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Domenica, 30 Marzo 2025 06:59

Politica, insulti e intolleranza

 

Con onestà e sincero vi dico che finché c'è questo pezzo di merda non parlo con i giornalisti
Sabato, 22 Marzo 2025 18:49

 

 

"Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia".
 
La maschera è caduta e l’underdog della Garbatella ha mostrato il suo vero volto. Il sogno europeo non le appartiene, le è del tutto estraneo per formazione culturale, storia personale e appartenenza politica, come parimenti è totalmente altro rispetto al suo partito, Fratelli d’Italia, ultima mutazione del Movimento Sociale di Giorgio Almirante che storicamente ha sempre raccolto i cascami della destra più reazionaria e nazionalista e del fascismo mai rinnegato. Dietro le parole di Giorgia Meloni possiamo leggere inoltre la retorica del "prima gli italiani", dei "patrioti europei", del Make America (Europe, Italy) Great Again, il nazionalismo più retrivo di quanti combattono da sempre l’idea di un’Europa unita e le contrappongono la cosiddetta Europa delle nazioni.
 
Il Manifesto di Ventotene disegna il progetto di una Europa federale fondata sulla libertà, la pace, il lavoro e l’eguaglianza sociale contro ogni nazionalismo. Per questo non è e non potrà mai essere l’Europa di Giorgia Meloni, perché è l’Europa degli antifascisti, di quegli uomini straordinari, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, spediti al confino da Benito Mussolini e dalla dittatura fascista per le loro idee e la loro opposizione ad un regime disumano e liberticida.  
 
Quel manifesto fu scritto mentre la Germania nazista, sostenuta dall’Italia fascista di Benito Mussolini, sembrava aver preso il sopravvento marciando a passo d’oca sul continente europeo, trascinando il mondo intero nella tragedia dei campi di sterminio e nel bagno di sangue della seconda guerra mondiale. Sebbene in quel frangente storico tutto facesse ritenere che l’umanità fosse precipitata irrimediabilmente nel gorgo di un orrore senza fine, in un buco nero in cui non avrebbero più trovato spazio il rispetto della dignità di ogni persona, dei diritti e delle libertà, questi tre uomini seppero alimentare la speranza in una prospettiva diversa. Tuttavia era forte in loro anche la consapevolezza che la sconfitta del nazifascismo, da conseguirsi con la lotta e il sangue dei democratici d’ogni colore e appartenenza, non avrebbe rappresentato un deterrente per scongiurare il riaffacciarsi sulla scena delle forze conservatrici e reazionarie, le quali avrebbero tentato di rialzare la testa, proclamandosi amanti della pace, della libertà e del benessere, soprattutto delle classi più povere e, facendo leva sulla “restaurazione dello stato nazionale”, avrebbero cercato di far presa sul sentimento popolare più diffuso e facilmente adoperabile a scopi reazionari, il “sentimento patriottico”. Il progetto di una Europa unita e federale, con l’abbandono degli stati identitari, rappresentava perciò un antidoto formidabile per impedire il ritorno dei nazionalismi e dei conflitti armati. 
 
Se è vero che la storia non si ripete, possiamo ritenere plausibile che ami i riverberi, che i  pericolosi  venti dell’autoritarismo soffino continuamente verso il popolo, alimentandosi nel disagio sociale” (Pier Gariglio). Quanta verità in queste parole! Oggi, a più di ottant’anni dalla sua redazione, in un momento storico segnato dai rigurgiti del nazionalismo, dalle pulsioni autoritarie, dall’affermarsi di una destra estrema dalle chiare venature neofasciste e neonaziste e dal ritorno della guerra in Europa, il Manifesto di Ventotene, scritto in quel carcere dove il regime fascista aveva confinato le menti più brillanti dell’Italia del tempo, è stato vilipeso nell’aula della Camera dei Deputati dalla (dal) Presidente del Consiglio, una delle massime cariche della Repubblica, ma espressione di un partito che fin nel simbolo si richiama al fascismo. Spinelli, Rossi e Colorni, che allora subivano l’oppressione del regime fascista, sono stati accusati di antidemocraticità dagli eredi dei loro carcerieri.
 
