione di uno spazio pubblico) perché ad alto e negativo impatto sull’urbanistica della piazza e sul luogo chiamato belvedere. Ci sentiamo di batterci per quel belvedere, spazio unico e da tutelare strenuamente, nel rispetto del valore incommensurabile del bene e della pace interna che lo sguardo regala all’osservatore, chiunque esso sia.

A voi amministratori di oggi, noi cittadini di oggi chiediamo di tutelare quel luogo, quello spazio (magari trovando invece donazioni e/o fondi per manutenerlo e renderlo fruibile in sicurezza), quello sguardo verso la pianura che non ha prezzo e che abbiamo il dovere di lasciare ai cittadini che verranno, ai sezzesi del III millennio, ed ai potenziali turisti del futuro.

Sarebbe un vero peccato continuare nel percorso già avviato e completare i lavori.

Non si può disperdere un patrimonio di così alto valore e memoria solo per il capriccio o la santa idea (dipende dai punti di vista) di un privato committente, che peraltro pare rimanere comunque proprietario della statua seppur insistente e stabilizzata su luogo pubblico. In quello stesso spazio, forse anche San Carlo si sarà affacciato a contemplare l’orizzonte, a trovare risposte all’inquietudine umana che lo portò alle scelte radicali e alla vocazione religiosa.

Lo chiediamo a Lei signor Sindaco, lo chiediamo a tutte le Autorità in indirizzo.

Prima che sia troppo tardi e che quella statua possa diventare oggetto contrastato di devozione e/o denigrazione, con indubitabile deturpamento del “Muro della tèra”, recando disonore a voi amministratori pro-tempore - eletti a tutela dei valori di questa comunità-, e a noi cittadini che non abbiamo fatto sentire alto e forte il grido del popolo impoverito di un bene pubblico unico: fate in modo di ritirare, in autotutela, le disposizioni che hanno consentito l’avvio di quei lavori e lasciate l’intera area così com’è da tempo immemore.

In caso contrario, comunichiamo fin d’ora l’intenzione di intraprendere ogni azione di coinvolgimento e partecipazione popolare, di comunicazione pubblica e di percorso legale (tra cui il ricorso al Referendum previsto dall’Art. 37 dello Statuto Comunale), che possa interrompere l’iter già avviato e/o restituire in seguito la fruizione dello spazio a tutti coloro che vorranno continuare a farsi sorprendersi da quella visuale mozzafiato e stazionare lì per qualche minuto.

Sezze, 20 maggio 2019

Il Comitato spontaneo “Muro della tèra”

 

 

 

 

“Sul Belvedere, essendo segretario di circolo, in questo momento preferirei non rilasciare dichiarazioni…”. Il giovane e neo segretario del Pd di Sezze, Daniele Marchetti, fresco di nomina, risponde così ad una richiesta di intervista sulla vicenda del Belvedere. Detto diversamente se ne vuole lavare le mani come Pilato, sperando che la patata bollente passi nelle mani di altri dem, divisi e in difficoltà sull’unico argomento vivo dell’amministrazione comunale targata Di Raimo. Giovedì 21 maggio sarà un anno esatto dalla sospensione dei lavori al Belvedere da parte dell’Ufficio Tecnico comunale. Un anno in cui sono successe molte cose importanti e meno importanti, un anno però durante il quale l’affaccio al belvedere è rimasto comunque ostruito da un cantiere privato per realizzare un monumento a San Lidano voluto da Don Massimiliano Di Pastina e da suo fratello Ernesto Di Pastina, consigliere comunale di Sezze. In questo anno, quella che inizialmente è stata fatta passare come un’opera che non si doveva far sapere, se non a lavori iniziati, ha prodotto autorevoli interventi e acceso una discussione e un dibattito senza precedenti negli ultimi decenni a Sezze. Il Comitato, liberi cittadini, autorevoli esponenti politici ed istituzionali, professori e uomini di cultura hanno espresso la loro opinione nel merito, sottolineando sempre la mancata partecipazione e condivisione da parte del sindaco su scelte importanti come quello dello stravolgimento del Belvedere di Santa Maria. Nessuno è mai stato contrario alla Statua ma solo al posizionamento della stessa al centro del Belvedere, un atto deciso a tavolino due anni fa. In questi mesi l’on. Sesa Amici, l’On. Lelio Grassucci, il prof. Giancarlo Loffarelli e altri cittadini hanno espresso liberamente il loro pensiero su quanto si vuole realizzare. Gli unici che tacciono da un anno esatto sono i diretti interessati e chi, probabilmente, ha delle remore per farlo. Tra i tanti, francamente, non pensavamo di annoverare un giovane intelligente e brillante qual è Daniele, sempre disponibile e gentile. Gli ricordiamo al neo segretario che ricoprire un ruolo politico qual è quello di segretario di circolo comporta però necessariamente delle responsabilità ed una autonomia che il ruolo stesso richiede e impone. Tacere e aspettare che passi la buriana per poi fare dichiarazioni successivamente è come ammainare le vele prima di partire, è come chiedere la parola quando la lezione è già terminata. Il Pd è partito di maggioranza a Sezze ed è anche il partito del sindaco Di Raimo. Una volta le segreterie politiche portavano all’ordine del giorno del direttivo argomenti e problemi che venivano discussi ed eventualmente approvati. Poi il capogruppo del partito relazionava in aula consigliare la linea del partito, una linea che rappresentava la maggioranza degli iscritti. Oggi non sappiamo se manca la linea o il partito stesso.

