Immagini e testimonianze provenienti dai territori dell’Ucraina, abbandonati dagli invasori russi, raccontano la tragedia di una guerra che si sta consumando nel cuore dell’Europa. La ritirata dell’esercito russo sta rivelando centinaia di esecuzioni di civili, interrogatori, torture efferate e stupri inflitti persino ai bambini, cadaveri depredati e abitazioni saccheggiate. Le violenze inaudite perpetrate nei confronti di persone inermi ci mettono di fronte ad un orrore senza limiti, che impietrisce e lascia sgomenti, senza parole.
Le analisi di specialisti e luminari di politica internazionale, la stigmatizzazione degli errori e delle responsabilità dei vari leader mondiali nell’aver determinato con le loro scelte sbagliate lo scenario di crisi in atto, se pur vere e condivisibili, non possono che cedere il passo allo sgomento, alla rabbia e alla condanna senza appello di tanta disumanità e certamente in alcun modo giustificarla.
I sottili distinguo e gli equilibrismi dialettici di quanti si ostinano a non condannare in modo chiaro e fermo l’aggressione subita in queste settimane dal popolo ucraino, ne auspicano ripetutamente la resa incondizionata e arrivano perfino ad affermare che è meglio per i bambini vivere sotto una dittatura piuttosto che sotto le bombe, rappresentano un ulteriore oltraggio alle vittime della brutalità cieca e rivoltante dell’esercito invasore.
Nel mondo alla rovescia in cui i guerrafondai sono quanti sostengono sia giusto aiutare gli aggrediti e sanzionare l’aggressore in modo durissimo per indurlo a recedere da un intervento militare ingiustificato e in aperta violazione del diritto internazionale, mentre i pacifisti sono quanti affermano la necessità di lasciare a se stessi gli aggrediti, nemmeno i massacri documentati con filmati, foto, rilevazioni satellitari e testimonianze dirette dei sopravvissuti, subito dopo il ritiro dell’esercito russo, bastano a rappresentare per alcuni attori dell’informazione e non uno spartiacque, i quali anzi si sentono autorizzati ad affermare che non è vero quanto documentato o quantomeno al momento non si possono trarre conclusioni certe circa i responsabili.
Cos’altro deve accadere?
Quali altre prove occorre portare all’attenzione di questi scettici di professione?
I corpi martoriati di persone disseminati qua e là lungo le strade, negli scantinati, sotto le macerie dei palazzi distrutti, fatti sparire per sempre nei forni crematori portatili, che un tempo popolavano le cittadine intorno a Kiev, sono lì e non mentono. Certamente per individuare i responsabili saranno necessarie indagini approfondite, ma difficilmente potrà essere smentito ciò che appare già a prima vista ed è descritto nelle cronache di giornalisti indipendenti e nelle prime ricostruzioni delle autorità locali e cioè che siamo in presenza di crimini di guerra, perpetrati ai danni di civili inermi e crimini contro l’umanità, aventi carattere di sistematicità e pianificazione su vasta scala, al punto da poter integrare l’ipotesi dello sterminio.
Se è innegabile che i massacri che vanno emergendo man mano che le città ucraine vengono liberate dagli invasori russi confermano l’urgenza di porre fine all’orrore della guerra, altrettanto evidente è la barbarie delle truppe di Putin, la normalità che per esse costituisce abbandonarsi ai crimini di guerra. Di fronte all’impossibilità di prevalere sulla strenua resistenza del popolo ucraino e alla necessità di ripiegare perché cacciati dalla resistenza eroica dell’inferiore esercito di Kiev, gli invasori russi riversano sui civili inermi una violenza bestiale conseguente alla frustrazione per essere considerati indesiderati anziché liberatori, la rabbia di pensarsi invincibili e di scoprirsi invece sconfitti e respinti.
La responsabilità di questi delitti orrendi è non solo degli autori materiali, ma anche di quanti ricoprono posizioni di autorità militare e o civile rispetto agli esecutori materiali per non averli impediti e non averli puniti, in palese violazione del dovere delle forze occupanti di proteggere i civili. Naturalmente spetterà al Tribunale internazionale dell’Aja condurre le indagini e raccogliere le prove sulla colpevolezza dei vari ufficiali e soldati e sicuramente non potrà essere opposta la giustificazione, avanzata a suo tempo dai criminali nazisti, della necessità di obbedire agli ordini dei superiori. I tribunali internazionali sui crimini di guerra di tali giustificazioni, quantomeno per comandanti e alti ufficiali, hanno fatto da tempo giustizia. In ogni caso il primo che dovrà rispondere di tutta questa bestialità è Vladimir Putin, un personaggio agghiacciante, che vive chiuso nel suo sogno imperialista e di potenza, per il quale le vite delle persone, comprese quelle dei militari russi mandati consapevolmente al massacro, non hanno alcun valore e sono sacrificabili.
Concludo facendo mie le parole di Michele Serra: “E’ vero, tutti hanno facoltà di non credere. Ma questo vuol dire, anche, che tutti abbiamo la facoltà di credere. E di non chiudere gli occhi. In questo conflitto tra empatia e diffidenza (e tra umiltà e presunzione) sta il futuro del mondo”.