Il tentativo denigratorio messo in atto è semplicemente indegno, una mistificazione di becero livello propagandistico, in quanto Giorgia Meloni ha citato frasi estrapolate a sproposito, decontestualizzate dall’insieme dello scritto tanto da assumere un significato completamente diverso da quello effettivo.
 
La federazione europea che il Manifesto di Ventotene prefigura è democratica, solidale, fondata sui principi di libertà e giustizia, impegnata a cancellare diseguaglianze e sacche di miseria attraverso riforme sociali ed economiche, un’economia di mercato al servizio dell’uomo e una libera iniziativa regolamentata e indirizzata al bene comune. È esattamente questo il senso delle frasi citate nell’aula della Camera dei Deputati dall’underdog della Garbatella con spirito polemico e il solo obiettivo di accusare il Manifesto di deriva stalinista. Senza contare poi che quelle espressioni corrispondono nello spirito e quasi alla lettera a quanto sancito dall’art. 42 della Costituzione della Repubblica, nata dalla lotta antifascista e su cui Giorgia Meloni ha prestato giuramento.
 
La stessa critica verso le democrazie imbelli degli anni Venti e Trenta, che non seppero reagire e cedettero alla demagogia nazionalista e all’ascesa dei totalitarismi, nel Manifesto è finalizzata esclusivamente alla presa di coscienza della necessità di adottare tutte le misure necessarie per evitare che quella esperienza torni a ripetersi. Gli antidoti più efficaci sono il libero confronto delle opinioni e un’opera costante di educazione civile e di attivazione della volontà popolare, attrezzando le forze democratiche con gli strumenti necessari per indirizzare la coscienza dei cittadini, provati duramente dalla guerra, verso un processo costituente europeo di stampo federalista, prima che fosse di nuovo rinchiusa nei vecchi stampi degli Stati nazionali.
 
La (il) Presidente del Consiglio ha cercato di far passare come contenuto pericoloso, antidemocratico e illiberale il Manifesto di Ventotene, ma tale interpretazione non regge ad una lettura seria, onesta e contestualizzata dello stesso e soprattutto dimostra la sua piccolezza etica prima ancora che politica per aver fatto a brandelli uno dei testi sacri del federalismo europeo e della nostra democrazia, al solo fine di piegarlo alle bieche ragioni di una polemica politica di infimo livello.
 
Sabato, 15 Marzo 2025 17:24

 

 

Il presidente USA Donald Trump in campagna elettorale aveva fatto del “free speech” la propria bandiera, ergendosi a paladino della libertà di espressione e della rimozione di ogni limite all’uso delle parole, criticando duramente la “cancel culture” e la cosiddetta censura “woke” e agitando lo spauracchio del classico “non si può dire più niente”. Tuttavia, appena assunto il potere, ha ripudiato tutto e ha rivelato agli americani e al mondo il suo vero volto, il suo essere un aspirante autocrate, estremista ed un intollerante, oltre che un implacabile censore di tutto ciò che non appartiene al suo modo di pensare, tanto che tra i suoi primi atti ha imposto alle agenzie federali di eliminare o comunque di limitare l’uso nei documenti ufficiali, nei siti web e nelle linee guida interne, compresi i programmi scolastici, di parole ed espressioni che rimandano all’idea di inclusione nei confronti delle minoranze, delle comunità marginalizzate e delle donne. Termini come “transgender” o “donne”, “LGBTQIA+” o “crisi climatica”, “cultural heritage” (patrimonio culturale) o “disparity” (disparità), “pollution” (inquinamento) o “hate speech” (discorsi d’odio) non devono più essere usati. I sodali di cui si è circondato hanno mostrato uno zelo particolare nel seguire le sue linee guida, tanto che il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha ordinato la rimozione perfino di qualsiasi riferimento ad “Enola Gay” dai documenti ufficiali, foto comprese. Furia censoria ed ignoranza rappresentano notoriamente una miscela esplosiva e si è arrivati così ad epurare persino il nome del bombardiere da cui fu sganciata la bomba atomica su Hiroshima il 06 agosto 1945. Evidentemente all’ineffabile segretario alla Difesa nessuno si è curato di spiegare che “Gay” era il nome della madre del pilota e non allude all’orientamento sessuale di chicchessia. Ad ogni buon conto Pete Hegseth, in ossequio all’ordine presidenziale di eliminare qualsivoglia programma su diversità, equità ed inclusione nei luoghi di lavoro federali, ha sospeso nell’ambito delle forze armate statunitensi molte celebrazioni, tra cui il Martin Luther King Day, il Giorno della Memoria e il Pride Month, ricorrenza internazionale in cui si celebra l’orgoglio della comunità LGBTQIA+ e secondo fonti interne alle forze armate ha persino cancellato dai siti, e probabilmente anche dagli archivi, i riferimenti alle soldatesse del Women’s Army Corp (prima formazione militare femminile americana nata nel 1942 e sopravvissuta fino al 1978, quando le donne sono state unite ed equiparate agli uomini) e al leggendario 332esimo gruppo da caccia, i Tuskegee Airmen, i piloti afroamericani che si coprirono di gloria durante la seconda guerra mondiale.  
 