Domenica, 17 Maggio 2020 06:14

Tempi difficili e politici mediocri

Scritto da

 

 

 

 

 

 

Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’incendio del Reichstag, e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di fatto l’assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere” (Alain Deneault)

L’esperienza imprevista del coronavirus ci consegna ad un futuro economicamente e socialmente incerto, ma ci offre anche l’opportunità di ripensarci a fondo, di rivedere certo nostro individualismo esasperato, l’illusorio differenziarci che ci ha precipitati nel conformismo, ci sfida a riconsiderare il come e il perché delle nostre comunità, a farci carico dell’esigenza di una loro rigenerazione profonda negli obiettivi e nei progetti, rimettendo al centro il bene comune inteso non come mera sommatoria di egoismi personali e di gruppo, ma come idea complessiva di progresso che non escluda o lasci indietro nessuno.

È finita un’epoca e nulla sarà come in passato, si sente ripetere da più parti, anche da alcuni attori della politica nostrana, con insistenza riflessiva e mesta, con nostalgica e rassegnata gravità e insieme con malcelata e fiduciosa aspettativa che si tratti di una prospettiva scansabile e, se proprio necessaria, almeno solo di facciata: tutto cambi ma in apparenza e tutto resti uguale nel perpetuarsi del comodo presente. Altri invece ricorrono al silenzio esorcizzante, indifferenti all’argomento perseverano nei loro comportamenti in tutto identici al passato recente, fingono di non vedere speranzosi di riprendere il discorso giusto nel punto in cui, qualche settimana fa, si è interrotto, di ricominciare come prima, di tornare a lucrare consensi a buon mercato, consolidare carriere e garantirsi rendite di posizione senza affanni e la necessità di reinventarsi un domani, magari fuori dalle stanze del potere.

Riaprire e ripartire, parole condivisibili e di buon senso, palesano però in molti una superficialità preoccupante, un velleitarismo pericoloso e incurante delle proporzioni della sfida sanitaria ed economica da affrontare, degli indispensabili e innovativi strumenti di cui dotarsi per riorganizzare lavoro e relazioni, una inadeguatezza ad analizzare la realtà e a pensare progettualità che prevedano un mutamento radicale di stili di vita e di comportamento e non siano solo un vezzeggiare gli egoismi personali e il rivendicazionismo corporativo. Dopo anni di martellante ideologia individualista, per cui la società non esiste, esistono solo gli individui, secondo la visione di Margaret Thatcher divenuta senso comune globale, nella convinzione di poter essere felicemente liberi perché senza regole se non quelle del mercato competitivo e auto-regolantesi, dove il noi non conta, o conta molto meno, o conta un noi liquido, come direbbe Bauman, puntiforme o usa e getta, lo sforzo più importante è ricostruire una visione di società e socialità, di polis fondata su regole etico-morali e civiche condivise e rispettate, che promuovano l’uomo, la sua dignità e la solidarietà e siano finalizzate a realizzare una convivenza tra uguali nelle opportunità, un vivere con e non una semplice giustapposizione di individui, dove il legittimo interesse di ognuno si contemperi e concili con l’interesse di tutti, le persone non siano un frammento efficiente del sistema produttivo pena l’espulsione e l’eliminazione, ma un valore in sé da tutelare attraverso una effettiva giustizia sociale, economica ed ambientale.

L’esaltazione del lavoro di medici e infermieri, le manifestazioni di solidarietà e vicinanza, il ripeterci continuamente ce la faremo non bastano se non ci sforzeremo di vivere diversamente, provando a immaginare, progettare e realizzare una società migliore. Ciò necessita un salto qualitativo della rappresentanza politica a tutti i livelli, un ricambio di persone. Governare i tempi inediti che abbiamo davanti richiede rigore morale, spessore culturale e credibilità. Abbondiamo di politici, ma di statisti in giro se ne vedono assai pochi e siffatto limite è drammatico. L’affermazione di Alain Deneault si attaglia appieno al nostro Paese. La mediocrità ha preso il sopravvento, figlia di una rivoluzione suggestionante, facente leva su buon senso e luoghi comuni, anestetizzante le coscienze critiche. Si è scagliata contro il professionismo politico, la casta e i privilegi, ma la sua carica innovativa è stata solo apparente, pura retorica volta a sviare l’attenzione, a stabilizzare, a non disturbare o contestare l’ordine economico e sociale, a massificare idee e comportamenti, a fornire opportunità di realizzazione a scappati di casa senza prospettive. La mediocrità è divenuta un modello cui conformarsi, caratterizzato da un linguaggio definito del popolo e in realtà solo maleducato, dalla cancellazione delle differenze tra destra e sinistra con conseguente affermazione di un’idea esclusiva del mondo con annessa intolleranza verso chi la contesta. Beninteso mediocrità non significa incompetenza. Il mediocre è un mediamente competente, a metà tra gli incompetenti, inutili perché inefficienti e non funzionali, e i supercompetenti, troppo incontrollabili e ingestibili per essere accettati, il cui spirito critico deve essere ristretto e limitato entro confini definiti e prevedibili: sta al gioco e gioca senza contestare le regole, piegandosi ossequioso ad esse e a quanti nel piccolo e nel grande esercitano un minimo di potere onde garantirsi il posizionamento sullo scacchiere sociale, accettando i compromessi favorevoli a raggiungere obiettivi immediati e così dimostrare di essere affidabile.

