“L’urbanità è la grande assente nel mondo in cui viviamo. La volgarità è stata completamente sdoganata, il turpiloquio è il nuovo galateo, l’insulto è la forma più diffusa del dialogo. Volgarità nelle assemblee politiche, nelle risse ai talk show televisivi, nei confronti ideologici che diventano ingiurie, non meno rozze ma meno schiette e autentiche di quelle all’osteria”. (Claudio Magris).
Il dibattito politico, in questi ultimi tempi soprattutto a livello locale, ha imboccato le modalità dell’imbarbarimento spinto, dell’invettiva personale e dell’insofferenza alle critiche.
Il dato preoccupante è che non si tratta di episodi isolati, ma di una prassi che ormai sembra aver preso piede, dilaga particolarmente sui social, anche se non solo. Gli insulti, gli sberleffi, l’offesa nei confronti dell’avversario politico o semplicemente di chi esprime un pensiero critico sono continuamente all’ordine del giorno.
Nella tanto bistrattata prima repubblica il dibattito politico e il confronto duro delle posizioni, a tutti i livelli, non è mai degenerato nella mancanza di rispetto e nell’insulto e, se la discussione assumeva toni particolarmente vivaci, subito o al più tardi il giorno dopo, ci si scusava con il proprio interlocutore. Invece più passa il tempo e più il linguaggio diventa cattivo, offensivo e la cifra del confronto è scandita dalla pesantezza del lessico cui si fa ricorso, dalle nefandezze di cui si accusano gli altri, tutti espedienti utili a scaldare gli animi delle opposte tifoserie in campo e fidelizzarne il sostegno e non importa se poi sono montagne di falsità, bieche strumentalizzazioni e accuse di perseguire interessi personali totalmente infondate.
La netta sensazione è che il vuoto di visione imperante e la pochezza delle idee sono sistematicamente sostituiti dal linguaggio truculento, a scapito del ragionamento e del confronto rivolto a trovare le migliori soluzioni per i problemi che affliggono la nostra comunità.
Tutti conosciamo l’antico adagio per cui si esibiscono pubbliche virtù per meglio praticare vizi privati, cioè mostrarsi saggi e integerrimi davanti agli altri per essere stolti e cattivi nella vita privata. Un tempo specialmente i personaggi pubblici stendevano un velo di ipocrisia sulla propria vita, magari degradata, ammantandola di pubbliche virtù per ricevere lodi e onori, ma oggi il velo è caduto e l’adagio si è rovesciato. Le virtù sono rinviate al privato, quando le si posseggono ovviamente, e i vizi e le aggressioni si ostentano, si praticano apertamente e senza vergogna specie quando servono ad ostentare il livello di potere raggiunto. Sovente si tratta al più di qualche strapuntino, un posto di seconda fila, ma tanto basta per appagare un certo egocentrismo smisurato.
Rischiamo l’assuefazione a tale degenerazione e proprio per questo è imprescindibile un supplemento di riflessione. La convivenza politica democratica richiede sempre una solidarietà minima che non può essere sacrificata sull’altare di qualsiasi egoismo o interesse di bottega. È necessaria una politica seria che combatta il populismo, patrimonio identitario non solo di quei partiti e movimenti che a livello nazionale ne sono orgogliosi propugnatori, ma anche di tanti altri, a chiacchiere fieramente distanti ma che nei fatti ne costituiscono l’espressione peggiore per protervia, qualunquismo e intolleranza, inquinando il clima, i rapporti e la convivenza civile. Le forze politiche serie, il Partito Democratico, l’intero centrosinistra della nostra città sono chiamati ad una prova di responsabilità e di capacità di innovazione culturale e politica senza precedenti, avanzando critiche forti e senza sconti ove necessario, ma accuratamente evitando di farsi trascinare in certe forme sguaiate di confronto soprattutto via social. Con lo sguardo al futuro e ai bisogni della comunità, occorre lo sforzo importante e non più procrastinabile di mettere al centro dell’azione politica il dialogo incessante con i cittadini per ricostruire un tessuto di partecipazione, individuare spazi di impegno personale senza vincoli e condizionamenti, senza egoismi e individualismi per superare lo spaesamento che ha provocato e provoca disaffezione e disorienta.
Nell’incertezza che regna sovrana c’è la necessità per quanti amministrano o si vogliono proporre come amministratori della nostra città di rivestirsi d’umiltà e tornare a studiare la politica. Improvvisazione e approssimazione sono dannosi da chiunque provengano e a prescindere dal colore politico di cui ci si ammanta.
Studiare la politica vuol dire mettere al centro di ogni progetto amministrativo e di governo la cultura, il rispetto delle istituzioni, la capacità di analisi e di riflessione, la lungimiranza di avanzare progettualità fondate sulla comprensione delle dinamiche sociali ed economiche, ispirandosi a valori definiti ed avendo come obiettivo la trasformazione incessante, vera e non di facciata, della società, il perseguimento insomma del bene comune.
Serve dare risposte sagge alle domande giuste, senza cedere ad impulsi più o meno perversi, combattere i piccoli vizi che presto rischiano di ingigantirsi, riattivare l’amore per le virtù pubbliche che ridanno dignità ai cittadini e alle istituzioni che li governano.