Il messaggio è inequivocabile: gli Stati Uniti di Trump non saranno gli Stati Uniti di tutti, ma soltanto degli uomini, bianchi, cristiani ed eterosessuali. Gli altri, donne, transgender, neri, ispanici, asiatici e nativi sono un male necessario, purtroppo da tenersi e possibilmente da cancellare dalla narrazione ufficiale. Escludere le parole per indicarli e definirli, significa di fatto negare la loro esistenza, cancellarli.
 
Una simile campagna di epurazione, condotta con scientificità, mira a sostituire alla realtà l’immaginario suprematista, confacente alla matrice estremista e postfascista della destra tecno–plutocratica di Trump, Musk e Bannon al potere, la quale attraverso la cancellazione dei documenti, la manomissione e la riscrittura di interi capitoli di storia e l’alterazione della memoria collettiva vuole imporre la propria visione e modellare le nuove generazioni al proprio sentire.
 
Inoltre questa rimozione selettiva delle parole sgradite e dei documenti discordanti rispetto alla propria visione e impostazione culturale configura una “cancel culture di Stato”, imposta in maniera autoritaria, senza alcuna trasparenza né discussione democratica. Il mandato elettorale dei cittadini anziché essere lo strumento attraverso il quale le classi dirigenti, partendo dall’osservazione della realtà, accompagnano e regolano i processi di trasformazione in atto della società nel rispetto del pluralismo culturale e della diversità politica, in mano ai leader di questa destra estremista e arrogante diventa l’occasione per imporre una restrizione degli spazi di libertà, per innescare una sorta di retromarcia in direzione pericolosamente oscurantista, reazionaria e finanche teocratica. 
 
Insomma l’attacco diretto al linguaggio inclusivo, non è soltanto una questione di stile o di preferenza, ma un atto politico diretto a delegittimare alcune identità che hanno trovato riconoscimento in conseguenza di un processo durato anni, che ha consentito loro di entrare a far parte di un sentire condiviso sia sul piano scientifico che comune e che ora si vedono rigettate e cancellate in nome di una visione del mondo, delle persone e delle relazioni tradizionalista, discriminante, escludente e stereotipata. L’espressione più icastica ed eclatante di una simile idea è costituita dal folle ed osceno video su Gaza condiviso sui social nelle scorse settimane da Trump, nel quale i diritti fondamentali e la dignità delle persone sono palesemente calpestati e violentati, le donne sono mercificate, presentate esclusivamente come ballerine discinte che accompagnano il presidente degli Stati Uniti, il quale si autorappresenta intento a ballare in una sorta di night club prima di andare a sorseggiare un cocktail in spiaggia con il premier israeliano Netanyahu.   
 
Quanti hanno a cuore il rispetto dei diritti e delle libertà di ogni persona, senza limiti e distinzioni, sono chiamati a reagire con forza e determinazione a tale scempio, a combattere con le armi della partecipazione democratica, della cultura e della scienza questa narrazione retriva che rischia di alterare e deformare gravemente i processi di formazione del consenso e di minare alle basi i principi fondamentali che ispirano e guidano le nostre democrazie.

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