A nessuno sfugge che, per quanto impietoso, questo è la stato della politica italiana che guarda ai consensi e non ai cittadini, dal livello locale fin nei piani più alti, fatte salve le eccezioni. Possiamo cogliere l’occasione per dare un colpo d’ala, per riappropriarci del nostro destino e interrompere il circolo vizioso che porta a ricoprire ruoli e funzioni non i migliori ma chi garantisce il gruppo che li nomina ed è disponibile a mantenere attivo tale meccanismo autoriproducentesi. Diversamente stiamo pur certi che non andrà per nulla tutto bene e difficilmente ci risolleveremo. Non lasciamoci ancora ammaliare dai pifferai magici, dai narcisi del potere, dai cantori dell’impossibile e ladri del futuro. I tempi sono difficili e proprio per questo dobbiamo dimostrarci coraggiosi.

 

 

La storia della nostra amata Sezze, soprattutto quella del periodo storico in cui lo Stato Pontificio è stato l’Autorità civile e religiosa, scritta a caratteri scolpiti sui marmi delle nostre chiese, lascia tracce di episodi antichi a futura memoria, sconosciuti a studiosi e cittadini, che ci invitano a riconsiderare il presente sui valori comuni condivisi e a conservare queste testimonianze.

In questo tempo di quarantena da Covid19, la navigazione online ci ha aiutato a resistere alla clausura forzata e ad approfondire i nostri hobby, cercando risposte a curiosità personali.

Quanti Papi, nei due millenni di storia della Chiesa cattolica, sono stati personalmente in visita a Sezze?

Da questa domanda sono partito, la materia mi affascina e pur non essendo uno storico - e mi scuso in anticipo per eventuali imprecisioni, errori nel presente testo o incompletezza - le ricerche a partenza da Google, senza la necessità di frequentare fisicamente archivi e biblioteche, offrono adesso un mare magnum utilissimo a perder tempo ma anche a scovare mille informazioni vere, da inseguire, approfondire e ricollegare tra di loro (Ringrazio personalmente tutti i curatori dei siti internet e gli autori dei testi citati).

Nel sito internet della Compagnia dei Lepini, nella pagina Cenni storici di Sezze è così riportato “Diversi papi soggiornarono a Sezze e a volte per lungo tempo: Gregorio VII nel 1073, Pasquale II nel 1116, Lucio III per circa un anno nel 1182”. Do per buona la notizia pur non avendo trovato citata la fonte bibliografica e aggiungo che anche di Sisto V e Sisto VI si ricordano le rispettive visite a Sezze, dicono finalizzate a meglio controllare dall’alto della collina lo stato dei lavori di bonifica avviati nella olim palus pontina.

Trovo interessanti notizie su queste ultime visite papali nella rivista online Lepini Magazine e su www.setino.it di Ignazio Romano, in cui sono ancora consultabili articoli pubblicati tempo fa dai concittadini appassionati  Roberto Vallecoccia e Vittorio Del Duca.

È fama che dalla cima di un colle rimpetto alla città e presso il monte Trevi si mettesse  a riguardare la palude, che resta tutta esposta alla vista; ed un sasso, sopra cui dicesi che il Papa (Sisto V) si ponesse a sedere, porta anche al presente il nome di Pietra di Sisto, dal volgo altresì detta Sedia del Papa” (De bonificamenti delle terre pontine - opera ottocentesca di Nicola Nicolai).

Anche il successore Papa Pio VI, anni dopo, si ritrovò più volte a Sezze su quella pietra improvvisata sedia papale, punto di osservazione privilegiato sulla bonifica ancora in corso. Si racconta che l’ultima visita di Papa Braschi ci fu nel 1798, poco prima della sua morte (quest’ultima dovrebbe essere l’ultima visita ufficiale a Sezze di un Romano Pontefice) allorché, una volta catturato dai francesi, chiese di vedere per l’ultima volta lo stato di avanzamento dei lavori di bonifica – apparentemente quasi conclusa - dei territori di Sezze, Priverno e Terracina. Questo momento è stato riprodotto nella stampa “Les Marais Pontains” di Raphael Morghen, la cui matrice è conservata presso il British Museum di Londra. 

Proseguendo nel viaggio da internauta mi imbatto in una pagina di un sito internet dedicato alla Cattedrale di Sezze, forse non più attivo, in cui trovo un riferimento ad un altro Papa che ha visitato il nostro Paese e all’improvviso mi torna alla mente un lontano colloquio con il mio amico, artista ed appassionato di cimeli e stampe antiche, Franco Vitelli.

In questa pagina web http://web.tiscali.it/s.maria.sezze/s_filippo.html la fonte del testo riportato è precisata in calce e fa riferimento ad una pubblicazione “La cattedrale di Sezze” di Luigi Zaccheo, che a sua volta cita tra la bibliografia consultata, alcuni testi più antichi di Marocco e Cerroni.

Entrando nella Cattedrale di Santa Maria, e progredendo sulla navata di sinistra, sulla parete laterale del piano sopraelevato del transetto, troviamo ancora oggi un altare barocco dedicato a San Filippo Neri, con al centro una pala d’altare del sec. XVIII raffigurante il Santo raccolto in preghiera (non è citato l’autore), con un grande angelo che lo tocca in segno di protezione e due piccoli angeli seduti che hanno un giglio in mano. 

San Filippo Neri era vissuto a Roma nella metà del 1500 e si era distinto per la sua incessante opera di carità da parroco soprattutto nell’assistenza di poveri e malati. Canonizzato nel 1622, è passato alla storia con il nome di Santo della gioia e anche per il linguaggio colorito con cui si lasciava andare nelle conversazioni con i tanti giovani che ospitava, rifocillando ed educandoli alla fede, nel suo Oratorio di S. Maria in Vallicella (“State buoni se potete…”). Davanti a quell'altare schiere di bambini di Sezze della mia generazione - e anche prima - si sono sempre soffermati non tanto per pregare o per ammirare il quadro, ma perché attratti dall’urna in cui erano conservate le spoglie di San Leonzio, con i suoi abiti in stile militare decorati finemente e la piccola spada antica, che risultano essere state donate dal Cardinale Pietro Marcellino Corradini alla sua città natale (chissà che fine ha fatto San Leonzio ora, non l’ho più ritrovato al solito posto qualche mese fa quando ho provato a incuriosire mia figlia Sofia).

Proprio accanto a questo altare vi è ancora una lapide in marmo bianco con una scritta in latino che ci ricorda la presenza di un Papa a Sezze, Benedetto XIII (al secolo Pietro Francesco Orsini, 245º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1724 al 1730), presente al rito solenne avvenuto proprio su quell’altare dedicato a S. Filippo - di cui il papa era devotissimo - il 26 Maggio 1727.

AETERNAE MEMORIAE BENEDICTI XIII ORD. PRAED. PONT. MAX QVOD SETINAM ECCLESIAM SVO SPLENDORI RESTITVERIT HOC TEMPLUM PONTIFICIA MAIESTATE ILLVSTRAVERIT REM DIVINAM IN EO SOLEMNI RITV DIE XXVI MAH A. D. MDCCXXVII PEREGERIT ET CONCIONEM E SVGGESTV INTER MISSARVM SOLEMNIA IN S. PHILIPPI NERI LAVDEM HABVERIT CAPITVLVM ET CANONICI OB INGENTIA ERGA SE BENEFICIA AC SINGVLAREM OPTIMI PONTIFICIS CLEMENTIAM POSVERE .

Cerco in rete altri dati su questo Papa e scopro che anni prima era stato Arcivescovo di Benevento (Enciclopedia Treccani) e che da Papa ebbe a tornare per due visite pastorali in quella città: la prima tra Marzo e Maggio del 1727 (l’altra nel marzo-giugno 1729) in cui ebbe anche l’onore di inaugurare la Chiesa dedicata a S. Filippo Neri, di cui aveva iniziato anni prima la costruzione (ndr: attualmente il pastore metropolita della Diocesi beneventana è S.E. Arcivescovo Felice Accrocca, nativo di Cori, sacerdote diocesano e parroco in varie parrocchie della Chiesa pontina, anch’egli presente più volte a celebrazioni liturgiche nella Cattedrale setina).  

Evidentemente Benedetto XIII, proprio di ritorno dal faticoso viaggio sulla strada verso la Capitale, aveva già preventivato di fermarsi a Sezze, lo deduco da quanto avvenne in seguito. Nel sito dell’Archivio Capitolare di Sezze, in seguito scopro che “Con un decreto della Congregazione dei vescovi del 30 settembre 1986 la cattedrale di S. Maria  - già decorata, da Benedetto XIII (1724-1730) del titolo di basilica, distinzione rinnovata nel 1808 dal Capitolo lateranense -  ha assunto il titolo di concattedrale”. Un atto ufficiale di quel Pontefice che aveva insignito la nostra bellissima cattedrale del titolo di Basilica.

Scopro inoltre che le due bolle pontificie originali di Benedetto XIII, inizialmente conservate dai canonici della Cattedrale, risulterebbero ancora conservate presso l’Archivio di Stato di Latina, pervenute per regolare versamento dall’Archivio storico comunale di Sezze e mai reclamate dalla Chiesa dopo il 1870.

Ed ancora, seguendo altri link interessanti, mi imbatto in un’altra notizia su Benedetto XIII, che era dell’Ordine Domenicano, riportata sul sito di Avvenire nel 2017: “A Roma nella sede del palazzo del Laterano il 24 febbraio scorso si è chiusa alla presenza del cardinale vicario Agostino Vallini la fase diocesana della causa di beatificazione. A dichiararlo servo di Dio, su spinta dei suoi confratelli domenicani, è stato nel 1931 Pio XI”. Tra qualche anno, chissà, la Chiesa potrebbe innalzare agli onori degli altari questo Papa, pugliese di nascita e che fu sepolto dapprima nella Basilica Vaticana per poi essere traslato anni dopo nella chiesa romana di S. Maria in Minerva.

Sotto la stessa notizia, una nota biografica: “Aveva 81 anni Benedetto XIII quando il 21 febbraio 1730 morì a causa di una febbre: spirò santamente e per non disturbare il popolo romano impegnato a festeggiare l’ultimo giorno di Carnevale dispose che non venissero suonate le campane a morto. I suoi resti mortali dal 1733 riposano nella Basilica romana di Santa Maria sopra Minerva, affidata da secoli ai domenicani”. Un Papa particolare questo Venerabile Benedetto XIII, non c’è che dire.

Tornando alla Cattedrale di S. Maria (e al testo del Prof. Zaccheo), dall’altro lato dell’altare di S. Filippo Neri c’è un’altra lapide, scritta sempre in latino, che forse è ancor più interessante della prima e che ricorda l’episodio di cui avevo parlato con il Magister Vitelli.

CVM ORDO NOBILIVM SETINORVM IMPENSA MILLE NVMMVM ARGENTI BENEDICTO XIII ORD. PRAED. PONT MAX OB SETINAM ECCLESIAM DECRETIS AMPLISSIMIS ORNATAM STATVAM IN FORO PONERE CENSVISSET EIVS LOCO IVSSV EIVSDEM PONTIFICIS HVIVSMODI MONVMENTA MODESTE RECVSANTIS HOC SACELLVM IN HONOREM S. PHILIPPI NERII ELEGANTI OPERE EXTRVXIT CVIVS ALTARE IDEM PONTIFEX DIE XXV MAH A. D. MDCCXXVII CONSECRAVIT AC SINGVLIS DIEBVS FVTVRIS TEMPORIBVS PRIVILEGIO PERPETVO PRO DEFVNCTIS DONAVIT [foto n. 4].

Sintetizzando, i nobili di Sezze di quel tempo, per omaggiare la figura del Pontefice e per ricordare a futura memoria la Sua presenza nel nostro paese a Maggio del 1727, avevano pensato e prospettato di far costruire e posizionare proprio nel centro cittadino una statua dedicata allo stesso Benedetto XIII. Il Papa, che celebrò la S. Messa proprio su quell’altare “assistito da vari prelati, da generali di ordini, e da ben dieci tra arcivescovi e vescovi” e che dopo il Vangelo ebbe a declamare una magnifica orazione al Santo (S. Filippo Neri) concedendo speciale indulgenza, fe’ il gran rifiuto con un gesto forse non consueto, ma che è rimasto scolpito nella storia e nel marmo della Cattedrale. Aveva convinto i nobiles setini a devolvere la somma prevista per il posizionamento della statua (che non è mai esistita) destinandola ad abbellire con marmi proprio quell'altare in onore di San Filippo Neri, che egli stesso consacrò definitivamente con la Sua presenza in quei lontani giorni di Maggio, A.D. MDCCXXVII.

Ora, a distanza esattamente di 283 anni, sempre a Sezze e nel Maggio, un’altra statua – stavolta dedicata al co-Patrono S. Lidano e destinata ad occupare il centro della piazzetta del murodellatèra a qualche decina di metri dalla stessa Cattedrale – è tornata al centro dell’attenzione delle cronache locali.

La statua è di un donatore e vuole metterla proprio lì. Ma lo spazio in cui vorrebbe posizionarla è pubblico. Il cantiere è chiuso da un anno per irregolarità. Il Sindaco ha sostenuto il progetto e vorrebbe portarlo a termine. Alcuni cives setini difendono l’idea che il Belvedere sulla pianura Pontina rimanga così com’è sempre stato, libero, anche da statue.

Dovrà arrivare Papa Francesco a Sezze per dare a tutti un buon consiglio?

 

Altare di S. Filippo

Les Marais Pontains” di Raphael Morghen

 

 

 

Si torna in aula per discutere ed approvare il Bilancio del Comune di Sezze. Dopo lo stop dei lavori causati dall’emergenza covid19, l’assise cittadina si riunirà di nuovo ma questa volta a porte chiuse. Il presidente del consiglio comunale di Sezze, Enzo Eramo, dopo aver avuto il parere unanime dei capigruppo in commissione, ha convocato per il 27 maggio alle ore 16 una seduta consiliare che si terrà presso l’auditorium Mario Costa. All’ordine del giorno l’approvazione del bilancio di previsione 2020-22 e ratifica della delibera di Giunta comunale relativa alle risorse alimentari per covid19. La seduta verrà sera pubblica attraverso ordinarie vie telematiche indicate sul portale del Comune di Sezze. I consiglieri comunali dovranno munirsi di mascherine di protezione per partecipare all’assise cittadina. 

 

 

 

L’immagine del corpo di Aldo Moro, crivellato di colpi e riverso nel bagagliaio della Renault 4 rossa, fatta ritrovare dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978 in via Caetani a Roma, ha segnato la storia dell’Italia. L’obiettivo dei terroristi era colpire il cuore dello Stato, destabilizzare le istituzioni eliminando uno dei suoi migliori uomini politici, un coraggioso riformista e un punto di riferimento della nostra democrazia per la sua capacità di guardare oltre l’immediato, di analizzare e interpretare i processi che attraversavano il tessuto sociale e culturale dell’Italia in quegli anni turbolenti, ricchi di potenzialità e animati da grandi speranze di cambiamento, con l’obiettivo di guidarli e indirizzare le scelte verso equilibri politici più avanzati.

L’assassinio di Aldo Moro ha rappresentato una lacerazione traumatica nella vita della Repubblica, ha interrotto il percorso che avrebbe dovuto portarci a divenire una democrazia compiuta, ha determinato la sclerotizzazione del sistema politico, creando i presupposti per il logoramento dei partiti e il decadimento culturale e morale della classe politica, che si è chiusa in una autoreferenzialità finalizzata alla perpetuazione di se stessa e degli spazi di potere acquisiti, incapace di cogliere i mutamenti e di governare la complessità, di cui scontiamo ancora oggi effetti e conseguenze.         

Il crollo della prima repubblica e le trasformazioni del sistema politico, frutti sia della fine dello scontro ideologico e tra blocchi internazionali contrapposti sia della questione morale, non hanno prodotto una democrazia più matura. Al contrario ci hanno introdotti in questo nostro tempo dominato dall’antipolitica, da leader abili catalizzatori di consensi ma refrattari alla riflessione, all’elaborazione di progettualità di ampio respiro, privi spesso di solidi riferimenti culturali e propugnatori di un pericoloso indifferentismo valoriale. Nasce da qui l’esigenza di non fermarci a una commemorazione puramente formale dell’assassinio di Aldo Moro e di cogliere l’occasione per avvicinarci al suo pensiero articolato, complesso e straordinariamente attuale, per raccoglierne il testimone ed ispirarci alla sua eredità umana, civile, culturale e politica, che i terroristi e quanti anche dall’interno delle istituzioni se ne sono fatti complici non sono riusciti né a cancellare né minimamente a scalfire, per comprendere il presente e costruire insieme il futuro dell’Italia.

Aldo Moro, personalità di vastissima cultura, formatosi nella FUCI sotto la guida spirituale di Giovanni Battista Montini (il futuro Papa Paolo VI°), sia come professore universitario sia come politico è stato uomo del dialogo e dell’ascolto, da lui ritenuti strumenti indispensabili per garantire il progresso e il consolidamento della democrazia, si è fatto promotore di un’idea di società che ponesse al centro la persona, perseguisse la concreta rimozione delle discriminazioni, garantisse libertà e dignità e realizzasse una effettiva eguaglianza tra tutti i cittadini.“In una società democratica, come quella che abbiamo contribuito a delineare nella Costituzione e che vogliamo costruire nella realtà vi è un problema fondamentale di valorizzazione generale e compiuta dell’intera società.(…) Nessuna persona ai margini, nessuna persona esclusa dalla vitalità e dal valore della vita sociale.(…) La conciliazione delle masse con lo Stato, il superamento dell’opposizione tra il vertice e la base: non lo Stato di alcuni, ma lo Stato di tutti; non la fortuna dei pochi, ma la solidarietà sociale, resa possibile dal maturare della coscienza democratica e alimentata dalla consapevolezza del valore dell’uomo e delle ragioni preminenti della giustizia”(Dalla Relazione al VII Congresso Nazionale della DC – Firenze 24 ottobre 1959). Nella visione morotea il dialogo costituisce la base vitale e insostituibile della democrazia. “Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiamo il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e dialogo”(Aldo Moro – Il  Giorno 10/04/1977). Questa sua idea della politica presuppone un’autentica e radicale rivoluzione culturale, ben lungi ancora dal compiersi. Avendo a riferimento i valori umani, lo Stato deve assicurare lo sviluppo complessivo delle persone, il loro concorrere libero e democratico alla realizzazione degli interessi generali mediante lo strumento insostituibile dei partiti.“Ma le democrazie moderne con una vastissima base popolare, con il necessario raccordo tra potere di vertice e fonte del potere, con il significato sostanziale e non meramente formale che assumono, non possono fare a meno della iniziativa politica dei partiti e dell’opera di mediazione che essi svolgono, per dare efficace ispirazione ed effettiva base di consenso, in ogni momento, allo Stato democratico”(VIII Congresso Nazionale della DC – Napoli 27/01/1962).

La politica oggi mostra segni d’affanno. La perdita di incisività e inclusività dei partiti colpisce le istituzioni rappresentative e i processi elettorali. Le distorsioni e le degenerazioni hanno spinto tanti ad affidarsi a derive populiste, anche attraverso le reti informatiche, dimostratesi però ampiamente inidonee a sostituire i partiti, i quali devono tornare ad essere luoghi di partecipazione reale e continuativa alla formazione dei programmi e alla selezione, ad ogni livello, di una classe dirigente rispondente alle esigenze della società. La democrazia ridotta a semplice partecipazione al momento elettorale finalizzato al conferimento di una delega in bianco al leader, deperisce, diviene un simulacro vuoto in balia di gruppi di interessi in grado di condizionare e indirizzare il consenso, è preludio all’autoritarismo e alla fine dei diritti e delle libertà.

Sabato, 09 Maggio 2020 06:00

Gli anziani e il coronavirus

Scritto da

 

 

 

 

Il coronavirus ha colpito mortalmente soprattutto le persone anziane, gli ultrasettantenni. Le statistiche dei deceduti durante la peste sono implacabili. Le vittime predestinate sono state loro. Un tragico destino. Nei momenti più difficili soccombono le persone più fragili. Si tratta, quella dei nostri vecchi, di una generazione che ha ricostruito l'Italia dalle macerie della II guerra mondiale e che, tuttora, costituisce la spina dorsale della memoria e della saggezza della Nazione: hanno trascorso una vita all'insegna del duro lavoro e della ricostruzione democratica della Nazione: una generazione  che meritava, certamente, di essere ripagata con una vecchiaia serena e tranquilla. E invece... In questi giorni di  coronavirus  mi è capitato di incontrarne parecchi di loro, quasi tutti smarriti e indifesi, con addosso un senso di colpa nei confronti dei loro figli e nipoti, preoccupati soltanto del futuro dei giovani,  della disoccupazione e della crisi economica. I vecchi sono fatti così!  A se stessi non ci pensano mai: il loro unico pensiero è la serenità dei figli e la spensieratezza dei nipoti. Essi non temono la morte, ma la solitudine. La morte, inevitabilmente, prima o dopo arriva. La solitudine non ti abbandona mai. In questi ultimi anni è invalsa l'abitudine di andare nelle Case d riposo o nelle RSA per trascorrere gli ultimi anni della vita, alla ricerca della compagnia e della tranquillità. Dove essi speravano e sperano di rivivere momenti spensierati della loro giovinezza, giocando a carte, a bocce, trascorrendo il tempo per una passeggiata, ammirando i fiori, le piante, godendosi un bel tramonto. Una volta, nella veccia società contadina, non era così! Nei vicoli del paese si respirava un'altra aria, una atmosfera di familiarità e di solidarietà. I vecchi non andavano via dalle loro abitazioni, non si sentivano ingombranti, erano le figure dominanti del  vicinato, sempre in compagnia degli amati nipoti. Oggi, purtroppo, quel modello di vita e di società si sta perdendo. Sono rimaste poche le famiglie dove vive un vecchio! La vecchia famiglia è stata sostituita da nuclei molto ridotti, da single, da coppie senza figli. Si è diffuso il sentimento della rimozione della vecchiaia e della morte. Il tratto finale della nostra esistenza diventa qualcosa da nascondere, da occultare in strutture per anziani, strutture più o meno dignitose (dipende da quanto si può pagare!). Il ricovero in queste strutture è diventata quasi una necessità. Il coronavirus, invece, ha drammaticamente  scoperto la fragilità e la debolezza di questa soluzione. Non si sa ancora esattamente quanti vecchi sono morti nelle  RSA  e nelle Case di Riposo durante la prima fase dell'epidemia:  ci sono indagini in corso. Ma sono tanti, troppi quelli che ci hanno lasciato la vita  senza neanche un saluto di commiato!  Indietro, purtroppo, non si può tornare. Ma si può e si deve introdurre un nuovo modello di assistenza per gli anziani, in piccole strutture accoglienti all'interno dei centri storici e dei centri abitati, in  piccoli appartamenti arredati con i loro mobili, con i loro ricordi, con l'assistenza continua del medico e con i pasti a domicilio. Appartamenti aperti ai parenti e agli amici,  attraverso la condivisione di  alcune abitudini di orari,  per ricostruire piccole comunità accoglienti e umane  e far nascere nuove amicizie. Ciò che è accaduto non deve accadere mai  più! Il vecchio non deve essere percepito come una merce né come un parcheggio a pagamento,  in attesa della morte. Speriamo che il coronavirus ci insegni qualcosa di buono!

 

 

 

 

Nonostante il condizionamento prodotto dai provvedimenti volti alla tutela della salute minacciata dal COVID 19, la vita scolastica dell’Istituto “Pacifici e De Magistris” di Sezze prosegue con l’obiettivo di ridurre al minimo gli inevitabili impedimenti e restrizioni. Accanto all’attività didattica, che sta proseguendo utilizzando gli strumenti digitali di comunicazione, sono ripresi i lavori per l’ampliamento delle cucine dell’Indirizzo Alberghiero, quelli relativi al restauro e alla messa in sicurezza della sede storica dell’Istituto, nella struttura dell’ex convento dei padri Cappuccini, nonché i lavori di manutenzione straordinaria e adeguamento normativo della sede centrale. La dirigente scolastica prof.ssa Anna Giorgi per tali interventi ci tiene a ringraziare la Provincia di Latina. "Un sentito ringraziamento è da rivolgere all’amministrazione provinciale di Latina che - afferma Anna Giorgi - nonostante i disagi dell’attuale situazione, ha garantito puntualmente la prosecuzione dei lavori avviati. Il prossimo anno scolastico si annuncia particolarmente impegnativo, sia per le possibili emergenze sanitarie che potrebbero tornare a essere necessarie, quanto per l’incremento degli iscritti che porterà l’Istituto a raggiungere le 62 classi. Gli interventi in corso, però, costituiscono la maniera migliore per prepararsi, non soltanto alla chiusura di questo anno scolastico, ma anche alla riapertura a settembre".

 

 

 

Nei giorni scorsi, a sorpresa, come tirar fuori dal cilindro un coniglio, il funzionario responsabile dell’UTC di Sezze Vincenzo Borrelli ha caricato nel sistema comunale la proposta di delibera/donazione per riprendere e concludere la realizzazione del monumento di San Lidano donato da Don Massimiliano Di Pastina e voluto fortemente dal fratello consigliere comunale Ernesto Carlo Di Pastina. In pieno covid 19 gli studi e le ricerche per trovare una soluzione-toppa alla pecionata fatta lo scorso anno a maggio, a quanto pare, sono proseguiti con solerzia, su richiesta, immaginiamo, del primo cittadino di Sezze. Sergio Di Raimo, d’altro canto, non si è mai nascosto come altri e si è sempre mostrato innamorato del monumento al Belvedere, considerandolo bello (nessuno ha mai visto la statua) ed elemento che sicuramente andrà a riqualificare il sito (non ci risulta che la statua sia di un noto artista né che appartenga all’antichità). In verità questa statua nessuno ancora l’ha vista…forse non è stata ancora colata nell’apposito stampo. Al sindaco però quel progetto piace da morire, lo ha detto in mille modi e in tutte le salse e su tutti i canali possibili. Lo ha scritto ovunque pensando così di convincere cittadini contrari al progetto e soprattutto di allargare la sua base in aula consigliare. L’atto di donazione, infatti, dovrà essere approvato dal consiglio comunale di Sezze dopo che il presidente del consiglio avrà convocato una seduta ad hoc. Il sindaco sapeva di non avere dalla sua parte i numeri per approvare un bel nulla. Sapeva anche che molti dei suoi consiglieri si erano espressi contro un modus operandi non trasparente. Sapeva che il suo partito, il Pd, non aveva gradito e (fino a prova contraria) non gradisce l’iter che ha portato all’inizio dei lavori e sapeva che anche altri consiglieri di maggioranza e di opposizione erano contrari. Appellandosi alla coscienza personale di ognuno di loro però ha chiesto più volte di votarla liberamente in aula, contraddicendosi poi nel far capire a tutti che avrebbe potuto dimettersi nel caso di un voto contrario. Oggi la situazione non è poi così cambiata. Il Pd non sembra aver trovato una quadra, gli altri gruppi della maggioranza non voteranno alla cieca un progetto discutibile e nell'opposizione, tranne qualcuno che potrebbe fare il salto della quaglia, c’è chi voterà contro e chi non lo voterà proprio. Tirando le somme è passato un anno esatto, il belvedere è diventato un deposito di materiali edili e di immondizia e la statua è diventato motivo di crisi politica non essendoci altri argomenti e progetti su cui discutere. Mancano due anni alla fine della prima consiliatura Di Raimo. Capiamo anche che il sindaco vuole portare a casa un risultato, soprattutto dopo la deludente inaugurazione del mezzo depuratore a Sezze Scalo. Capiamo che per recuperare terreno mai guadagnato farà sconti al dettaglio. Capiamo tutti che Di Raimo sa bene che non bastano like su facebook per farlo stare elettoralmente tranquillo. L'unica cosa che non capiamo è perché mai quella statua deve essere messa lì...per forza di cose.

 

 

Sicurezza stradale questa sconosciuta. Sono molte le segnalazioni che denunciano lo stato di abbandono e totale incuria delle strade comunali, diventate ancora più pericolose per la scarsa visibilità dovuta all’erba alta. Arterie comunali di periferia a Sezze e a Sezze Scalo dove la viabilità pericolosa ed il degrado e la sporcizia avanzano di giorno in giorno. In molte strade ad alta percorribilità la presenza di erba alba rende pericolosi incroci e nodi stradali. Per non parlare del decoro, della cura del verde pubblico, delle strade e delle rotonde, uno dei primissimi punti e annunci del primo cittadino mai rispettati però davanti ai suoi cittadini. Oltre all’inesistente manutenzione ordinaria delle strade e la pulizia delle stesse, in quanto continuano a fiorire discariche pubbliche anche di materiali utilizzati per combattere il covid19 (guanti, mascherine etc) alcune strade di competenza comunale sono ridotte a mulattiere: in questi mesi sono aumentate buche e sgranamenti del manto stradale, criticità che le rendono ancora più insicure. Da via Diaz pare che siano stati inviati sms a follower e fedelissimi che annunciano risparmi di cassa per alcuni servizi non erogati durante il lookdown, somme di spesa corrente consistenti che, a questo punto,  potrebbero essere utilizzate anche per la manutenzione ordinaria e la messa in sicurezza delle strade. La sicurezza stradale è uno degli obiettivi principali degli Stati membri della UE e di tutti quei Comuni virtuosi che hanno l’obiettivo di dimezzare il numero degli incidenti stradali.

Pagina 96 di 139